Recensioni - Opera

“Pastorelle en Musique” alle Innsbrucker Festwochen fra ironia ed esercizio di stile barocco

Riuscita esecuzione del raro divertimento arcadico di Georg Philipp Telemann, ottimamente diretto da Dorothee Oberlinger

All’interno delle settimane musicali della musica antica, la capitale tirolese propone un ricco calendario di appuntamenti fra concerti e messe in scena di opere rare. Come seconda produzione del 2021, è stata proposta “Pastorelle en Musique”, una serenata in un atto composta da Georg Philipp Telemann fra il 1713 e il 1716 durante il suo soggiorno a Francoforte, probabilmente in occasione dei festeggiamenti per un matrimonio.

Ci troviamo dunque di fronte ad una composizione di occasione, la cui partitura è stata per lungo ritenuta perduta ed è riapparsa per puro caso solo agli inizi degli anni 2000. Doveva trattarsi probabilmente di un ricco matrimonio della nascente borghesia finanziaria di Francoforte, in quanto Telemann non lesina certo nella compagine orchestrale composta da corni, trombe, oboe, archi, flauto barocco, un imponente basso continuo rafforzato dal fagotto barocco, cembalo, contrabbasso e violoncello barocco. Non mancano tamburi e timpani. Musica principalmente festiva dunque che il direttore Dorothee Oberlinger, a capo dell’Ensemble 1700, concerta in modo serrato, vivace, con buona densità sonora e uno spiccato contrappunto, rendendo in modo ottimale la gioiosa partitura di Telemann. Lei e il suo Ensemble forniscono un’ottima prova, ai massimi livelli delle odierne esecuzioni con strumenti d’epoca.

La serenata scenica è stata proposta nella sala grande della recentissima “Haus der Musik”, dove il regista Nils Niemann ha allestito una classica scena naturale barocca; una vera e propria “pastorelleria” con quinte di verzura in rigorosa prospettiva e idillico fondale dipinto. Le scene sono di Johannes Ritter. Nils Niemann sembra poi giocare con lo stereotipo della scenotecnica barocca, scoprendo qua e là i piccoli artifici della scena, come un finto torrente chiaramente azionato a mano e le ingenue nuvolette dietro a cui si nasconde un flautista in improbabile parrucca bionda. Si legge dietro al tutto la ricerca di un’ironia che però non sempre si palesa completamente, lasciando talvolta nello spettatore il dubbio di una qualche incompletezza, come per i costumi che non vanno oltre lo scontato, senza riuscire a creare un corto circuito con la forzata ricerca del kitsch insita anche nel trucco eccessivo scelto per gli interpreti.

La ricerca dello stile barocco è poi evidente nella recitazione impostata ai cantanti, ove prevale la ricerca di una posa scenica e di movimenti che richiamano le lezioni del teatro barocco gesuita del monaco bavarese Franciscus Lang, per il quale il teatro era l’immagine del mondo ideale a maggior gloria di Dio, e perciò gli attori dovevano agire per ideali – le pose sceniche appunto - e non secondo il più tardo criterio di imitazione della realtà. Stessa impostazione è stata tentata sugli interpreti di Pastorelle ma con risultati assai alterni. Se infatti la compagine femminile, Lydia Teuscher e Marie Lys, riescono comunque a risultare spigliate e comunicative, la compagine maschile, Alois Mühlbacher e Florian Götz, risultano molto impacciati nel cercare di seguire le impostazioni registiche, tanto che le loro “pose” risultano imposte e non comprese. Ne perde la comunicativa dei cantanti in particolare nei recitativi, ma soprattutto l’intento generale della regia, che se voleva essere ironica, non riesce ad esserlo e se voleva essere filologicamente barocca tanto meno. Particolarmente evidente in alcuni la gesticolazione eccessiva, che se negli intenti registici doveva accentuare e sottolineare i versi barocchi, in realtà risulta vuota e ripetitiva. Ne risulta in complesso una messa in scena che sa di tentativo non riuscito fino in fondo fra riproduzione storico-teatrale e concerto semi scenico. Ironici e azzeccati di contro gli interventi dei musicisti sul palco, con Yves Ytier al violino, che suona e balla magistralmente in scena un allegro minuetto e Max Volbers, impegnato nei panni di un improbabile cupido in un bel assolo al flauto barocco.

Molto meglio dal punto di vista musicale, dove tutti gli interpreti, specialisti del settore, ben si destreggiano nei rispettivi ruoli, con punte di assoluta eccellenza. Marie Lys, incarna una Iris sbarazzina e convincente, con sguardi ammiccanti e una voce timbrata e omogenea seduce il pubblico tirolese fornendo un’ottima prova. Non da meno la Caliste di Lydia Teuscher, ben addentro nel rappresentare un personaggio scontroso, gioca con gli sguardi, fa sue le richieste registiche e incanta con una bella voce lirica. Damon è il baritono tedesco Florian Götz, che, sebbene non completamente a fuoco scenicamente - le pose imposte avrebbero potuto essere decisamente e opportunamente più comiche – ci regala un personaggio vocalmente corretto, che fa sfoggio di una bella voce armonica, fluida e correttamente proiettata. Il controtenore austriaco Alois Mühlbacher interpreta il personaggio di Amyntas in modo convenzionale e con poca partecipazione, riscattandosi però pienamente con il canto, sempre sul fiato, dalla bella timbrica e capace di virtuosismi di assoluta eccellenza. Insieme a Marie Lys incanta nell’aria a due finale “Wir sind vergnügt von ganzem Herzen”. Virgil Hartinger completava il cast interpretando la parte ironica e disincantata di Knirfix. Il tenore ci ha regalato un personaggio vocalmente ben delineato e sufficientemente spigliato nell’ammiccare con il pubblico a cui si rivolgeva direttamente.

Una bella edizione insomma di questa “serenata” scenica, che ha avuto il merito di riproporre una musica di grande raffinatezza ottimamente diretta e interpretata.

Il pubblico ha salutato la serata con vivo successo.

R. Malesci (23 Agosto 2021)