Vilnius: il Rosenkavalier come viaggio nell’introspezione esistenziale

Venerdì 3 settembre 2021 si è aperta a Vilnius la Stagione d’Opera 2021/2022 presso il Lietuvos Nacionalinis Operos ir Baleto Teatras: la nuova Produzione di “Der Rosenkavalier” di Richard Strauss, coprodotta dalla realtà lituana assieme al Théâtre de la Monnaie di Bruxelles e al Teatro Comunale di Bologna, è stata una scelta vincente al punto da lasciare un ricordo sorprendente.

In premessa è opportuno ricordare quanto già detto rispetto a questo Teatro e alla capitale che lo vede protagonista della sua produzione musicale (qui l’intervista al Direttore Artistico Sesto Quatrini).

Desta forte stupore su chi mette piede per la prima volta in questo Teatro, per di più da straniero, l’entusiasmo contagioso che il pubblico lituano riserva all’ingresso del Direttore: Sesto Quatrini, che qui è anche Direttore Artistico, viene letteralmente invitato da un’ovazione di applausi a dar luogo alla Rappresentazione (ovazione che si ripeterà ad ogni inizio d’Atto con sempre maggior enfasi).

Il riscontro critico dell’ascolto si trova in concordia perfetta con quanto preannunciato da questi applausi. Infatti, a differenza di molti altri giovani Direttori chiamati a cimentarsi con questo Repertorio, Quatrini dimostra sin dall’inizio, e poi sempre più, una determinata sicurezza coniugata perfettamente ad una sensibilità musicale che scava nella Partitura trasferendo l’architettura formale vivificata dalla sostanza delle molteplici sottosezioni, rivelate con invidiabile semplicità nei densi contenuti. In particolare, bisogna sottolineare la pertinente gestione circolare della metrica che, così ben direzionata, permette a Quatrini di offrire una interpretazione di ampio respiro che non perde mai la necessaria spinta propulsiva e che, altrettanto e non da poco, si impegna con speciale attenzione a rivelare gli importantissimi leitmotiv sottesi alla complessità generale. La Sua Orchestra risponde con naturale agio a quanto richiesto, offrendo anche alcuni momenti di pregio individuale (ad esempio il solo finale del Primo Atto). Per queste ragioni musicali, ed altrettanto per quanto realizzato nel merito della annunciata programmazione futura e della dichiarata riorganizzazione interna, si comprende e si condivide come a Vilnius siano così entusiasti di avere un Direttore Artistico capace di diffondere l’italico pensiero supportandolo con azioni che lo realizzino.

In Scena troviamo una Compagnia di Canto di tutto rispetto con alcune punte di eccellenza. Joana Gedmintaitė rende il ruolo de La Marescialla (parte come noto difficilissima) con continuità e sicurezza, regalando alcuni momenti di ottimo scavo della parola riuscendo in un’interpretazione scenicamente ben coinvolgente; Jelena Kordic è un Octavian convincente sotto il profilo musicale laddove la presenza scenica potrebbe meglio rendere il vigore di un giovane amante prima e di giovane innamorato poi; Albert Pesendorfer ha tutte le caratteristiche per essere un Barone Ochs di sicuro effetto scenico anche tenuto conto che certi usi personali della vocalità vadano nella direzione interpretativa di un personaggio con le sue proprie connotazioni: nobile solo per titolo e crudamente gretto nell’animo; Steponas Zonys è la sorpresa della serata in quanto il suo Faninal promette grandi riuscite di carriera per questo giovanissimo talento: è Artista di sicuro potenziale al cento per cento e sotto ogni profilo; Sophie è una più che adeguata Lina Dambrauskaite, impegnata a sottolineare quanto più possibile ogni ritrosia ed ogni paura sino a poi liberarsene; per quanto concerne gli altri è da menzionare il contributo fondamentale (ben recitato e ben cantato) anche dei due servi Valzacchi ed Annina, rispettivamente Rafailas Karpis e Regina Šilinskaitė. Altrettanto, una citazione a parte la meritano Sandra Andriukevičienė, Marina Bacytė, Monica Buozytė, Evelina Greiciūnaitė, Olga Radzevičienė e Loreta Skirgailienė (Voci bianche dalla eccellente preparazione che garantisce, come in “Papa, Papa, Papa!” un’efficacia di altissimo profilo).

Se è di Pensiero che si parla, è superfluo ricordare quanti possano essere i molteplici aspetti di riflessione che un lavoro come “Der Rosenkavalier” offra a chiunque vi si accosti come fruitore e, ancor di più, a chi è chiamato a metterlo in Scena. La lettura registica deve confrontarsi, fatti salvi i Topoi drammaturgici, con una densità di contrasti psicologici che, per loro rapida e mutevole successione, difficilmente è possibile condurre in toto senza perdere la necessaria consecutio narrativa.

Ed è su questi aspetti che si conferma quanto tanto di buono ci sia in questa Produzione oltre che per il già descritto pregio della concezione musicale.

Le azione che vanno a comporre la narrazione scenica, infatti, sono il frutto di una lettura registica che segue un preciso e più che condivisibile codice. Dal primo all’ultimo istante regna sovrana la contrapposizione sostanziale tra la Realtà dei fatti presenti nella drammaturgia e l’Idea dei fatti stessi: per quanto concerne il processo di idealizzazione, questo è da intendersi qui come l’assieme delle Fantasie immaginifiche dei singoli personaggi quale frutto di un subconscio non troppo stabile e tendente, spesso, ad una morbosa aberrazione.

Secondo questo principio, a guidare la vicenda è una “palla di vetro con neve”. Un nano (l’ottimo attore lituano Aleksandra Sezeman) entra protendendola verso lo spazio scenico come torcia dell’introspezione: difatti, per sua composizione, una “palla di vetro con neve” contiene in sé stessa la rappresentazione di un luogo che può essere visto, e quindi percepito, soltanto attraverso quella che è una vera e propria aberrazione ottica generata dalla curvatura del vetro. Così quell’oggetto, fonte d’ispirazione per più e più storie immaginate da generazioni di fanciulli, diviene simbolo drammaturgico di un processo di indagine delle Fantasie che segue un approccio psicanalitico (metodo che, come sappiamo, è storicamente molto vicino agli anni di composizione del lavoro Straussiano). Divenuta simbolo, la “palla di vetro con neve” resta a vista sin dal principio durante tutto l’arco della Rappresentazione. La neve, fiore d’acqua gelida dalla determinata seppur fragile ed impalpabile struttura, è l’elemento naturale prescelto per abitare e connotare la dimensione introspettiva della vicenda: al principio sarà quel fiore presente e turgido che, parimenti ad Octavian, La Marescialla imprigiona in un bicchiere di cristallo rapendolo alla tormenta del pensiero; durante lo svolgimento dramamturgico sarà utilizzata da quattro metarappresentazioni de La Marescialla (bimba, fanciulla, donna, vecchia) per costituire la sostanza di un pupazzo quale fantoccio delle sue proprie elucubrazioni; alla fine, privato del congelamento esercitato dalle Fantasie della stessa, svanirà tramutandosi in un bicchier d’acqua, al pari di quanto vissuto con Octavian.

Anche l’Allestimento pone a vista subito due piani: il primo è il Palcoscenico da intendersi come luogo dell’inequivocabile avvicendarsi di rapporti causa-effetto che realizzano la realtà; il secondo è una serie di Metapalcoscenici (se ne vede subito un altro, poi un terzo al suo interno, poi un quarto all’interno del terzo) costruiti sul Palcoscenico come matrioske prospettiche che potrebbero moltiplicarsi sino al più profondo punto di vista, simbolo di una indagine di scavo emotivo e percettivo rispetto a tutto ciò che compone il mondo del subconscio, presente in ognuno con tutte le sue infinite possibilità di stati esistenziali autonomi indipendentemente dalle relazioni umane. Questa precisa disposizione spaziale contribuisce in maniera esattissima ad una fruizione che stimola fortemente l’indagine metatestuale di ogni parola e di ogni gesto, potendo così arrivare a cogliere le tracce degli ardui contrasti tra l’ambito della Reale e quello del Soggettivo. Complementare alla gestione dello spazio troviamo un elemento registico fortemente connotativo del rapporto spazio/azioni: il simbolismo numerico. Tutte le costruite moltiplicazioni del Palcoscenico presentano un pavimento di forma chiaramente triangolare che immaginiamo quale spazializzazione dei tre vertici della vicenda: nella nostra percezione, dando per assunto che le moltiplicazioni del Palcoscenico altro non siano che dei luoghi metaesistenti, il riferimento simbolico al triangolo Marescialla-Octavian-Sophie ci pare conseguente. Ritroviamo lo stesso triangolo durante il Duetto tra La Marescialla ed Octavian nel Primo Atto; accadendo un fatto di realtà, il Duetto si svolge sul Palcoscenico: questo è allestito come un cimitero composto da sedici orologi in legno delle più diverse epoche; tra questi, solo tre sono in stile settecentesco e di metallo dorato e, a conferma dell’intuizione, sono disposti secondo il medesimo schema di triangolazione del piano dei Metapalcoscenici. In questo momento è rilevante il tentativo del giovane Octavian di impossessarsi di un orologio e poi di cambiarne gli orari ma ciò gli viene impedito dal nano che, ricordiamo, è il custode della “palla di vetro con neve” quale torcia dell’introspezione; è noto come le azioni umane avvengano, infatti, in uno Spazio che è possibile modificare a piacimento ma in un Tempo che non è dato di poter comandare, eccezion fatta per il mondo onirico che ha autodeterminato Tempo e

nessuno Spazio.

Un altro elemento riferibile al simbolismo numerico è ascrivibile all’inizio del Terzo Atto: all’apertura del Sipario e del primo Metasipario, si osserva La Marescialla accarezzare un enorme corvo nero, sua evidente emanazione. Per comprendere il senso di ciò è opportuno ricordare come il corvo sia normalmente associato simbolicamente alle metamorfosi interiori e, altrettanto, ai mutamenti di stato fisico in situazioni di evoluzione. Difatti, man mano che La Marescialla accarezza l’enorme corvo, comincia una processione di corvi ritmata dal suo carezzare: cinque bambini (due in calzoni corti e tre in calzoni lunghi) procedono nello spazio del Metasipario e a loro si associano, in Palcoscenico, Valzacchi ed Annina col volto coperto da una maschera da corvo.

Una volta avvenuto il mutamento escatologico degli equilibri emotivi, i Sipari si chiudono di sorpresa per permettere al Duetto di avere luogo e a La Marescialla di spiare dal Metasipario il Dietto che appare, così, come l’effetto di un “sortilegio”. La medesima simbologia viene mantenuta nella prosecuzione del processo di metamorfosi evolutiva della drammaturgia in preparazione alla conclusione: dapprima si assiste in cielo ad una danza di cinque corvi (poi raddoppiano divenendo dieci) cui segue l’apertura del Metasipario ove si rivela l’enorme corvo cui fanno cornice altri tredici corvi (si noti il totale: quattordici, tanti quanti i personaggi del Libretto).

Un altro elemento fondamentale di questa Produzione che non può essere dimenticato è l’eleganza cromatica dell’impeccabile Disegno Luci che rivela un evidente studio prospettico della Scena, al punto di arrivare a generare splendide ombre naturali; queste si fanno forme concrete di pensieri e stati d’animo che prendono vita in relazione alle precise punte di colore scelte e alle loro degradazioni. Anche qui le dinamiche, questa volta cromatiche, seguono riferimenti simbolici: il Bianco (penetrante per capacità di accecamento nel Finale) è neve, congelamento e scongelamento esistenziale; il Viola racconta La Marescialla come donna adulta, assieme alle sue età passate e a quella supposta della vecchiaia; il Nero apre il Terzo Atto ed ha in sé la lucentezza del corvo che segna l’evolversi; il Giallo è rivelazione e dichiarazione manifesta del subconscio. Si direbbe una concertazione di elementi impalpabili che, così facendo, fan sorgere in Vita quelle essenze celate ai più, garantendo una straordinaria empatia tra Platea e Palco al punto che i convenuti arrivano a sentirsi emotivamente protagonisti tanto quanto gli Artisti in Scena. Quanta Bellezza!

Per ciò che concerne i Costumi basterebbe tenere a mente la vestaglia de La Marescialla per restare in convinta ammirazione dal pregevole lavoro sartoriale realizzato per questa Produzione: dettagli su dettagli si concentrano raffinati su tessuti pregiati ed alchimie di colori e tagli: Meraviglia!

Tutto ciò detto, appare evidente come il Team di Regia messo in campo si confermi di livello eccezionale. Paolo Fantin realizza un impianto scenico straordinario che si vorrebbe abitare e che invita ad abitare noi stessi, rammentando di far luce sulle nostre sfaccettature come fa l’impeccabile disegno delle Luci di Alessandro Carletti e, magari, indossando i Costumi di Agostino Cavalca che, per loro fattura, vanno chiamati Abiti d’Alta Moda. Che Damiano Michieletto sia capace di risultati eccellenti è altrettanto cosa nota; il fatto che abbia in sé speme di genialità non si può negarlo quando la complessa direzione degli agiti trasferisce a chi li osserva una commozione pari a quella di chi ne è protagonista, ne non superiore. Uscire dal Teatro di Vilnius il 3 settembre u.s. è significato soffrire il ritorno al “reale”: ci siamo immersi in noi stessi attraverso un’Opera sublimando l’umana condizione e restando per qualche ora in un viaggio, profondissimo, che tocca le vette altissime che solo i Veri Artisti possono toccare e trasferire.

Una sola Recita di questo lavoro non basta: vogliamo rivederlo e, senza esitazione, vi consigliamo di fare altrettanto.

Antonio Smaldone
(3 settembre 2021)

La locandina

Direttore Sesto Quatrini
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Agostino Cavalca
Luci Alessandro Carletti
Drammaturgo Elisa Zaninotto
Personaggi e interpreti:
Die Marschallin Viktorija Miškūnaitė
Octavian Jelena Kordić
Baron Ochs Albert Pesendorfer
Sophie Monika Pleškytė
Faninal Arūnas Malikėnas
Valzacchi Rafailas Karpis
Annina Julija Stupnianek-Kalėdienė
Marianne Agnė Stančikaitė
Ein Inspektor Liudas Mikalauskas
Valzacchi Tomas Pavilionis
Marshallins Haushofmeister , Faninals Haushofmeister Mindaugas Jankauskas
En Italilenischer Sânger Deniz Leone
Ein Notar Paulius Prasauskas
Orchestra e Coro del Lietuvos nacionalinis operos ir baleto teatras

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