L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Voce d'acciaio in volo sul bordello

di Irina Sorokina

Sesta produzione della Traviata per il discusso regista moscovita Dmitry Bertman. Una visione dura che contrappone un esplicito bordello alle illusioni impossibili di Violetta. Non privo d'interesse, seppur con qualche distinguo, il cast vocale.

MOSCA, 1 ottobre 2021 - La traviata di cui vogliamo parlare è ben sesta nella carriera del rinomato regista moscovita Dmitry Bertman. Evidentemente, l’enfant terrible della regia post sovietica nutre un interesse e un affetto particolari per il capolavoro verdiano e l’ultimo suo allestimento all’Helikon-Opera, assai interessante e emozionante, è andato in scena esattamente due anni fa, quanto il teatro festeggiava il suo trentesimo compleanno.

Stavolta per La traviata si tratta della veste di lusso: i fedeli collaboratori del regista, lo scenografo Igor Nezhny e la costumista Tatiana Tulubieva, sembra abbiano superato loro stessi. A cominciare dal sipario che accoglie il pubblico all’ingresso di questa sala unica al mondo, sotto terra e con i muri di mattoni rossi: osserviamo una corte chiusa di una grande città, a San Pietroburgo l’avrebbero chiamata “corte pozzo”, com'è descritta nei romanzi di Dostoevskij. L’edificio che forma questo “pozzo” è di color grigio dalla sfumatura desolata. Sul rumore del pubblico che si accomoda e sulle note del celebre preludio vediamo arrivare una ragazza vestita da clochard in compagnia di un grande cane bianco dal portamento educato, se non regale: un trucco insolito che contribuisce parecchio alla riuscita dello spettacolo.

Scordatevi di sbirciare nella casa di lusso di una giovane signora di demi monde: c’era da aspettarselo che Bertman cambiasse l’ambientazione e, infatti, veniamo scaraventati in un bordello capitanato da una Flora inedita e piuttosto aggressiva, dalla chioma generosa che più rossa non si può e vestita di un lilla di sfumatura “velenosa”. Un bordello di livello medio pieno di ragazze in calze e scarpette col tacco, culottes adornate da merletti e bustier. Non solo l’ambientazione, è spostata anche l’epoca: siamo una sessantina d’anni più avanti e l’ombra di Toulouse-Lautrec è da qualche parte dietro le quinte. La vita misera di Violetta Valery, comprese le prestazioni professionali, si svolge in una piccola stanza dai muri storti. Nel secondo atto in campagna la stanza viene portata in avanti dalla profondità del palcoscenico annunciando l’inevitabile ritorno alla vita di prima, dopo aver vissuto l’illusione d’amore. L’illusione stessa viene materializzata attraverso la scenografia del secondo atto: tre muri bianchi candidi, un lampadario gigantesco decorato di fiori bianchi che alludono a una festa di matrimonio. Ovviamente è solo un’illusione di serenità raggiunta, perché i muri bianchi candidi non formano gli angoli dritti. Il ballo in casa di Flora, pardon, nel suo bordello, perde ogni smalto: è un’orgia parecchio più scatenata di quella del primo atto, le colleghe di Violetta si esibiscono in movenze erotiche senza un minimo pudore, e non c’è posto per le danze di innocue zingarelle e grintosi toreri, che sono tagliate senza pietà. Prima dell’apparizione di Violetta, una Flora spudorata cerca di impadronirsi di un ragazzino chiamato Alfredo, cavalcandolo, e l'insulto alla protagonista degenera quasi in una rissa disgustosa.

Nel finale si ritorna alla misera stanza della Violetta ormai morente, negli ultimi istanti “la scatola” a tre muri storti inizia a salire verso l’alto, la porta si apre verso l’infinito e il vento soffia tra i capelli della povera ragazza. Giustificata? Perdonata? Passata al paradiso? Una cosa è certa: le idee del regista Bertman possono destare ammirazione o non essere accettate, ma il suo teatro non vi farà mai annoiare.

L’Helikon-Opera presenta un trio di protagonisti capace di scuotere gli animi, ognuno in propria maniera. Nella persona del giovane soprano Julia Ščerbakova abbiamo un Violetta inedita che non si scorderà mai: robusta e indomabile “plebea”, per niente bella se si pensa ai canoni di bellezza a cui siamo abituati, dotata di una passionalità ardente e di una voce non facile da descrivere. Voce salda di soprano estesa e voluminosa, dal timbro particolarissimo, metallico, ma non freddo. Come descrivere quel metallo? Acciaio, argento o qualcosa di più prezioso? Il colore particolarissimo contribuisce a rendere più evidente la sofferenza della protagonista, come le fioriture precise e taglienti. Con questa voce insolita il soprano siberiano arriva a cantare alcune celebri pagine da manuale, altre meno: un buon coach potrebbe fare di lei una delle più grandi Violette dei nostri tempi, soprattutto se sapesse lavorare sulla pronuncia e sull’emissione.

Accanto a Julia Ščerbakova troviamo l'Alfredo del giovane Sergej Ababkin che, al debutto nella parte, sceglie toni caricaturali i comportamenti in molte occasioni indegni del suo personaggio. Quasi un bambino, figlio di papà, carino, dalla chioma folta e lunga, impulsivo se non isterico, innamorato soltanto di sé stesso, vive tra gli agi senza mai abbandonare una bottiglia di champagne e la tiene in mano anche quando arriva al capezzale della Violetta morente! Il giovane tenore sfoggia una voce dolce e ben timbrata (la tradizione interpretativa russa da sempre vuole per la parte di Alfredo un tenore di grazia), ma ha davanti a sé una lunga strada per quanto riguarda la tecnica e la pronuncia, terribilmente “russa”. Vanno migliorati anche gli acuti.

L’esperto baritono Mikhail Nikanorov nel ruolo di Giorgio Germont offre un’interpretazione non convenzionale e una vocalità interessante. Come attore, Nikanorov dimostra una certa aggressività verso la povera Violetta (secondo il concetto del regista ha una storia con lei alle spalle), ma riesce a vincerla, rimanendo, comunque, incline alla violenza fisica; il cantante sfoggia una voce di baritono piena e morbida. Anche per lui un augurio di migliorare la pronuncia e l’accento.

Ol’ga Spicyna è un’ottima Flora, in questa versione de La traviata molto “cattiva”, e nessun’altro comprimario passa inosservato: Aleksandr Kiseliov – barone Douphol, Andrey Apanasov – Gastone de Letorièrs, Dmitry Skorikov – dottore Grenvil, Inna Zveniatskaya – Annina, Ivan Volkov – Joseph, Andrey Orekhov – un commissionario.

Il coro dell’Helikon-Opera, preparato da Evgeni Ilyn, è da sempre una formazione assai speciale, chiamata scherzosamente, “coro di ballo” per la pari bravura nel cantare e nel recitare. Questa Traviata piuttosto originale e altamente movimentata gli dà la possibilità di apparire in tutto il suo splendore. I movimenti coreografici sono di Edwald Smirnov e le luci suggestive del celebre designer Damir Ismagilov.

La prima del 2019 fu diretta da Aleksandr Sladkovsky, un professionista rinomato, noto soprattutto per le sue interpretazioni del repertorio sinfonico; due anni dopo La traviata bertmaniana è nelle ottime mani di Valery Kiryanov che le conferisce toni ardenti, dinamiche contrastanti e velocità a volte elevate


 

 

 
 
 

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