Roma: il trionfo di Julius Caesar

Per la prima volta dal 1901, quando mandò in scena le Maschere di Mascagni, il Teatro Costanzi ha inaugurato la stagione con un’opera commissionata a un compositore vivente, famoso nel mondo e appena insignito del Leone d’oro alla carriera dalla Biennale di Venezia. D’accordo col direttore musicale Daniele Gatti, Carlo Fuortes, prima di lasciare il suo incarico di sovrintendente, ha scelto un tema che appartiene alla storia di Roma, la morte di Giulio Cesare e la difesa o il tradimento della libertà repubblicana. Il librettista Ian Burton, che da anni collabora con Battistelli alla trilogia tratta da Shakepeare (dopo il Riccardo III del 2007 alla Venice e queste Giulio Cesare del 2021  stanno pensando al  Pericle), ha riadattato il testo del bardo,  ispirandosi a Plutarco,  Svetonio e  Cassio Dione, inserendo alcuni brani in latino per il coro, riducendo i personaggi, ma riprendendone i caratteri  e innovando la trama, con lo spettro del dittatore che  torna in scena per vendicarsi, costringe  Bruto e Cassio a suicidarsi, vanificando così il loro omicidio per farne il preludio della guerra civile. Il canadese Robert Carsen ha firmato una regia epurata e scarnificata, dove le luci di Peter van Praet aggiungono plasticità al racconto e sottolineano la tensione  della musica.

All’inizio, un muro concavo formato da blocchi di marmo con affissi i manifesti di Cesare, fa da sfondo a una folla di romani, in jeans e scarpe da tennis e armati di cartelli, celebrano il trionfo di Cesare con la festa dei Lupercali. Poi il muro lascia spazio all’emiciclo del Senato, con gli scranni rivestiti di rosso, Cesare che parla in posa cesarea, attorniato da senatori come in giacca e cravatta e in mano una valigetta 24h che s’agitano su e giù per le scale, depositano la scheda nell’urna e tramano per farlo fuori. Sempre pubblica, con un’enorme scrivania presidenziale sullo sfondo, la scena domestica del dialogo tra Cesare (un magnifico Clive Bayley) e la moglie Calpurnia (l’intensa Ruxandra Donose) che, in balia dei nefasti presagi, cerca di dissuaderlo dal presentarsi in Senato alle Idi di marzo, il 15 marzo del 44 a.C.

Sin dalle prime note, col caos organizzato del coro che canta fuori campo, l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma   sotto la sapiente guida di Daniele Gatti, che lascia dopo tre anni il teatro romano per il Maggio fiorentino, riesce a restituire il pathos narrativo della partitura di Battistelli, composta nei colori scuri e cupi del sospetto verso potere, del dubbio amletico dei cospiratori, e dell’inanità del tirannicidio. L’orchestrazione magistrale coinvolge un apparato di settanta elementi, presenti con le percussioni persino sui palchetti laterali.  Per un’opera ultra contemporanea ma non sperimentale, che attinge senza complessi al patrimonio classico, il genio di Battistelli ha scelto l’eclettismo, combinando generi diversi in una tessitura complessa, ricca di citazioni,  dove la musica tonale è mitigata dalle armonie, l’astrazione  s’inchina all’evoluzione del dramma psicologico, lo Sprechgesang, e cioè il parlato ritmico, dei cantanti sembra avere  il sopravvento sulla forma tradizionale delle arie, fino a che non s’arriva il  bellissimo arioso del baritono nel finale.

Nel secondo atto, il dubbio lancinante che assale i congiurati, dopo l’orazione di Marco Antonio, l’evocazione della battaglia di Filippi che ne rovescia le sorti, lo spettro di Giulio Cesare che appare a Bruto nel sonno e lo sconvolge, avvengono sullo sfondo di un’imponente struttura un groviglio di tavole e tubi che a poco a poco, ruotando su se stessa non lascia scoprire l’impalcatura degli scranni del Senato. Perfetto rovescio simbolico del potere, con le sue ombre, le sue luci sinistre, la sua claustrofobica e violenta, è un esempio della coerenza della regia di Carsen, che ricorre a un semplice dettaglio per inscenare il moto dell’animo di un dramma delle coscienze quasi senza azione. Unica riserva, per un’opera dove è necessario seguire ogni singola parola, i cantanti dovrebbero cantare più avanti sul proscenio, per evitare che le loro voci risultino troppo lontane.

Inatteso l’entusiasmo del pubblico romano, che ha tributato dieci minuti di ovazioni a un’opera innovativa e coraggiosa che segna la rinascita del Teatro Costanzi, e merita di andare in scena anche nei grandi teatri d’Europa dove Battistelli è di casa.

Marina Valensise
(20 novembre 2021)

La locandina

Direttore Daniele Gatti
Regia Robert Carsen
Scene Radu Boruzescu
Costumi Luis F. Carvalho
Luci  Robert Carsen E Peter Van Praet
Personaggi e interpreti:
Julius Caesar  Clive Bayley
Brutus Elliot Madore
Cassius Julian Hubbard
Antony Dominic Sedgwick
Casca Michael J. Scott
Lucius Hugo Hymas
Calpurnia Ruxandra Donose
Octavius Alexander Sprague
Marullus / Cinna Christopher Lemmings
Indovino / I Plebeo Christopher Gillett
Flavius  / Metellus / II Plebeo Allen Boxer
Decius / III Plebeo Scott Wilde
Servo Di Cesare / Titinius / IV Plebeo Alessio Verna
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma 
Maestro del Coro  Roberto Gabbiani

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