Recensioni - Opera

Elisir d’Amore, una festa per il Teatro

Spassosa messa in scena del capolavoro donizettiano a Bergamo

Una festa per il teatro anche questo Elisir d’Amore, presentato per il festival Donizetti al rinnovato Teatro omonimo. Uno spettacolo divertente e poetico che inizia già fuori del teatro con una farsa per burattini e un’orchestra che attira i passanti con le più famose melodie dell’opera.

Un’interessante proposta quella fatta dal festival Donizetti nel presentare l’opera più eseguita del compositore bergamasco, ma non in una versione di routine, bensì filtrata dall’edizione critica di Alberto Zedda e proposta utilizzando in orchestra veri strumenti dell’epoca. Riccardo Frizza, a capo dell’orchestra Gli Originali, concerta un Elisir gioioso e brillante con sonorità controllate e ottima attenzione al gioco teatrale, per cui ottiene un’esecuzione che unisce vivacità e filologia nella splendida cavea acustica del rinnovato Teatro Donizetti.

La regia è affidata a Fredric Wake-Walker, che confeziona uno spettacolo picaresco, spigliato e poetico dove il filo conduttore sono i burattini e lo stesso Teatro Donizetti, immaginandosi l’azione proprio nella piazza davanti al teatro. Il regista poi cerca il coinvolgimento del pubblico a tutto tondo, fuori dal teatro ma anche dentro: infatti prima della musica un simpatico maestro di cerimonie, interpretato da Manuel Ferreira, istruisce il pubblico a intonare, insieme ai cantanti, il coro iniziale del secondo atto. All’entrata vengono distribuite una serie di bandierine che suggeriscono il testo e diventano elemento di vivace interazione fra platea e palcoscenico. Così l’inizio del secondo atto sarà uno sventolio di bandiere in tutta la sala e un gioioso rito canoro collettivo, per scacciare gli spettri del passato ed esorcizzare le paure del futuro. Cantiamo tutti insieme nell’auspicio che il teatro rimanga aperto e che l’opera ritrovi una essenziale e desiderata normalità.

Il preludio corre sui fili dell’innocenza e della spensieratezza con alcuni fanciulli, che, piccoli alter ego dei personaggi, mimano l’azione, rimandano ai caratteri dell’opera e ne esaltano il coté fiabesco e naif. Difatti poi tutta la massa in scena è giocata in un riuscito connubio fra fiaba e commedia: una piazza, una fiera di paese in cui la leggerezza e il godimento, la farsa e la commedia di carattere occhieggiano e non precludono al risvolto drammatico, alla tristezza composta di personaggi che nascondono sotto abiti clowneschi la paura della solitudine. Nemorino è un moderno clown relegato in vestiti troppo larghi, un piccolo cappello bianco lo rende quasi un pinocchio contemporaneo; veloce, divertente e ingenuo, ha la libertà dell’innocenza e la disperata tristezza della gioventù innamorata quando canta “Una furtiva lacrima” davanti ad un cielo stellato, con in mano un palloncino che volerà in cielo a fine della romanza

La scena è una piazza, semplice e funzionale, addobbata di festoni rossi, mentre i costumi sono variopinti, esagerati, sovrabbondanti di righe, a tratti provinciali. Scene di Federica Parolini e costumi di Daniela Cernigliaro. Il trucco è abbondante, marcato. I movimenti netti, esagerati. La mimica facciale accentuata spesso furiosa, digrignante e disperata. Fuori dal teatro troviamo una baracca di burattini, dentro al teatro attori vestiti e truccati quasi come burattini: forse anche il nostro teatro altro non è che una grande baracca dei burattini? Dulcamara ne tira le fila tanto che gioca letteralmente al burattinaio durante il duetto “Io son ricco e tu sei bella”: è lui che racconta la storia delle pene d’amore, dell’amore d’istinto e del calcolo d’interesse, una storia che si ripete immutabile per secoli, sempre uguale.

Un amore che acquista senso solo nell’immediatezza del teatro, davanti al pubblico riunito in una comunità di ascoltatori per cui anche la storia più banale, scontata e conosciuta, diventa viva e palpitante, necessaria, mai scontata.

Il regista gioca con tutto questo, con il teatro, con i burattini, a tratti con il circo. Gioca per ribadire l’unicità del teatro e ci riesce egregiamente: non ci sono rimandi storici, nessun cerebralismo, solo gioco, divertimento, poesia e voglia di stare insieme. Quello di cui attori, cantanti e pubblico hanno bisogno in questo momento e che rende indimenticabile questa produzione dell’Elisir d’Amore.

Un’operazione riuscita anche grazie ad interpreti di prim’ordine, prima di tutto cantanti e attori, come del resto sempre dovrebbe essere, che riescono a far proprio lo spirito festoso dello spettacolo e a divertirsi divertendo. Su tutti spicca il Nemorino del tenore messicano Javier Camarena, spigliato, poetico, divertente, oltre ad essere assolutamente in parte e aderente al personaggio, sfoggia una voce timbrata e accattivante, ricevendo una vera e propria ovazione dopo “Una furtiva lagrima”. Roberto Frontali disegna un Dulcamara sfaccettato, gaglioffo, burbero, mai sopra le righe, dal canto controllato, ficcante e splendidamente scandito nei sillabati. Florian Sempey presta a Belcore una voce scura, importante, da vero bass-bariton, e fa dimenticare d’incanto i baritoni chiari, a tratti slavati, a cui di solito viene affidata parte. Completa il personaggio con la dovuta ironia, giocando a dovere con lo stereotipo del miles gloriosus della commedia, aggiungendo simpatia e credibilità al suo personaggio. Simpatica, sfrontata e vocalmente calibrata l’Adina di Caterina Sala, che rende con adeguata civetteria il suo personaggio e trionfa nell’aria finale “Prendi, per me sei libero”, in cui esalta il suo strumento dotato di una coloritura sicura e precisa. Anais Mejìas è stata una simpatica Giannetta.

Teatro praticamente esaurito e grande successo nel finale, in fervente attesa del Donizetti Opera 2022.

Raffaello Malesci (05 Dicembre 2021)