“I Lombardi allaprima crociata” al Teatro La Fenice di Venezia

Venezia, Teatro La Fenice, Lirica e balletto, Stagione 2021-2022
“I LOMBARDI ALLA PRIMA CROCIATA”
Dramma lirico in quattro atti su Libretto di Temistocle Solera, dal poema omonimo di Tommaso Grossi
Musica di Giuseppe Verdi
Arvino, figlio di Folco, signore di Rò ANTONIO CORIANÒ
Pagano, figlio di Folco, signore di Rò, poi eremita MICHELE PERTUSI
Viclinda, moglie d’Arvino MARIANNA MAPPA
Giselda, sua figlia ROBERTA MANTEGNA
Pirro, scudiero d’Arvino MATTIA DENTI
Un priore della città di Milano CHRISTIAN COLLIA
Acciano, tiranno d’Antiochia ADOLFO CORRADO
Oronte, suo figlio ANTONIO POLI
Sofia, moglie del tiranno d’Antiochia, fatta celatamente cristiana BARBARA MASSARO
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice

Direttore Sebastiano Rolli
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Regia Valentino Villa
Scene Massimo Checchetto
Costumi Elena Cicorella
Light designer Fabio Barettin
Movimenti coreografici Marco Angelilli
Prima rappresentazione veneziana in tempi moderni
Venezia, 1 aprile 2022
Quarto titolo del catalogo verdiano, I Lombardi alla prima crociata tornano alla Fenice dopo un’assenza durata 178 anni: l’ultima rappresentazione “storica” risale infatti al lontano 1844, l’anno dopo la prima assoluta della Scala. L’opera costituisce una testimonianza importante dell’arte del giovane Verdi, pur essendo meno equilibrata ed omogenea dal punto di vista stilistico rispetto al Nabucco, immediatamente precedente, e al successivo Ernani. In ogni caso essa racchiude, all’interno di una partitura per molti versi in linea con le convenzioni del melodramma del primo Ottocento, pagine preziose e originali, che già prefigurano quello che sarà il magistero drammaturgico-musicale del grande bussetano. La Fenice propone I Lombardi nell’edizione critica, curata da David R. B. Kimbell sulla base dell’autografo verdiano, conservato nell’Archivio storico Ricordi: una nuova versione, che presenta alcune varianti testuali e musicali rispetto a quella tradizionale, consentendo agli esecutori di ritrovare un volto più genuino del Verdi dei cosiddetti “anni di galera”.
È quello che si è proposto anche il maestro Sebastiano Rolli, che ha cercato di valorizzare il materiale musicale, pur con la sua, già ricordata, ineguaglianza stilistica, che nasce dall’accostamento del sublime al prosaico – tipica della grande letteratura romantica, da Balzac, a Hugo, a Manzoni – e che in Verdi diventa funzionale all’emancipazione del melodramma dal mondo belcantistico e alla caratterizzazione dei vari personaggi. Sanguigna è risultata la sua interpretazione – forse eccessivamente concitata nell’agogica in certi momenti di trascinante impeto guerriero –, ma anche attenta alle raffinatezze strumentali che non mancano nella partitura, come quell’imponente assolo di violino – magistralmente eseguito dal primo violino dell’orchestra – , che introduce alla scena sesta dell’atto III e poi accompagna l’episodio, che vi si svolge, ambientato presso le fonti del Giordano, con Giselda che accudisce Oronte ferito a morte. Impeccabile, comunque è risultata, qui come altrove, tutta l’orchestra, quanto a pulizia negli attacchi e affiatamento al suo interno e con il palcoscenico.
Per quel che riguarda la regia, Valentino Villa, discostandosi dalla tradizionale lettura dei Lombardi in chiave patriottica e risorgimentale, assegna alle vicende narrate un valore “universale”, sempre attuale, trasferendo la storica Prima Crociata ai giorni nostri e presentandola come una delle – ahimè! – non poche guerre, che attualmente oppongono l’Occidente cristiano all’Oriente islamico. Dovrebbe trattarsi di una “nuova” lettura, per quanto – ci permettiamo di notare – non si distacchi molto da analoghi allestimenti relativi ad altri melodrammi di ambientazione storica, cui si è assistito in questi ultimi tempi. In particolare, il regista ha sottoposto l’ambientazione originale a un processo di astrazione, per cui i luoghi e i tempi previsti dal libretto perdono la loro connotazione precisa per divenire categorie universali: Milano appare come una qualsiasi città occidentale al giorno d’oggi, mentre il Medio Oriente è soltanto accennato soprattutto tramite qualche squarcio paesaggistico sul fondo della scena. L’azione si svolge in spazi chiusi – grandi ambienti di grigio cemento assolutamente spogli – che hanno la possibilità di aprirsi e rimodularsi, lasciando apparire con evidente simbologia la croce o un paesaggio lontano. Analogamente la stessa rivalità tra Arvino e Pagano viene ricondotta ad un conflitto ancestrale, quello tra Caino e Abele – archetipo della cruciale contraddizione tra il bene e il male – su cui si fonda tutta la cultura occidentale ma anche quella mediorientale. I crociati – analogamente ai loro nemici musulmani – compongono un gruppo radicalizzato, una setta: vestiti di bianco, brandiscono un kalashnikov, a dispetto della mansuetudine evangelica. Il loro reiterato ricorso alla violenza assume peraltro un carattere involontariamente quasi comico, quando nel corso della conquista di Gerusalemme essi assaltano un piccolo chiosco di kebab, con effetti alquanto spoetizzanti.
Buona in generale la prestazione dei cantanti. In particolare, una voce dal nobile colore scuro si è apprezzata nell’interpretazione del basso Michele Pertusi, che ci ha consegnato un Pagano ricco di sfaccettature. Un bel timbro, in questo caso perlaceo ed omogeneo, ha sfoggiato anche il soprano Roberta Mantegna, nel ruolo di Giselda – pur con qualche fissità nelle note acute –, delineando un personaggio diffusamente caratterizzato dal piglio impetuoso. Generoso è risultato l’Oronte del tenore Antonio Poli, che ha dimostrato un sicuro controllo dei propri mezzi vocali, al pari di Antonio Corianò nei panni di un autorevole Arvino. Degnamente si sono destreggiati anche i bassi Adolfo Corrado (un Acciano, credibile e ben timbrato) e analogamente Mattia Denti, quale Pirro. Positiva la prova offerta dai soprani Marianna Mappa (Viclinda) e Barbara Massaro (Sofia), nonché dal tenore Christian Collia nel ruolo del Priore.
Encomiabile si è dimostrato il Coro del Teatro La Fenice, ben istruito dal nuovo direttore Alfonso Caiani, che ha affrontato con coesione e sensibilità interpretativa il ruolo importante, che Verdi affida a questo insieme, ben al di là del tradizionale mero commento relativo a fatti che in fondo non lo riguardano direttamente. Scroscianti applausi di approvazione con particolare intensità a fine serata.