Venezia: Faust va al cinema

Dopo il Faust “in tempore pandemiae” dello scorso giugno (qui la recensione) il regista andorrano Joan Anton Rechi la torna alla Fenice con la medesima opera ma in un allestimento completamente diverso e tutt’altro che convincente.

Molte intuizioni, alcune anche condivisibili, si perdono in mille rivoli fatti di un velleitarismo inconcludente che poco o nulla ha a che vedere con Goethe e Gounod.

Se l’idea di partenza, ovvero quello di ambientare l’azione in uno studio cinematografico con un Méphistophélès -Fellini a tirare le fila della seduzione di una Marguerite-sartina da parte di Faust vecchio cinefilo, è interessante lo è molto meno lo sviluppo dell’azione drammaturgica – complici il brutto impianto scenico di Sebastian Ellrich e i costumi chiassosi di Gabriella Salvaferri insieme al disegno di luci anonimo di Alberto Rodriguez Vega – che si risolve in un continuo accennare senza mai scavare.

Sciocchina la trovata di Méphistophélès che disegna un bel pisello con il rossetto, prontamente cancellato da Marguerite, sullo specchio da trucco dello studio cinematografico, così come è inutile la controscena della fellatio praticata al demonio dall’attempata ma vogliosa Martha.

Già visto Méphistophélès in versione trangender – qui è Lola Lola dell’Angelo Azzurro – che durante il sabba della Notte di Walpurga fa “sedurre” Faust da una serie di icone femminili del grande schermo, dalla Marylin di Come sposare un milionario a Barbarella, dalla Vedova di Kill Bill a Leia Organa di Star Wars. Il resto è banalità.

Frédéric Chaslin si conferma tra gli interpreti più ricercati del grande repertorio francese che gli calza come una seconda pelle anche se questa volta il suo Faust appare a tratti lontano dallo spirito del Grand Opéra – complice anche qualche sciatteria dell’orchestra – che non può prescindere dall’elemento pompier pena il risultare in certo qual modo snaturato

Nel ruolo-titolo Ivan Ayon Rivas si conferma interprete sensibile e padrone di un registro acuto di bella luminosità.

La Marguerite di Carmela Remigio è una lezione di canto e di arte scenica, vibrante di passioni e al contempo animata da mille dubbi.

Alex Esposito sembra non voler smettere – per fortuna – di crescere e anche in questa occasione riesce a superare se stesso. Il suo Méphistophélès è vocalmente denso, arricchito da una tavolozza infinita di colori e modellato su una recitazione travolgente ma mai incline all’istrionismo. Magnifico.

Armando Noguera è Valentin di bella presenza ma incerto nella linea di canto e nell’intonazione.

Molto ben risolto il Siébel scapestrato di Paola Gardina così come il Wagner partecipe di William Corrò, mentre Julie Mellor è una Marthe corretta.

Ottima la prova del coro, ancora con la mascherina, preparato da Alfonso Caiani.

Alessandro Cammarano
(22 aprile 2022)

La locandina

Direttore Frédéric Chaslin
Regia Joan Anton Rechi
Scene  Sebastian Ellrich
Costumi Gabriella Salvaferri
Light designer Alberto Rodriguez Vega
Personaggi e interpreti:
Doctor Faust Ivan Ayon Rivas
Méphistophélès Alex Esposito
Marguerite Carmela Remigio
Valentin Armando Noguera
Wagner William Corrò
Siébel Paola Gardina
Marthe Schwertlein Julie Mellor
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del Coro Alfonso Caiani

0 0 voti
Vota l'articolo
Iscriviti
Notificami

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti