Verona, Teatro Filarmonico: “Orlando Furioso”

Verona, Teatro Filarmonico, Stagione Lirica 2022
“ORLANDO FURIOSO”
Dramma per musica in tre atti su libretto di Grazio Braccioli
Musica di Antonio Vivaldi
Orlando TERESA IERVOLINO
Angelica FRANCESCA ASPROMONTE
Alcina LUCIA CIRILLO
Bradamante CHIARA TIROTTA

Medoro LAURA POLVERELLI
Ruggiero SONIA PRINA
Astolfo  CHRISTIAN SENN
Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona
Direttore Giulio Prandi
Maestro del Coro Ulisse Trabacchin
Regia Fabio Ceresa ripresa da Federico Bertolani
Scene Massimo Checchetto
Costumi Giuseppe Palella
Luci Fabio Barettin

Allestimento della Fondazione Teatro La Fenice di Venezia in coproduzione con il Festival della Valle d’Itria di Martina Franca
Verona, 8 maggio 2022
Si può tranquillamente affermare che questo spettacolo segni una sorta di ritorno a casa di Vivaldi: il teatro Filarmonico fu inaugurato il 6 gennaio 1732 da “La fida ninfa”, su libretto del letterato veronese Scipione Maffei, e fu proprio qui che Orlando furioso fu riproposto nel 1978, dopo un silenzio di 250 anni, da Claudio Scimone che ne curò anche l’edizione critica, con una formidabile Marilyn Horne quale protagonista. Il libretto di Braccioli era già stato messo in musica nel 1713 da Giovanni Alberto Ristori e rappresentato al Teatro Sant’Angelo di Venezia (dove Vivaldi era impresario); già un anno dopo il “prete rosso” mise mano alla partitura di Ristori con interpolazioni musicali proprie ma fu solo nel 1727 che decise di musicare interamente l’Orlando furioso riprendendo il libretto originale sul quale era stata apportata qualche lieve modifica.
I due punti fondamentali nella drammaturgia dell’opera sono la follia di Orlando e la figura della maga Alcina; in particolare a quest’ultima Vivaldi riserva ben sei arie anche perché poteva contare sul contralto Anna Girò, la celebre “Annina del Prete Rosso”, con la quale strinse un sodalizio artistico a lungo termine.
L’edizione proposta al Filarmonico era quella di Federico Maria Sardelli, ormai considerato il massimo esperto vivaldiano, per Casa Ricordi; la partitura prevede, accanto ai consueti archi, anche un flauto traverso (per l’aria di Ruggero), due trombe e due corni, oltre ad una tiorba per il continuo.
La regia originale di Fabio Ceresa, frutto della coproduzione tra il Teatro La Fenice di Venezia e il Festival di Martinafranca, e qui ripresa da Federico Bortolani, era mirata a sottolineare il confronto tra la sfrenata passionalità di Alcina e la rigorosa castità di Orlando, che non cede alle profferte della maga ma non è nemmeno tentato dalla bella Angelica, nonostante ne sia innamorato. Anche l’evoluzione diametralmente opposta che finisce per coinvolgere i due personaggi: Alcina perde la sua pulsione pansessuale a favore di un sentimento più nobile verso Ruggiero mentre il casto Orlando, divenuto folle, scopre una forza bruta che ne sprigiona tutta la fragilità umana. A questo forte contrasto si oppone la forza positiva di Bradamante e la trasognata purezza di Ruggero, a cui Vivaldi riserva una delle arie più belle e complesse della partitura. Perno della vicenda è Astolfo, dapprima innamorato di Alcina salvo poi sconfiggerne il potere; pur movendo in un mondo fantastico, conserva intatta la sua indole umana. Questo caleidoscopio di uomini, ippogrifi, movimentazioni trova nei costumi di Giuseppe Palella e nelle luci di Fabio Barettin una particolare congenialità con la vicenda. Da parte sua l’impianto scenografico di Massimo Checchetto, esalta l’amplesso tra cielo e mare che qui si sfiorano, quasi specchiandosi, in una sottile linea di incontro dove le stelle diventano pesci e i pesci stelle. La luna, dove Orlando perde la ragione, è il riflesso della conchiglia dove vive Alcina. Checchetto immagina dunque un ponte sospeso tra cielo e mare, un ponte sul quale si incontrano il mondo rinascimentale di Ariosto e quello barocco di Braccioli e Vivaldi. Un ottimo spettacolo visivo anche se con un soggetto del genere qualche effetto in più non avrebbe certamente guastato. Sul piano puramente musicale va certamente ricordato che il manoscritto di Vivaldi prevede un massiccio impiego del registro di contralto anche se il cast del Filarmonico non sembrava proteso in quella direzione dal momento che presentava in prevalenza voci di mezzosoprano e, in più di un’occasione, i suoni gravi sparivano all’ascolto “risucchiati” dall’orchestra; va comunque precisato che spesso, ed ormai sembra essere consuetudine, i cantanti sono costretti a cantare in posizioni scomode e ben oltre il proscenio. Detto questo, sulla compagnia di canto svettava Chiara Tirotta, ormai presenza frequente al Filarmonico, una combattiva, furente ma pur serena Bradamante, che conferma il bel colore della voce unito ad una certa padronanza scenica; con lei Francesca Aspromonte quale Angelica sospesa tra il desiderio per Medoro e la strategia mortifera per eliminare l’ingombrante e molesto Orlando. Una bella vocalità, peraltro a lei comoda nell’unica parte che Vivaldi affida al registro di soprano. Teresa Iervolino, nel ruolo eponimo, pur convincente nella scena della follia, perde l’occasione in quella che è sostanzialmente l’aria di bravura, la celebre “Nel profondo, cieco mondo” pure iniziata bene ma vocalmente fagocitata dalle scene (e dall’orchestra) nella ripresa quando è a stento udibile e i virtuosismi, arricchiti nel da capo, ne risultano penalizzati. Anche l’Alcina di Lucia Cirillo, buona nella parte ma non abbastanza scavata nella perfidia, risulta “leggera” per la tessitura richiesta così come Laura Polverelli e Christian Senn (rispettivamente Medoro e Astolfo)ci sono parsi “al limite”: di gestione dello strumento, la Polverelli, per limiti stilistici, Senn. Infine Sonia Prina nei panni di Ruggero, vocalmente corretta e gratificata da qual gioiello che è l’aria “Sol da te, mio dolce amore”; a suo agio negli accenti patetici, eccellentemente coadiuvata dal flauto obbligato con cui dialoga (e qui va menzionato con merito il primo flauto della Fondazione che ha utilizzato un traversiere in legno).
Dal podio Giulio Prandi, autore di una lettura viva, smagliante e spavalda, ha ottenuto dall’orchestra della Fondazione Arena (in autentico stato di grazia) un bel suono, di raro ascolto, con sonorità propriamente settecentesche; del resto il giovane maestro pavese è da anni votato a questo tipo di repertorio e l’impronta data a quest’opera lo dimostra ampiamente. Bene il coro preparato da Ulisse Trabacchin, anche se il suo intervento è ridotto all’essenziale. Pubblico un poco più numeroso degli spettacoli precedenti, forse incuriosito dal titolo inusuale, forse affascinato dal dorato mondo barocco, comunque attento e prodigo di applausi. Con questo spettacolo la fondazione sospende la programmazione al chiuso per aprirsi alla grande kermesse areniana; “Orlando furioso” replica il’11, il 13 e il 15 maggio. Poi si ritornerà al Filarmonico il 23 ottobre per “La Gioconda”. Repliche l’11 Foto Ennevi per Fondazione Arena