Aix-en Provence: il Moïse et Pharaon laico di Tobias Kratzer

Dall’inizio alla fine, Pharaon indossa una grisaglia doppiopetto da CEO di qualche azienda molto importante. Coerentemente, la sua reggia è la sala di un consiglio di amministrazione: tavolo ovale per riunioni, computer portatili, affaccendarsi di segretarie, qualche addetto alla sicurezza, parenti litigiosi, amici esageratamente ossequiosi. Anche Moïse ha la sua divisa: tunica bianca e mantello rosso, di vago gusto mediorientale. Ma è chiaro che l’abito non fa il monaco: molto più importante il suo bastone nodoso, che sembra un ramo appena staccato dall’albero, simbolo di un potere ben diverso da quello di Pharaon, trait-d’union con un dio potentissimo e severo.

Nel primo atto di Moïse et Pharaon di Rossini, produzione di punta del festival di Aix-en-Provence in scena nel Théâtre de l’Archevêché, egizi ed ebrei si dividono la scena senza bisogno di muri, con geometrica impermeabilità: a destra la sala del potere – comunque oppressivo, di qualsiasi natura esso sia – a sinistra il mondo dei reietti e degli oppressi: una tendopoli mediorientale, un centro di accoglienza per migranti. Degradato quanto basta per spiegare il fatto che questa gente, a un certo punto, si metta a fabbricare bottiglie molotov. Solo una persona, fra quelli che stanno in Cda, si mescola con i sottomessi: è Aménophis, il figlio di Pharaon, preso d’amore per la fanciulla ebrea Anaï. Sembra di buoni sentimenti, il ragazzo, incline ad aiuti umanitari per il popolo della sua bella, ma quando lei lo rifiuterà finirà molto male anche lui, come tutti i suoi compatrioti, o soci.

Il festival di Aix vanta medaglie non di poco conto per quanto riguarda la Rossini Renaissance, specie nell’ambito dell’opera seria. Ed è nella logica di una rassegna come questa affidarsi a registi capaci di sorprendere, di aprire nuove prospettive. Per questo Moïse la scelta è caduta su Tobias Kratzer, che in Europa è conosciuto per allestimenti “moderni” di grande (e provocatorio) impatto, non ultimo un Tannhäuser circense e pop in quel di Bayreuth. Il fatto è che la prospettiva d’interpretazione disegnata da Kratzer in questo spettacolo (scene e costumi di Rainer Sellmaier, luci di Bernd Purkrabek, coreografie di Jeroen Verbruggen, video di Manuel Braun) non va molto oltre un’attualizzazione scarsamente motivata nei suoi nodi drammaturgici. Scompare l’elemento sacro, che in questo geniale “incunabolo” di grand-opéra parigino non è forse preponderante rispetto alle vicende individuali e al contesto storico, ma è comunque decisivo. Scompare la forza scenografica delle grandi scene di massa e non è detto che sia un male, ma si fatica a cogliere il nesso di vicende che nascono comunque da contrasti fortemente religiosi, da visioni universali che confliggono disastrosamente.

Del resto, se le Tavole della Legge sono tatuaggi sulle braccia e sul petto di Moïse e il grande sacerdote Osiride è un dirigente della società di Pharaon, è chiaro che la scelta è per una lettura laica, se si vuole classista. Poi ci sarebbe il soprannaturale, terrificanti “piaghe d’Egitto” e quel Mar Rosso che dopo lunghe traversie si apre per lasciare passare gli Ebrei lanciati verso la libertà e si richiude sugli inseguitori egizi. Kratzer lo risolve con video-proiezioni che lasciano il tempo che trovano e un filmato un po’ improbabile di gente travolta dalle onde, di cadaveri galleggianti in abito scuro. Il finale è nel segno del rovesciamento, a suo modo colpo di teatro. O morale della favola. Durante il “Cantique” la scena è una spiaggia di qualche eleganza, si immagina sulle rive del Mar Rosso, con gli ebrei che cantano le lodi del loro dio che li ha salvati dalle acque, tranquillamente accomodati sotto gli ombrelloni.

Se lo spettacolo è apparso non privo di qualche suggestione ma irrisolto, sontuosa è risultata all’ascolto su Artè (dove si potrà vedere gratuitamente fino all’agosto dell’anno prossimo, con l’avvertenza di scegliere la lingua francese nei settaggi a questo LINK) l’esecuzione musicale. Sul podio dell’Orchestra dell’Opera di Lione – debuttante di gran lusso in questo titolo – è salito uno specialista rossiniano come Michele Mariotti, che ha disegnato con fascinosa ricchezza di colori e fraseggio sottilmente espressivo la sontuosa scrittura strumentale dispiegata in quest’opera da Rossini, vero e proprio anticipo del Tell. È un Moïse dalle realizzate ambizioni “sinfoniche”, quello restituito da Mariotti, che fa dell’orchestra stessa un “personaggio” indispensabile nella drammaturgia, si tratti di esaltare i contrasti psicologici fra i personaggi, tratteggiare l’affresco ambientale, delineare il soprannaturale e lo spirituale.

Nel ruolo principale, Michele Pertusi ha sciorinato la sua intelligenza musicale e la sua padronanza vocale, disegnando un Moïse intenso nella declamazione, accattivante nella tornitura melodica, sempre ben controllato tecnicamente. Un Mosè ieratico ma anche profondamente umano. Al suo cospetto, Adrian Sâmpetrean è stato un Pharaon non privo di regalità, dalla vocalità composta ma fors’anche un po’ frenata – in fondo in linea con il taglio registico, che esalta debolezze e incertezze del personaggio. Svettante, preciso nella coloratura e in proficua adesione stilistica è risultato il tenore samoano Pene Pati nel ruolo di Aménophis diviso fra amore e aziendalismo (o ragion di stato). Sontuose nei ruoli femminili sia Jeanine De Bique, Anaï, che Vasilisa Berzhanskaya, Sinaïde ad Aix come lo era stata la scorsa estate nel Moïse pesarese. Agilità, canto di forza, tenuta nella zona alta della tessitura, precisione e sottigliezza: tutto nelle linee di canto di queste due magnifiche cantanti è funzionale all’esaltazione delle due magnifiche parti scritte da Rossini. Fra gli altri interpreti, da citare la Marie di Géraldine Chauvet e il risentito Eliézer di Mert Süngü. Completavano il cast Edwin Crossley-Mercer (Osiride) e Alessandro Luciano (Aufide). Ragguardevole per accortezza stilistica e precisione il Coro dell’Opera di Lione istruito da Richard Wilberforce.

Cesare Galla

La locandina

Direttore Michele Mariotti
Regia Tobias Kratzer
Scene e costumi Rainer Sellmaier
Luci Bernd Purkrabek
Coreografia Jeroen Verbruggen
Video Manuel Braun
Personaggi e interpreti:
Moïse Michele Pertusi
Pharaon Adrian Sâmpetrean
Anaï Jeanine De Bique
Aménophis Pene Pati
Sinaïde Vasilisa Berzhanskaya
Eliézer Mert Süngü
Marie Géraldine Chauvet
Osiride, Une voix mystérieuse Edwin Crossley-Mercer
Aufide Alessandro Luciano
Elegyne, princesse syrienne Laurène Andrieu
Orchestra e coro dell’Opéra de Lyon
Maestro del coro Richard Wilberforce

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