Pesaro: i dinamismi della Gazzetta

“La Gazzetta” (Napoli, Teatro de’ Fiorentini, 26 settembre 1816) è opera dal destino sintomatico nel canone rossiniano. Escluso che si possa annoverare nel gruppo dei capolavori, questo “dramma per musica” – in realtà una commedia brillante – da un lato ha vissuto qualche traversia musicologica, dall’altro è comunque a suo modo esemplare per capire quali fossero le consuetudini produttive nel mondo operistico italiano all’inizio dell’Ottocento. Fino al 2011, la mancanza del Quintetto del primo atto, non esistente nell’autografo e nei manoscritti secondari, anche se indicato nel libretto originale (e necessario al pur fragile sviluppo drammaturgico), sembrava un mistero insolubile e rendeva impossibile un’esecuzione integrale. Non completo musicalmente fu ad esempio lo spettacolo con regia di Dario Fo al Rossini Opera Festival 2001.

Il ritrovamento di quella musica nelle collezioni del conservatorio di Palermo, con successiva autentica da parte del nume tutelare del rossinismo, Philip Gossett, ha permesso nel 2015, sempre al ROF, la prima esecuzione integrale. Chiarendo la natura anfibia di una partitura che come poche altre è pervasa di “autoimprestiti”, ovvero di spezzoni provenienti da altre opere: quella del Quintetto deriva, né più né meno che dal Finale I del Barbiere di Siviglia, di cui conserva almeno i versi più famosi, quelli del Tutti che inizia con: “Mi par d’esser con la testa / in un’orrida fucina…”.  Ma numerosi sono anche i frammenti provenienti da altre opere, dalla Pietra del paragone al Turco in Italia, dalla Scala di seta a Torvaldo e Dorliska.

Questa pratica, si sa, è sempre stata adottata da Rossini con mano sapiente, mai generica: in questo caso, specialmente nel primo atto diventa preponderante e non efficace come in altri casi. Il fatto è che quest’opera venne alla luce in un periodo di lavoro “matto e disperatissimo”, stretta sul versante comico fra Il Barbiere di Siviglia (che aveva debuttato sette mesi prima) e La Cenerentola, che sarebbe andata in porto alla fine del gennaio successivo. E su quello serio fra Elisabetta regina d’Inghilterra (che è del 1815) e Otello, che sarebbe andato in scena sempre a Napoli appena un paio di mesi dopo La Gazzetta.

Al di là del gusto di individuare le “citazioni” che fioriscono lungo tutto il primo atto; e constatato tuttavia che la magnifica Sinfonia è a tutti nota per essere quella della Cenerentola, ma invece fu scritta originariamente proprio per La Gazzetta, resta il fatto che il secondo atto – quello che contiene la maggior percentuale di musiche originali – si segnala per almeno un paio di caratteristiche rilevanti. La prima riguarda il libretto di Giuseppe Palomba, ovviamente nella seconda parte molto più efficace, libero dai lacci e dai laccioli delle riscritture obbligate dagli “autoimprestiti”. La seconda, soprattutto, riguarda la vena quasi parodistica di Rossini, che non esita ad adottare forme e procedure nell’opera seria (esemplare in questo senso il recitativo accompagnato dell’Aria di Lisetta), spingendo anche il pedale della coloratura in chiave melodrammatica, salvo ricondurre il tutto a una trascinante ironia di forte caratterizzazione ritmica e di spigliatissima efficacia melodica. A sprazzi, sembra emergere qui la verve tipica dell’Italiana in Algeri, che del resto risale ad appena tre anni e mezzo prima, più che lo spirito da commedia brillante del recentissimo Barbiere.

Così legge l’opera anche il regista Marco Carniti, il cui allestimento – visto la prima volta nel 2015 (scene Manuela Gasperoni, costumi Maria Filippi, luci Fabio Rossi) – è stato ripreso in occasione del ROF 2022, prima edizione post-virus del festival pesarese, dopo due anni inevitabilmente problematici. E quindi, molto dinamismo dei personaggi in una scenografia peraltro ridotta all’essenziale, con pochissimi elementi di “arredo” (tavolini della locanda in cui tutta la vicenda si volge, una sorta di tavolo-pedana facilmente spostabile, tendaggi vari). La fragile storia (che deriva da una commedia di Goldoni e ha al centro un padre baggiano che cerca di maritare la figlia pubblicando un annuncio su un giornale) è parigina – come da libretto – soprattutto per via dei costumi, ma è nettamente molto più napoletana per la caratterizzazione del personaggio principale, Don Pomponio Storione, che del resto parla e canta in napoletano stretto. E per la presenza in scena di un mimo che offre gesto e ironia a un personaggio appena citato nel testo originale, quello del servo Tommasino, qui sorta di alter ego muto (eppure molto eloquente) del protagonista. Che poi fosse necessario anche offrire una sorta di ricostruzione fra i due della celeberrima scena in cui Totò detta una lettera a Peppino (Totò, Peppino e la malafemmina, 1956), non diremmo. Ma si tratta di un dettaglio (se la memoria non c’inganna, non c’era nello spettacolo del 2015), che nulla toglie alla pertinente leggerezza e positiva fatuità di uno spettacolo che evita abilmente anche i momenti di stanca causati da recitativi spesso molto prolungati.

Al Teatro Rossini, l’esecuzione diretta con mano precisa e discreta scioltezza da Carlo Rizzi, alla guida della non sempre brillante orchestra sinfonica G. Rossini, ha preso quota con le caratteristiche della partitura, offrendo un secondo atto di nitida efficacia, al quale hanno corrisposto un po’ tutti i protagonisti vocali, come se dopo qualche imbarazzo nel primo atto avessero trovato la misura, l’agilità (nella coloratura) e a spigliatezza necessarie a questa singolare commedia napoletana. Se infatti Carlo Lepore è stato dall’inizio alla fine un Pomponio magistrale nel misurare la vena comica e grottesca con la rotondità dell’emissione e la duttilità del fraseggio, i vari Maria Grazia Schiavo (Lisetta), Giorgio Caoduro (Filippo), e Pietro Adaíni (Alberto) hanno sfoggiato specialmente nel secondo atto la migliore disposizione vocale per precisione, efficacia e controllo del suono anche nelle vertiginose agilità prescritte da Rossini.

Buono come da tradizione festivaliera anche il gruppo dei comprimari, formato da Martiniana Antonie (Doralice), Alejandro Baliñas (Anselmo), Andrea Niño (Madama la Rose) e Pablo Gálvez (Monsù Traversen) e in crescendo di efficacia il coro del Teatro della Fortuna istruito da Mirca Rosciani.

Teatro al completo, grandi consensi per tutti. Repliche il 13, 15 e 18 agosto.

Cesare Galla
(10 agosto 2022)

La locandina

Regia Marco Carniti
Scene Manuela Gasperoni
Costumi Maria Filippi
Luci Fabio Rossi
Personaggi e interpreti:
Don Pomponio Storione Carlo Lepore
Lisetta Maria Grazia Schiavo
Filippo Giorgio Caoduro
Doralice Martiniana Antonie
Anselmo Alejandro Baliñas
Alberto Pietro Adaíni
Madama La Rose Andrea Niño
Monsù Traversen Pablo Gálvez
Orchestra Sinfonica G. Rossini
Coro del Teatro della Fortuna
Maestro del Coro Mirca Rosciani

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