Salisburgo: le donne in nero di Aida

Aida è un dramma oscuro nel quale si inserisce una storia d’amore capace di assurgere a “universale”; nella visione di Shirin Neshat, iraniana naturalizzata statunitense che torna al Festival di Salisburgo a riallestire la sua produzione del 2017, tutto si gioca su uno scontro di poteri capaci di annientare i più deboli.

Nella protagonista trovano voce tutte le donne nere e velate, vittime sacrificali sull’altare della Politica e della Religione che mai come qui sono una cosa sola, con il clero comunque a dominare il potere temporale.

Amneris – unica donna cui è concesso il colore negli abiti – è a sua volta, insieme alle sue ancelle, succube di soprusi da parte degli uomini – così viene risolta in maniera geniale la “danza dei moretti – che non perdono occasione di rammentare loro quale sia il comportamento da tenere.

Uno spettacolo duro e coinvolgente, sideralmente lontano dai ciarpami cartolinari tanto cari a certo pubblico, capace di focalizzare tutti gli elementi “scomodi” del capolavoro di Verdi.

Tutto si compie all’interno di un parallelepipedo di cemento – la scene, illuminate splendidamente da Felice Ross, sono di Christian Schmidt – simile a quelle scatole di polistirolo con cui si trasportano viveri e medicinali, che ruota, scomponendosi e ricomponendosi, animato dalle videoproiezioni affabulanti della stessa Neshat in cui visi di donne e uomini segnati dal tempo ricordano la sofferenza di chi è costretto da sempre a subire.

I costumi di Tatyana van Walsum richiamano con forza la cesura fra chi domina e chi soggiace e, con i preti i cui abiti si richiamano alle tre religioni monoteiste, con Ramfis Gran Mufti, mentre quelli dei laici si rifanno alla tradizione mediorientale.

La regia è un salutare cazzotto nello stomaco, soprattutto quando mette lo spettatore dinanzi alla quotidianità sfrontata del male cui solo Aida e Radames tentano di opporsi.

Il giovane guerriero sarà costretto a sacrificare un capretto nel tempio di Ftà e a ripetere lo stesso gesto durante il Trionfo, questa volta su una sosia di Aida, giusto un attimo prima che tutti i prigionieri – che si muovono sulle coreografie di Dustin Klein – cui è stata promessa salva la vita vengano invece passati a fil di spada.

Alla fine la liberazione verrà sottoforma di una barca carica di donne – il video Passage è uno dei più incisivi tra quelli dealzzati dalla Neshat – che prende il mare sparendo lentamente all’orizzonte mentre i due amanti si spengono: l’ignoto è qui simbolo di speranza e riscatto.

Di pari passo procede l’esecuzione musicale, davvero superba.

Il talentuoso Alain Altinoglu – con la complicità dei qui davvero sublimi Wiener Philharmoniker – scava nei meandri della partitura restituendo all’ascolto un suono costantemente meditato nelle scelte dinamiche, scevro da qualsiasi pomposità eppure turgido, capace di attingere ad una tavolozza cromatica dalle infinite sfumature.

Sugli scudi la coppia protagonista: Elena Stikhina è Aida dalla linea di canto limpidissima, padrona di un fraseggio coinvolgente – il suo “O cieli azzurri” è un capolavoro tra filati e mezzevoci –, sempre a servizio della parola, così come  Piotr Beczala dà voce e corpo ad un Radames fortemente interiorizzato – il “Celeste Aida” chiuso, come scritto, in pianissimo è da brividi – ma al contempo capace di lanciarsi in accenti appassionati.

Ève-Maud Hubeaux tratteggia un’Amneris ferina e fragile, rotonda nei centri, solida nelle note gravi e svettante in acuto, mentre Luca Salsi dimostra una volta di più la sua non comune capacità di aderire totalmente al dettato verdiano delineando un Amonasro da manuale sia dal punto di vista vocale che da quello della recitazione.

Ottimo il Ramfis sprezzante di Erwin Schrott così come è assai ben risolto il Re di Roberto Tagliavini.

A completare il cast il messaggero baldanzoso di Riccardo Della Sciucca e la ieratica Sacerdotessa di Flore van Meerssche.

Ancora una volta superba la prova della Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor diretta da Huw Rhys Jame.

Quasi dieci minuti di applausi, con la Großes Festpielhaus tutta in piedi a mettere il sigillo su una produzione di assoluta bellezza.

Alessandro Cammarano
(19 agosto 2022)

La locandina

Direttore Alain Altinoglu
Regia Shirin Neshat
Scene Christian Schmidt
Costumi Tatyana van Walsum
Luci Felice Ross
Coreografie Dustin Klein
Drammaturgia Yvonne Gebauer
Personaggi e interpreti:
Il Re Roberto Tagliavini
Amneris Ève-Maud Hubeaux
Aida Elena Stikhina
Radames Piotr Beczala
Ramfis Erwin Schrott
Amonasro Luca Salsi
Un messaggero Riccardo Della Sciucca
Sacerdotessa Flore van Meerssche
Wiener Philharmoniker
Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor 
Maestro del coro Huw Rhys Jame
Angelika-Prokopp-Sommerakademie der Wiener Philharmoniker Bühnenmusik

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