Recensioni - Opera

Torna alla Fenice Madama Butterfly, ottima protagonista Monica Zanettin

Sempre efficace l’iconica e lineare messa in scena di Àlex Rigola, buono nel complesso il cast

Ritorna al Teatro La Fenice di Venezia la messa in scena di Madama Butterfly curata nel 2013 dal regista catalano Àlex Rigola e ripresentata già per la seconda volta.

L’allestimento iconico e in parte futuristico non ha perso con le riprese la sua efficacia generale, in una drammaturgia che gioca sul simbolo e sull’assenza quasi totale di riferimenti alla classica iconografia giapponese. Rigola ambienta l’opera in uno spazio vuoto, bianco, lucente, in cui campeggia un corpo plastico curvilineo, incombente dall’alto nel primo atto e presente in scena nel secondo. Le scene e i costumi sono di Mariko Mori.

Le sinuose curve di questo oggetto indefinito rimandano riflessi cangianti e si stagliano simboliche nello spazio vuoto, quasi una proiezione armonica del desiderio di normalità che pervade la sfortunata figura della geisha Butterfly. L’armonia di curve e colori, in definitiva una attualizzazione di antiche simbologie orientali, ritorna poi nell’irruzione filmica che accompagna efficacemente il passaggio sinfonico dal secondo al terzo atto, in cui partendo dall’attesa notturna di Butterfly si vede un allontanarsi di stelle, il loro trasformarsi in galassie e in nodi avviluppati che rimandano ai due amanti che si uniscono e poi inesorabilmente si allontanano. Un intermezzo di rara efficacia, associato alla splendida musica sinfonica di Puccini.

La regia dal canto suo gioca sul togliere il più possibile, organizzando i personaggi in costumi per lo più bianchi e lineari e concentrandosi principalmente sui protagonisti, che assolvono degnamente il loro compito anche dal punto di vista recitativo, esaltando il controllo del gesto e la ieraticità dei movimenti. Il coro è usato in modo discreto, a tratti remissivo, con entrate semplici e pose di insieme antinaturalisitche. Il coro a bocca chiusa si leva invece dal fondo della platea creando un suggestivo effetto di avvolgente sonorità, grazie anche alla splendida acustica della cavea della Fenice.

Se vogliamo trovare un appunto bisogna dire che il passare del tempo per questa messa in scena si nota principalmente nelle scene d’insieme e nelle parti secondarie, che abbiamo spesso trovato spaesate e immobili senza una reale “pregnanza” scenica. Specialmente nella scena di insieme del primo atto si notava che alcune intenzioni e reazioni latitavano o si erano perse nella lunga strada delle riprese.

L’allestimento resta però efficace e degno di nota per la lettura rigorosa e intima della drammaturgia, che gli interpreti principali hanno ben colto e interpretato.

A partire dalla brava Monica Zanettin che incarna il personaggio di Butterfly con piglio e convinzione, riuscendo ad unire efficacemente la parte quasi infantile della bambina alla scoperta del mondo del primo atto a quella della donna e madre persa in un’illusione d’amore degli atti successivi. Il personaggio è supportato da una voce timbrata, di buona grana e ottimamente sorretta, capace di dolci sfumature bamboleggianti e di acuti sontuosi che riempivano senza difficoltà la cavea della Fenice. Una splendida prova per il soprano trevigiano che è stato giustamente salutato da un profluvio di applausi sia dopo il celebre “Un bel dì vedremo” sia nel finale.

Al suo fianco il giovane tenore napoletano Vincenzo Costanzo convince forte di un fisico del ruolo perfetto e di un timbro brunito e scintillante. Qualche suono aspro e qualche portamento negli acuti iniziali non scalfiscono un’ottima prova che è andata crescendo nel duetto d’amore a fine del primo atto ed è culminata in un “Addio fiorito asil” perfettamente eseguito.

Alberto Mastromarino dava vita ad uno Sharpless convincente, tutto giocato sui sentimenti e sulle mezze voci, con una recitazione attenta e sorvegliata. Degno di nota anche il Goro di Cristiano Olivieri. Professionale senza accenti particolari il resto del cast.

Sesto Quattrini, alla direzione dell’orchestra del teatro alla Fenice, staglia la partitura pucciniana evidenziandone efficacemente il coté sinfonico e leitmotivico. Il direttore ha il merito di averci proposto una concertazione moderna, dai tempi serrati e vibrante di chiaroscuri. Quattrini riserva sempre una grande attenzione al rapporto fra buca e orchestra regalandoci una equilibrata lettura musicale.

Grande successo per tutti gli interpreti in un teatro affollato da turisti provenienti da ogni parte del mondo.

Raffaello Malesci (20 Settembre 2022)