Monaco: Lohengrin messia futuristico alla Staatsoper

Mercoledì 21 dicembre alla Staatsoper di Monaco è andata in scena la sesta recita della nuova produzione del Lohengrin di Richard Wagner. La regia di Kornél Mundruczó si affiancava alla direzione di François-Xavier Roth, il quale ha però dovuto cancellare l’ultima recita pre-natalizia, vittima di un’influenza che nelle recite precedenti aveva decimato il cast. Con due giorni di anticipo è stata dunque annunciata la presenta di Constantin Trinks, mentre fortunatamente tutto il cast è tornato operativo.

Lo spettacolo di Mundruczó ambienta tutto questo Lohengrin in un’atmosfera futuristica, da colonia umana su un satellite disperso nello spazio, caratterizzata dalle scene di Monika Pormale in bilico tra una (credo) volutamente anonima scatola bianca e un contenuto che variava in base agli atti, ma sempre mantenendosi in uno spazio particolarmente limitato, quasi asfittico. In questa messa in scena, Lohengrin non arriva su un cigno da lontane fortezze, ma è già presente sul palco. Il suo ruolo di eroe, gli viene affidato dalla stessa popolazione della colonia/Brabant. L’idea è effettivamente molto buona: Lohengrin non è un eroe bensì la proiezione di un eroe, è un desiderio di salvezza incarnato in personaggio, un messia delegato alla risoluzione di tutti i problemi di questo piccolo mondo. Una figura bidimensionale per necessità, Lohengrin esiste solo finché la popolazione lo eleva a salvatore e non stupisce dunque che per sopravvivere abbia bisogno di un atto di fede. Vista da questo punto di vista, il ruolo di Friederich e soprattutto Ortrud si fa più sfaccettato. Pur nella loro sete di potere, i due personaggi rappresentano il rifiuto verso chi nega il dubbio, elemento fondante della civiltà occidentale moderna, in un populismo che non accetta sfumature né riflessioni. Su questo sfondo si muove il personaggio di Elsa, emarginata sociale e al limite del nevrotico, che si getta tra le braccia di Lohengrin per venire di nuovo riconosciuta e inglobata da questa società.

L’impianto concettuale sulla carta funziona molto bene, ma anche a causa di costumi, scene, luci stereotipici fino ai limiti dell’incuria spesso fatica a compiersi in scena. Resta inoltre confuso il ruolo del meteorite che nel terzo atto cala dall’alto. Il lentissimo avvicinarsi di questa grande massa scura è di grande impatto e parrebbe evocare la sciagura che si abbatterà sul mondo con la distruzione dell’eroe Lohengrin, ma poi il meteorite si ferma, galleggia in aria, i personaggi ci salgono su e giù, Elsa ci resta sopra, alcuni personaggi lo notano, altri non battono ciglio. Insomma, non è chiarissimo il senso di un oggetto che nel programma viene descritto come rappresentante di una verità più ampia, ecosistemica, distante dai nostri piccoli problemi quotidiani, insomma, una metafora del cambiamento climatico (e la mente va a Don’t look up di Adam McKay, uscito nel 2021). Di nuovo, l’idea è potenzialmente buona, ma piuttosto contorta come realizzazione e tanto estranea alla drammaturgia wagneriana che senza programma di sala sarebbe stato complesso trarne una lettura coerente. Il tutto contribuisce dunque ad una certa sensazione di disordine scenico che altre regie di Mundruczó (penso a Sleepless di Eötvös recensito dalla Staatsoper di Berlino un anno fa: qui la recensione) riuscivano ad evitare.

Questo distacco tra potenziale e realizzazione scenica ha investito anche il cast, che forse ancora in difficoltà per questioni di salute non ha dato il massimo, al punto che Anja Kampe ha comunque fatto annunciare l’indisposizione e ha cantato tutto il ruolo di Ortrud, con evidenti segni di stanchezza a fine recita. Il cast era in realtà veramente omogeneo: pregi e difetti accomunavano gran parte degli interpreti. Quasi tutti, ad esempio, avevano un timbro potenzialmente perfetto per il loro personaggio. Klaus Florian Vogt ha volume e brillantezza, ma anche un timbro chiarissimo che si sposava molto bene con l’idea di un Lohengrin etereo, sovrumano, forte e fragile allo stesso tempo. Johanni van Oostrum era una Elsa dalla voce splendida, capace di grande morbidezza ed effusione lirica, una bella pienezza nelle messe di voce e, da non sottovalutare, un’agilità scenica che ha donato credibilità alle non banali richieste attoriali del suo personaggio. Johan Reuter è un Friederich von Telramund iracondo, aspro, dal carattere severo e aggressivo e la Ortrud di Anja Kampe è maestosa e capace di una forza drammatica senz’altro impressionante, al netto dell’indisposizione la più convincente di tutta la recita. Bene il re Heinrich di Mika Kares, anch’egli dall’ottima voce ampia e maestosa. Fin qui sembrerebbe una situazione idilliaca, ma non sono stati pochi i problemi, soprattutto di intonazione e spesso nei salti, affrontati con passo incerto e grande tensione. Insomma quando si arrivava sull’appoggio della nota lunga funzionava tutto, ma il percorso per arrivarci era piuttosto accidentato. Una menzione d’onore va però ad Andrè Schuen, decisamente un Araldo di lusso, dalla voce non stentorea, ma di splendido timbro e veramente ben modellata.

C’è da dire che spesso i cantanti, probabilmente affaticati, sono stati spinti nelle regioni del forte e del fortissimo dalla direzione di Constantin Trinks, che forse troppo felice di dirigere l’orchestra della Staatsoper si è fatto prendere più volte la mano. D’altronde come biasimarlo: quando si ha tra le mani un’orchestra come questa, è difficile evitare di sfruttarne ogni risorsa. Il timore di una direzione timida, vista la sostituzione all’ultimo di Roth e la pressoché totale assenza di prove, è stato però decisamente fugato. Ottimamente preparata dal direttore francese, Trinks è riuscito ad inserirsi agevolmente nell’orchestra, a tratti ovviamente assecondando il lavoro già fatto da Roth, ma senza per questo evitare di dare un proprio apporto, soprattutto nello slancio nervoso, nell’incalzante ritmo drammatico e in un buon coordinamento dell’insieme. Insieme che si avvaleva anche della stupefacente prova del Coro della Staatsoper (con annesso l’Extrachor). Di splendidi passaggi corali il Lohengrin ne è colmo, ma a sentirli eseguiti con tanta maestria se ne usciva meravigliati come al primo ascolto. E difatti il pubblico ha accolto la recita con un caldissimo entusiasmo ed è rimasto ad applaudire energicamente fino a far tornare fuori più e più volte l’intero cast, direttore incluso, accogliendoli ad ogni uscita di sipario con fragorose ovazioni.

Alessandro Tommasi
(21 dicembre 2022)

La locandina

Direttore Constantin Trinks
Regia Kornél Mundruczó
Scene Monika Pormale
Costumi Anna Axer Fijalkowska
Luci Felice Ross
Drammaturgia Kata Wéber, Malte Krasting
Personaggi e interpreti:
Heinrich der Vogler Mika Kares
Lohengrin Klaus Florian Vogt
Elsa von Brabant Johanni van Oostrum
Friedrich von Telramund Johan Reuter
Ortrud Anja Kampe
Heerrufer des Königs Andrè Schuen
Brabantische Edle Liam Bonthrone, Granit Musliu, Gabriel Rollinson, Roman Chabaranok
4 Edelknaben Solist(en) des Tölzer Knabenchors
Bayerisches StaatsorchesterBayerischer Staatsopernchor und Extrachor der Bayerischen Staatsoper
Maestro del coro Tilman Michael

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