Piacenza: l’intima bellezza di Pelléas et Mélisande

Non è facile inquadrare «Pelléas et Mélisande» di Claude Debussy all’interno di una classificazione convenzionale. Studiando la sua gestazione, il libretto di Maeterlinck, le lettere, i saggi critici di cui René Leibowitz ci restituisce importanti riflessioni, nonché il contesto storico parigino ed europeo, ci si rende immediatamente conto di essere di fronte a un unicum, un’opera che non ha precedenti e che non ha creato nemmeno un seguito.

L’anti-opera, come spesso si sente dire, in realtà traduce in tutto e per tutto gli ideali estetico-teatrali espressi da Maeterlinck. La vicenda mette in scena l’incomunicabilità degli affetti, come se i personaggi che agiscono vivessero all’interno di un proprio mondo in cui non esistono veri e propri affetti. Se il canto lineare di Debussy, infatti, non caratterizza minimamente alcun personaggio, al contempo all’orchestra è un tappeto sonoro di bagliori armonici, temi, evanescenze che visualizza e tratteggia il pensiero dei personaggi senza però mai eccedere in vere e proprie passioni.

La mancanza di una reale partecipazione emotiva riflette tutto quel clima fin de siècle simbolista-esistenzialista che evidenzia la crisi di una società, dei rapporti umani nonché mette in discussione il concetto romantico di amore esteriore ed esteriorizzato che ha affollato intere partiture ottocentesche. Anche lo stesso Wagner, tanto venerato da Debussy in gioventù, pare essere accantonato -almeno in parte- per dar spazio a un’idea nuova di concepire il melodramma, o forse, di non concepirlo.

A ritrarre magnificamente questo paesaggio è la nuova produzione del circuito emiliano capitanato dal Teatro Regio di Parma in cui la regia di Barbe & Doucet e la direzione di Marco Angius hanno dato vita a un gioiello di intima bellezza.

L’idea che sta alla base dell’impianto registico riprende l’inquietante ciclo di dipinti del pittore svizzero Arnold Böcklin “L’isola dei morti” quadri enigmatici che ben si sposano col contesto di Maeterlinck-Debussy. Isole sospese, con radici che non trovano un reale terreno dove affondare, spazi di luci e di buio, velari che rendono tutto rarefatto se non addirittura opaco e torbido, il tutto in uno spazio metafisico in cui le luci, firmate da Guy Simard, sono solo un riflesso lontano.

L’estatica bellezza delle scene e la pertinenza dei costumi trova il giusto riscontro nell’ispirata direzione di Marco Angius che seppur con un organico ridotto, ha saputo estrarre dall’Orchestra dell’Emilia Romagna Arturo Toscanini il giusto colore ed equilibrio sonoro, mantenendo sempre una linea trasparente all’interno del non semplice ordito orchestrale.

Ben si inserisce la compagnia di canto all’interno della visionaria concertazione di Angius in cui si distinguono il Pelléas di Phillip Addis che ha risolto bene la scrittura ambigua di questo ruolo anche laddove si spinge in zone troppo acute per una corda baritonale. Ottimo il Golaud di Dion Mazerolle, molto attento alla parola e scenicamente in parte, ha saputo inserirsi nel pensiero sonoro di Debussy con sensibile attenzione ai colori orchestrali.

Più aspra e non sempre a fuoco, purtroppo, la Mélisande di Karen Vourc’h non convince pienamente. Il ruolo richiederebbe una vocalità più sottile che sappia indossare il testo e porgerlo in una articolazione a volte meccanica che disegni l’inquietudine di questo personaggio. Questo non è avvenuto.

In parte Vincent Le Texier nei panni di Arkël, dal nobile timbro brunito, ha saputo  incarnare l’ambiguità di questo personaggio troppo spesso creduto innocuo.

Dotata di un bel timbro e di un’ottima proiezione è Silvia Frigato che cesella un Yniold innocente. Enkeleida Shkoza, Geneviève, invece eccede nel vibrato inghiottendo in esso il testo. Bene Roberto Lorenzi nel doppio ruolo del medico e del pastore.

Un allestimento di tutto rispetto, con molti spunti che non invadono la sottile drammaturgia sottesa e che rafforza il tessuto musicale la cui bellezza ogni volta sorprende.

Gian Francesco Amoroso
(3 febbraio 2023)

La locandina

Direttore Marco Angius
Regia, scene e costumi Barbe & Doucet
Luci Guy Simard
Personaggi e interpreti:
Mélisande Karen Vourc’h
Pelléas Phillip Addis
Golaud Dion Mazerolle
Arkël Vincent Le Texier
Geneviève Enkeleida Shkoza
Yniold Silvia Frigato
Un medico/Un pastore Roberto Lorenzi
Orchestra dell’Emilia Romagna Arturo Toscanini
Coro del Teatro Regio di Parma
Maestro del coro Massimo Fiocchi Malaspina

5 1 voto
Vota l'articolo
Iscriviti
Notificami

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti