Milano: la nuova luce di Lucia

Agli albori della filologia musicale riaprire i tagli di tradizione pareva un sacrilegio, oggi, a distanza di anni, c’è ancora chi rimpiange le cesoie che in alcuni casi hanno abbondantemente mutilato alcune partiture. La questione dei tagli è spinosa: se un’edizione integrale può funzionare soprattutto in sede discografica, non sempre sortisce lo stesso effetto in teatro. Le variabili possono essere diverse, indubbiamente spesso dipende dalle voci a disposizione. Se, infatti, un cantante fa fatica ad arrivare alla fine di un’aria forse è il caso di agevolarlo anziché sottoporlo a veri e propri tour de force.

Ci sarebbe anche un’altra questione che prima o poi andrà affrontata seriamente: il diapason. Ora, che l’orchestra imponga a dei cantanti un diapason più alto, mi pare un’assurdità soprattutto oggi -nell’era della filologia(!)- in cui la prassi barocca osserva scrupolosamente i temperamenti antichi.

Tuttavia, nel caso fortunato in cui si ha a disposizione una compagnia di canto ragguardevole è molto interessante poter presentare un testo nella sua integralità.

È il caso della nuova produzione di Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti in scena al Teatro alla Scala, voluta e diretta da Riccardo Chailly nell’edizione critica curata da Gabriele Dotto e Roger Parker e edita da Ricordi.

L’operazione del maestro Chailly è lodevole nonché ormai necessaria per diversi motivi. Il primo perché in questo modo, finalmente, abbiamo potuto sentire un titolo celeberrimo e spesso rappresentato nel tempio meneghino sotto una nuova luce; ciò, ed è il secondo motivo, ci ha permesso di apprezzare intere sezioni che ristabiliscono un criterio logico al pensiero donizettiano la cui inventiva non è mai meramente estetica; in terzo luogo l’integrità di questo capolavoro ci porta ad ammirare maggiormente il ruolo del coro nonché a imparare ad apprezzare la scena della follia senza la leggendaria cadenza introdotta da Nelly Melba, passata alla storia non solo per le doti canore ma anche per la famosa Pesca ideata dallo chef francese Georges Auguste Escoffier, fervido ammiratore del soprano australiano.

Oltre a restituire un’edizione completa, Riccardo Chailly ha messo in luce, tramite una concertazione articolata, la scrittura sinfonica di questa partitura, caratterizzata da introduzioni strumentali inquisitorie, espansioni e assoli di rilievo come quello dell’arpa – ottimamente gestito – e della spettrale glass harmonica.

Per tale operazione un cast ragguardevole è stato accolto con ovazioni dal pubblico che affollava la sala del Piermarini.

Indubbiamente Lisette Oropesa ha affrontato la lunga parte di Lucia amministrando bene i suoi mezzi vocali partendo cautamente nel primo atto per poi abbandonarsi maggiormente nella scena della follia. Precisissima nelle agilità, fin troppo lineare nel fraseggio, dipinge una Lucia tenue e (purtroppo) quasi del tutto priva di quel senso di instabilità mentale necessario fin dal suo primo apparire in scena. Complice la regia?

Al suo fianco il tenore Juan Diego Florez ricama la parte di Edgardo con la classe che l’ha sempre contraddistinto, tuttavia la sua vocalità leggera, da vero rossiniano, risulta poco credibile nei momenti in cui è richiesta maggior eroicità e veemenza, complice una concertazione a volte eccessivamente vigorosa. Tuttavia rimane inequivocabile l’intensità espressiva con cui il tenore peruviano ha affrontato la scena finale.

Sulla stessa linea si affianca il baritono Boris Pinkhasovich, maggiormente lirico, nobilissimo scenicamente ma meno incisivo quando necessario.

A sostenere la parte di Raimondo, beneficiata dalla riapertura di alcuni tagli, è il basso Michele Pertusi che si conferma ottimo fraseggiatore e scenicamente comunicativo.

Se vocalità più leggere possono tratteggiare meglio un certo tipo di scrittura, al contempo risulta innegabile la necessità di peso richiesta dall’autore stesso e che Riccardo Chailly ha evidenziato con una concertazione drammatica e ricca di chiaro-scuri. Pertanto o si alleggerisce l’orchestra o si ricorre a voci più corpose.

Bene, infine, Valentina Pluzhnikova nelle vesti di Alisa come Giorgio Misseri nella particina di Normanno.

Bene si porta il coro preparato da Alberto Malazzi.

Nota dolente la regia, scene e costumi di Yannis Kokkos la cui povertà di idee -da non confondere col minimalismo ormai imperante- è risultata poco in linea con le premesse filologiche di questa nuova produzione scaligera.

Kokkos, che si è avvalso della collaborazione drammaturgica di Anne Blancard, non ha mosso una minima indagine nei labirinti psicologici di Lucia abbandonando i personaggi al loro destino scenico in una cornice pressoché spoglia e priva di ispirazione.

Lucia di Lammermoor merita di più, soprattutto in un teatro in cui quest’opera è di casa da sempre.

Gian Francesco Amoroso

(13 aprile 2023)

La locandina

Direttore Riccardo Chailly
Regia, scene e costumi Yannis Kokkos
Luci Vinicio Cheli
Video Eric Duranteau
Collaboratrice del regista e drammaturga Anne Blancard
Personaggi e interpreti:
Enrico Boris Pinkhasovich
Lucia Lisette Oropesa
Edgardo Juan Diego Flórez
Arturo Leonardo Cortellazzi
Raimondo Michele Pertusi
Alisa Valentina Pluzhnikova
Normanno Giorgio Misseri
Orchestra e coro del Teatro alla Scala
Maestro del coro Alberto Malazzi

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