Spettacoli

Lucia di Lammermoor – Teatro alla Scala, Milano

Torna alla Scala Lucia di Lammermoor, il capolavoro di Gaetano Donizetti

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Lisette Oropesa

“[…] Il sipario, alzandosi, mostrò un paesaggio. Rappresentava un crocevia in un bosco, a sinistra una fontana era ombreggiata da una quercia. Alcuni contadini e alcuni signorotti di campagna con la caratteristica sciarpa scozzese sulla spalla, cantavano insieme una canzone di caccia; sopraggiunse un capitano che invocava l’angelo del male levando al cielo le braccia; comparve un altro personaggio; se ne andarono tutt’e due e i cacciatori ripresero a cantare. Emma si risentiva immersa nell’atmosfera delle sue letture giovanili, in pieno Walter Scott. Le sembrava di sentire, attraverso la nebbia, il suono delle cornamuse scozzesi echeggiare sulle brughiere. Del resto, il ricordo del romanzo le facilitava la comprensione del libretto, ed Emma seguiva l’intreccio frase per frase mentre inafferrabili pensieri le tornavano alla mente, subito dispersi da raffiche di musica. Si lasciava cullare dalla melodia e si sentiva vibrare in tutto l’essere suo come se i nervi fossero le corde stesse dei violini sulle quali passavano gli archetti.”

Questa è Lucia di Lammermoor vista da Emma Bovary, protagonista del romanzo di Gustave Flaubert del 1856,  la giovane donna vive una totale immedesimazione con la protagonista del melodramma condividendone i dolori d’amore. Probabilmente lo stesso Flaubert era rimasto colpito dopo avere assistito alla versione francese del melodramma creata da Donizetti per il Théâtre de la Renaissance di Parigi. Una famosa testimonianza dell’importanza oltre che della bellezza del capolavoro donizettiano.  Anche il pubblico scaligero, oggi, può rivivere i “fremiti bovaryani” grazie a questo ritorno sul palco del Piermarini che porta la firma di Yannis Kokkos per regia, scene e costumi. Siamo negli anni venti del Novecento, in ambienti disegnati con una certa pulizia ed austerità: incombono, soprattutto all’inizio, grandi statue di cani da caccia e cervi braccati, ovvio rimando alla condizione psicologica di Lucia. Una scena che non esalta mai, ad essere onesti, ma si limita a raccontare con precisione e pulizia quanto previsto dal libretto, i cambi perlopiù a vista consentono l’incalzare dell’azione. Uno spettacolo che, forse, in parte risente del periodo in cui è stato pensato: sarebbe stato infatti lo spettacolo previsto per il sette dicembre 2020, bloccato dal covid e poi rimandato fino ad oggi. Rigorosi e appropriati i costumi novecenteschi pensati da Kokkos, adeguate allo spettacolo le luci di Vinicio Cheli, evocativi i video di Eric Duranteau capaci di ricreare le notti di plenilunio. 

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Juan Diego Flórez

Se la parte visiva ci ha convinto solo parzialmente di ben altro rilievo risulta il versante musicale dello spettacolo.
Il Maestro Riccardo Chailly sigla una prova memorabile attraverso una lettura conturbata e quantomai sfaccettata del capolavoro donizettiano. Già dal preludio si percepisce l’atmosfera sinistra e notturna che fa da sfondo a questo racconto gotico. Nella scena di apertura dell’atto primo, poi, dalla buca si levano pennellate sonore soffuse che ci trasportano idealmente nelle brughiere scozzesi. Al di là della evidente attenzione nella costruzione delle frasi musicali, attraverso una cura meticolosa ed incessante del più piccolo dettaglio sonoro, il magistero di Chailly si coglie nella caratterizzazione dei singoli personaggi e, in particolare, dei due protagonisti. Lucia, infatti, ci viene presentata con i tratti distintivi della eroina romantica che ben conosciamo, ma ciò che colpisce maggiormente è la scelta di dinamiche e colori che sappiano sottolineare, in maniera chiara e distinta, l’evoluzione psicologica del personaggio. In primo atto risultano dunque preminenti sonorità morbide e rarefatte per meglio descrivere l’animo innamorato di Lucia; in quello successivo il dramma entra nel vivo ed ecco, allora, che l’accompagnamento orchestrale si fa più sanguigno ed immediato, a volte quasi violento. Apice di questa lettura è, senza dubbio la scena della pazzia condotta, con l’ausilio infallibile del suonatore di glassarmonica, in un perfetto equilibrio tra veridicità del momento teatrale e straniamento allucinato della mente della protagonista. Discorso analogo può riguardare il personaggio di Edgardo che, al suo ingresso in primo atto, è sostenuto da un dettato musicale che sa essere affettuoso e vigoroso allo stesso tempo. Durante la scena delle nozze, poi, si passa dalla violenza sonora della sua entrata in scena, sino al lacerato accompagnamento della sue frasi durante il concertato. Nel terzo atto, infine, si ammirano frasi musicali ficcanti e asciutte durante la scena della torre e quindi il morbido e raffinato gioco di chiaroscuri nel tragico finale.

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Juan Diego Flórez, Leonardo Cortellazzi e Michele Pertusi

L’Orchestra del Teatro alla Scala, stimolata da una direzione tanto partecipata, appare in forma smagliante. Con innegabile compattezza segue l’evoluzione ritmica impressa da Chailly contribuendo alla costruzione di una lettura magnetica ed avvincente di questo capolavoro romantico, qui eseguito, per altro, nella sua totale integralità, nella versione di Napoli del 1853, secondo la edizione critica a cura di Gabriele Dotto e Roger Parker. Abbiamo già citato la bravura della glassarmonica, ma si deve sottolineare anche il nitore dei corni, la magnificenza dei fiati e lo struggente abbandono degli archi.

Il cast è dominato da Lisette Oropesa, autentica trionfatrice della serata. Il soprano americano sfoggia uno strumento corposo di buon volume, omogeneo tra i diversi registri e perfettamente a proprio agio in questo repertorio. Il registro acuto è facile e luminoso, i centri vibranti e torniti, i gravi naturali e ben appoggiati. Notevole il controllo della coloratura, mai esibita per mero edonismo, quanto per precise finalità espressive. Ci riferiamo, in particolare, alla freschezza della cabaletta di primo atto “quando rapito in estasi”, in perfetta antitesi con le variazioni di “spargi d’amaro pianto”. In entrambi i casi non si nota una sbavatura, non una nota fuori posto o un’appoggiatura sbagliata, ma nel primo brano si coglie il palpito della giovane innamorata, mentre il secondo è risolto come uno straziante addio alla vita di lacerante intensità.
Oropesa ha già incontrato l’eroina donizettiana in più di una occasione, ma in questa produzione sembra abbandonarsi totalmente alla lettura di Chailly e, insieme, riescono a plasmare un personaggio moderno ed avvincente. Le caratteristiche proprie della vocalità del soprano, e in particolare il timbro leggermente scurito e il lieve vibrato, fanno sì che questa Lucia risulti più donna, rispetto alla fanciulla che certa tradizione ci ha fatto solitamente incontrare, un personaggio più maturo e consapevole del proprio destino e, pertanto, anche più volitivo e combattivo, specie nell’incontro con il fratello in secondo atto. Anche il fraseggio risulta sempre sfumato, suono ed espressione si fondono in una unica progressione incessante ed inesorabile verso il tragico destino finale. Nella versione qui eseguita, quella napoletana, la scena della pazzia, non contempla la cadenza finale e, pertanto, possiamo solo immaginare l’incanto virtuosistico che la Oropesa avrebbe potuto regalare al pubblico in questa pagina. Ad ogni buon conto, si deve riferire dell’assoluto successo che gli spettatori riservano al soprano, ben rappresentato dalla grande, quanto meritata ovazione finale al suo comparire durante il rito degli applausi.

Al suo fianco Juan Diego Flórez. Il tenore peruviano mostra ancora una volta l’eccellenza di una linea vocale prodigiosa per morbidezza, musicalità, pastosità e pertinenza stilistica. L’esecutore è eccelso, specie nei momenti di maggiore abbandono, ma talvolta il volume del mezzo fatica ad oltrepassare il muro orchestrale, specie nelle pagine di maggiore concitazione, su tutte il finale secondo. Si potrebbe pensare che questo ruolo risulti forse, come si suole dire in gergo, “un po’ troppo stretto” per lui e forse in parte è vero, ma non si può certo non riconoscere l’eleganza e la raffinatezza dell’autentico fuoriclasse. Basterebbe, ad esempio, l’aria finale, “fra poco a me ricovero”, per mettere in evidenza il legato e la suggestione dei chiaroscuri che, unitamente alla infallibile sicurezza di un registro acuto perlaceo e alla piacevolezza di un timbro divenuto ora più screziato, bastano per apprezzare e capire la grandezza indubbia dell’artista.
Quella di Flórez è, in conclusione, una prova giustamente apprezzata dal pubblico che gli riserva una calorosa accoglienza al termine.

Il ruolo di Enrico Ashton è affidato a Boris Pinkhasovich, in possesso di una vocalità dal colore chiaro e dotata di buona proiezione, specie nel registro acuto. In linea con la visione di Chailly, il fraseggio musicale appare spesso irruento, a tratti aggressivo, per disegnare un personaggio disposto a sacrificare la sorella pur di mantenere il proprio prestigio politico. L’aria di primo atto “cruda funesta smania” è ben eseguita, così come il duetto con Lucia dell’atto successivo, dove complice il meraviglioso accompagnamento orchestrale, si coglie il contrasto tra la prepotenza di Enrico verso la sorella e il terrore di una sua probabile condanna a morte. Pregevole, inoltre, il duetto con Edgardo di terzo atto, dove Pinkhasovich esce a testa alta dal confronto con Flórez che, in questa scena, sfodera acuti invero portentosi.

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Boris Pinkhasovich, Lisette Oropesa, Leonardo Cortellazzi, Michele Pertusi e Valentina Pluzhnikova

Michele Pertusi anche in questa occasione, si impone con la zampata del grande artista. Il basso parmigiano possiede uno strumento di puro velluto, ricco di armonici e che si espande facilmente in sala. Rileva, inoltre, il gusto per la frase musicale e lo stile belcantista, suo autentico terreno d’elezione. Il fraseggio è sempre solenne e scolpito con grande attenzione ad ogni singola parola. Ecco allora che appare, ancora più evidente, la demarcazione tra la prima scena di primo atto, con la difesa della posizione di Lucia dinanzi al fratello, rispetto all’atto successivo, con la perorazione della causa del matrimonio combinato nei confronti della ragazza.

Note positive per il Normanno di Giorgio Misseri, in possesso di una vocalità del suadente colore chiaro unita ad una convincete proprietà e varietà d’accento.

Bravo Leonardo Cortellazzi nei panni di Arturo, l’infelice sposino. Dotato di un mezzo dal pregevole squillo in acuto, supera brillantemente la sua arietta durante la scena del matrimonio.

Si distingue, con il suo timbro scuro e sonoro, la Alisa di Valentina Pluzhnikova, allieva dell’Accademia del Teatro alla Scala.

Di livello, come sempre, la prova del Coro del Teatro alla Scala che, sotto la guida dell’encomiabile Alberto Malazzi, conferisce ad ogni intervento previsto in partitura io giusto nerbo drammatico.
Teatro esauritissimo che riserva una accoglienza calorosissima al termine a tutti gli artisti.

LUCIA DI LAMMERMOOR
Dramma tragico in tre atti
Libretto di Salvadore Cammarano
Musica di Gaetano Donizetti

Enrico Boris Pinkhasovich
Lucia Lisette Oropesa
Edgardo Juan Diego Flórez
Arturo Leonardo Cortellazzi
Raimondo Michele Pertusi
Alisa Valentina Pluzhnikova
Normanno Giorgio Misseri

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Chailly
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia, scene e costumi Yannis Kokkos
Luci Vinicio Cheli
Video Eric Duranteau
Collaboratrice del regista e drammaturga Anne Blancard

FOTO: BRESCIA AMISANO TEATRO ALLA SCALA