Spettacoli

Da una casa di morti – Teatro dell’Opera, Roma

L’opera Da una casa di morti di Leoš Janáček si erge imponente come un pilastro fondamentale nella trama della storia dell’opera del XX secolo. Frutto di una creazione intrapresa tra il 1927 e il 1928, questa sontuosa opera affonda le sue radici nelle profonde scritture di Fëdor Dostoevskij, esplicite nel romanzo Memorie da una casa di morti, il quale si propone di offrire un’esposizione commovente e penetrante della triste esistenza all’interno di un infame campo di prigionia siberiano. L’intento di questa indagine è volto all’esplorazione delle complessità emotive e delle inedite innovazioni formali rivelatesi in tale creazione janáčekiana, le quali, di fatto, ne fecero un baluardo avanguardistico nell’epoca stessa in cui si inseriva.

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Erin Caves, Stefan Margita, Lukas Zeman

Il periodo in cui prese forma Da una casa di morti si rivela come un momento cruciale nella coraggiosa traiettoria artistica di Janáček, in cui l’ardente compositore si dilettava nella ricerca di un’espressione musicale autentica e inedita. L’ambientazione storica dell’opera, con le sue anguste circostanze collocate tra le mura di un penitenziario, s’interseca con la possibilità concessa a Janáček di esplorare tematiche di carattere universale, quali la sofferenza umana, la riscossa interiore e la fiamma della libertà individuale. Uno degli elementi distintivi di quest’opera è la sua struttura episodica, in cui si illustrano le storie dei diversi personaggi, delineandone le sfaccettature. Tale stratagemma formale si rivela come il riflesso perfetto della frammentazione che permea la vita nel campo di prigionia, contribuendo a creare un’atmosfera avvincente e pregna di veridicità. L’impiego di ritmi complessi costituisce, altresì, un ulteriore elemento che accentua la vivace e talvolta inquietante aura che pervade l’opera in questione.

Una delle audaci innovazioni introdotte qui da Janáček consiste nell’utilizzo del linguaggio parlato quale fondamento per la melodia vocale. Con tale ardimento, il compositore cerca di abbracciare il cuore delle emozioni dei personaggi attraverso una resa estetica che si fa vettore della veridicità intrinseca del linguaggio parlato. Tale approccio si traduce, dunque, in una scrittura vocale che si muove tra il canto tradizionale e l’intonazione ritmica del parlato, generando una connessione più diretta e profonda tra la musica e il mondo affettivo dei personaggi stessi. Janáček concentra la sua attenzione sulla profondità psicologica di ciascun personaggio, sondandone emozioni più intime tramite un linguaggio musicale carico di significato. Ogni personaggio vive una propria storia e un proprio background e il compositore li identifica attraverso l’uso di leitmotiv e di motivi ricorrenti. Questa stratificazione permette, quindi, di seguire l’evolversi delle emozioni dei protagonisti nel corso dell’opera, tracciando un percorso di crescita e trasformazione.

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Mark S. Doss e Colin Judson

Da una casa di morti è un’opera molto significativa, sia perchè rappresenta un capolavoro del compositore ceco, sia perchè ha sperimentato un destino artistico ed editoriale complesso. Al momento della sua morte nel 1928, Janáček aveva lasciato alcune parti dell’orchestrazione del terzo atto incomplete. Successivamente, due suoi allievi e collaboratori si assunsero l’incarico di completare tali parti, ma andarono oltre, apportando dei cambiamenti significativi al finale originale. Solo di recente, grazie all’edizione critica pubblicata nel 2017, il finale originario è stato ripristinato e viene messo in scena presso il Teatro dell’Opera di Roma a maggio 2023. 

La drammaturgia di quet’opera si rivela come un intricato connubio tra semplicità e complessità, poiché è intrisa di un’apparente essenzialità, dove ciò che ha un vero peso e valore si manifesta nel profondo dell’animo dei personaggi stessi. Le azioni sono ridotte all’essenziale e si ritraggono come elemento centrale. L’autore di questa messinscena è uno dei grandi registi del nostro tempo, il polacco Krzysztof Warlikowski, il cui debutto in Italia suscita grande interesse. Per la sua regia, ha potuto contare sulla collaborazione del drammaturgo Christian Longchamp e di Margorata Szczesniak per la creazione di un ambiente scenico pressoché immobile e per la realizzazione dei costumi, entrambi necessariamente opachi e squallidi, poiché richiamano l’atmosfera carceraria in cui si svolge l’azione.

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Carolyn Sproule e Clive Bayley

L’idea registica adottata si configura come un affascinante connubio tra l’ispirazione proveniente dal cinema americano e il teatro dell’arte drammatica. In questo contesto, la break dance e il basket si fondono con l’intensa e struggente recitazione dei vari personaggi. Ciò che colpisce lo spettatore non sono tanto le voci, ma le interpretazioni realistiche e commoventi che sono state oggetto di un meticoloso lavoro di perfezionamento da parte di Warlikowski. Julian Hubbard ha offerto una performance strepitosa nel ruolo di Skuratov, arrivando persino a simulare un attacco di convulsioni così suggestivo da sembrare autentico. La resa scenica di Štefan Margita nel ruolo di Filka Morozov e di Pascal Charbonneau nel giovane tartaro Aljeja è stata esemplare. L’attesa per Mark S. Doss nel ruolo di Alexandr Petrovič Gorjančikov è stata ripagata da una presenza scenica di grande rilievo. Questi sono solo alcuni nomi che vengono in mente, ma tutti gli interpreti, dal primo all’ultimo (i cui nomi sono elencati alla fine di questo articolo), hanno regalato al pubblico interpretazioni straordinarie. Carolyn Sproule nel ruolo della prostituta, Marcello Nardis come Kedril, Clive Bayley nel ruolo del direttore della prigione e tutti gli altri hanno portato sulla scena delle performance di grande impatto emotivo e artistico.

In quanto grandiosa opera corale, in cui ciascun personaggio ha anche una parte solistica di maggiore o minore estensione, è opportuno soffermarsi sulla performance del coro, interamente maschile, affidato alla guida esperta del Maestro Ciro Visco. L’imponente presenza del coro ha donato una profondità e una solennità uniche all’opera, sottolineando la forza emotiva delle composizioni di Janáček. Grazie alla precisione esecutiva e alla perfetta coesione del coro, le dinamiche vocali sono state esaltate, trasmettendo al pubblico un’esperienza sonora avvincente e straordinariamente intensa. Il coro, con la sua presenza poderosa e il suo impegno artistico impeccabile, ha contribuito in modo significativo alla riuscita complessiva dell’opera, arricchendo l’interpretazione e donando un’atmosfera di autentica grandiosità all’esecuzione.

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Julian Hubbard

Il Direttore Dmitry Matvienko ha dimostrato una profonda comprensione dell’opera di Janáček e si è avvicinato a essa con un’enorme sensibilità artistica. La sua presenza sul podio è stata di fondamentale importanza per guidare l’orchestra attraverso le intricate trame sonore dell’opera. Matvienko ha saputo interpretare con maestria le dinamiche emotive della partitura, sostenendo le vicende narrate e creando un equilibrio perfetto tra l’orchestra e i cantanti sul palco. La sua capacità di gestire l’organico orchestrale è stata straordinaria, permettendo alla musica di fluire con forza e intensità quando necessario e di riservare momenti di delicatezza e sospensione quando richiesto. Sotto la sua direzione, l’orchestra ha espresso con maestria i complessi colori e le sfumature dell’opera di Janáček. Matvienko ha dimostrato una profonda affinità con la partitura, trasmettendo al pubblico tutta l’emozione e l’intensità dell’opera, rendendo l’ascolto un’esperienza indimenticabile. Il Teatro dell’Opera di Roma è stato pervaso da un’orchestra possente, che si è espressa con una forza sonora dirompente, senza precedenti in questa stagione.

Degne di nota sono anche le suggestive proiezioni video curate da Denis Guéguin, che si materializzano sul grande muro di lastre di metallo, il quale funge sia da supporto per le proiezioni stesse che da sipario per l’inizio e i cambi di atto. Su questo imponente fondale, in perfetta armonia con la musica, prendono vita le parole di Michel Foucault, a denuncia dei discutibili comportamenti della magistratura, nonché una toccante intervista ad un condannato a morte. Queste immagini e parole si intrecciano con la partitura musicale, creando un’esperienza sinestetica in cui la dimensione visiva si fonde con l’elemento sonoro, amplificando l’impatto emotivo e concettuale dell’opera.

DA UNA CASA DI MORTI

Direttore Dmitry Matvienko
Regia Krzysztof Warlikowski
Maestro Del Coro Ciro Visco
Drammaturgo Christian Longchamp
Scene e Costumi Małgorzata Szczęśniak
Luci Felice Ross
Video Denis Guéguin
Movimenti Coreografici Claude Bardouil
Maestro Dei Combattimenti Renzo Musumeci Greco

Alexandr Petrovič Gorjančikov Mark S. Doss
Aljeja, Giovane Tartaro  Pascal Charbonneau
Filka Morozov (In Prigione Sotto Il Nome Di Luka Kuzmič) Štefan Margita
Il Grande Prigioniero Erin Caves
Il Piccolo Prigioniero Nikita / Čekunov / Il Cuoco Lukáš Zeman
Il Direttore Della Prigione Clive Bayley
Skuratov Julian Hubbard
Il Prigoniero Ubriaco Eduardo Niave
Kedril Marcello Nardis
Un Prigioniero Fabbro (Travestito Da Don Giovanni E Da Bramino) Aleš Jenis
Il Giovane Prigioniero Paweł Żak
Una Prostituta Carolyn Sproule
Šapkin Michael J. Scott
Šiškov Leigh Melrose
Čerevin Christopher Lemmings
Il Vecchio Prigioniero Colin Judson
Prima Guardia Michael Alphonsi 
Voce Dalle Steppe Luca Battagello 
Terza Guardia Antonio Taschini 

Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Fotografie Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma