L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Debole destino

di Roberta Pedrotti

Accolta tiepidamente La forza del destino al Comunale Nouveau di Bologna nell'allestimento di Yannis Kokkos con la direzione di Asher Fisch.

BOLOGNA, 20 giugno 2023 - I vantaggi delle coproduzioni sono indiscutibili: si ottimizzano le spese e i tempi di prove e realizzazione, si permette a uno spettacolo di essere visto da più persone. C'è però il rovescio della medaglia, per esempio quando constata che non vale poi la pena di rivedere in giro la nuova produzione. Sono gli storici incerti del mestiere del teatro, fatto di scommesse che non sempre si rivelano vantaggiose. Per esempio, lo scorso autunno la prima della nuova Forza del destino firmata visivamente da Yannis Kokkos non ci aveva istillato la voglia di rivederla. Anzi, una volta era anche troppa per una recitazione fatta di pose stereotipate di fronte a una serie generica di proiezioni senza alcuna particolare suggestione scenografica e l'unico guizzo – se così si può dire – nelle prevedibili citazioni espressioniste delle danze nel quadro di Velletri o nei fari sparati nel rataplan. [leggi anche: Parma, La forza del destino, 22/09/2022]

A Parma, almeno, avevamo avuto modo di elogiare la concertazione ispirata di Roberto Abbado, mentre qui a Bologna Asher Fisch sembra un pesce fuor d'acqua. E sì che era lui sul podio della bella edizione bavarese immortalata in dvd, ma in quel caso si poteva contare su una regia raffinata e potente di Martin Kušej, su un cast di fortissime personalità (Harteros, Kaufmann, Tézier). Qui, invece, troviamo la tensione verdiana diluita, come se temendo la “umpapamusik” volesse “nobilitare” Verdi, se non fosse che Verdi nobile - e grande intellettuale - lo è già di per sé e bisogna solo saperlo cogliere e rendere. Altrimenti, la noia è dietro l'angolo.

Il cast funziona, ma non brilla. La latitanza di un'efficace guida teatrale e musicale si fa sentire in una certa genericità d'accenti che, anche quando si fanno più partecipi e convinti, non vanno molto oltre la superficie nell'esplorare la profondità della scrittura verdiana. Qualche tendenza a forzare si percepisce sia in Erika Grimaldi, Leonora (per lei era anche la terza recita in quattro giorni, a causa della defezione di una collega), sia in Roberto Aronica, Don Alvaro, e Gabriele Viviani, Don Carlo. Rafal Siwek è un Padre Guardiano affidabile cui giova la natura ieratica nella parte, mentre Nino Surguladze, Preziosilla, presenta segni di usura in acuto. Sergio Vitale sostituisce il previsto Roberto De Candia come Fra Melitone e gli si rende l'onore delle armi. Cristian Saitta è il Marchese di Calatrava (il quale, per un probabile disguido tecnico, forse muore d'infarto, ché il colpo di pistola non si sente), Orlando Polidoro Trabuco, Federica Giansanti Curra, Fabrizio Brancaccio un Alcalde e Tong Liu un Medico. Buona la prova complessiva del coro preparato da Gea Garatti Ansini e dell'orchestra del Comunale, ma non basta. Gli applausi sono fiacchi, molto fiacchi, tanto che non si direbbe di aver appena assistito a uno dei più infuocati melodrammi verdiani.

 


 

 

 
 
 

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