Genève: meraviglioso Nabucco 2.0

Vi è forse differenza tra le guerre di ieri e le guerre di oggi? Sono i singoli a fare la massa o le masse sono composte da singoli? A cosa può portare la sete di potere? Sono queste alcune delle tante domande che potrebbero venire in mente assistendo alla terzultima rappresentazione del Nabucco di Giuseppe Verdi andato in scena al Grand Théâtre de Genève, nella nuova produzione affidata alla regia di Christiane Jatahy e alla direzione musicale di Antonino Fogliani.

Nabucco è sicuramente opera simbolo di Verdi e del melodramma italiano, ma è portatore di significati che spaziano dalla prese del potere al rapporto con Dio, dai rapporti famigliari allo scontro tra popoli, sino all’amore declinato nelle sue più varie forme.

Christiane Jatahy si approccia all’opera verdiana volendola restituire al pubblico in una visione diversa, dicendo lei stessa di mettere in scena UN Nabucco, non IL Nabucco. Ed è così che veniamo immersi in un contesto attualizzato, rimuovendo e reinterpretando molti dei simbolismi che la tradizione vorrebbe attribuita all’opera, nella sua verità storica. La scena è dominata da due grossi specchi che riflettono il pubblico, il palco e la buca d’orchestra: specchi che puoi si muovono, si sollevano o spariscono per lasciare spazio alla fondo stesso del teatro, ma venendo al contempo sfruttati come maxischermo. Maxischermo che permette la proiezione delle inquadrature dei due cameramen che accompagnano i protagonisti lungo l’evolversi delle vicende, proprio per ridare quella scena di visione diverse, di inquadratura differente. A ciò, si somma il ricco ed intelligente uso di giochi di luce e di proiezioni, l’acqua che nei primi due atti è fortemente presente, così come il grande mantello, ripreso a più chiamate ed in vari contesti, simbolo del potere (particolarmente efficace e d’effetto il momento in cui Abigaille se ne fa carico, a simboleggiare la presa del potere che ella brama a danno di Nabucco). Insomma, uno spettacolo che ha sia la grandezza visiva e di grande impatto, sia la ricerca di una riflessione e l’intenzione di voler portare lo spettatore a meditare, riflettere, vivere il dramma stesso. Accanto a lei, un team ben assortito che vede il lavoro di Thomas Walgrave e Marcelo Lipiani nel curare la scenografia, i costumi di An D’Huys, le luci di Thomas Walgrave, i video di Batman Zavarese.

Accanto a loro, nello sviluppo degli altri aspetti tecnici, ci sono il direttore della fotografia e camera Paulo Camacho, lo sviluppo dei sistemi video di Júlio Parente e la cura del sonoro di Pedro Vituri.

La visione registica va però ad influenzare anche alcune dinamiche musicali, tagliando alcuni passaggi corali e volendo dare un finale aperto di questo Nabucco, facendo bissare al Coro il celebre Va pensiero a cappella, dopo una composizione contemporanea del direttore d’orchestra Antonino Fogliani, che fa uso di dissonanze e tecniche strumentali moderne, a seguito del tragico Su me morente, esanime intonato da Abigaille in mezzo alla platea.

Una scelta che sicuramente scuote, smuove gli animi, crea pensieri. E Fogliani sposa appieno questa visione così impattante, così “cinematografica” che è al contempo intima, riflessiva, donando una lettura musicale che non dà tregua, non lascia il tempo di respirare, ma è uno scorrere costante del tempo, della musica.

Sin dalla Sinfonia iniziale capiamo di essere immersi nella piena italianità melodrammatica, dove la direzione orchestrale e la mano di Fogliani fanno ancora sentire gli echi rossiniani, l’impeto delle dinamiche orchestrali, con un’esaltazione ammirabile di tutte la parti, che sanno tenere i tempi brillanti, laddove necessario, ma che sanno poi smorzarsi, attenuarsi, addolcirsi, permettendo all’essenza umana di unirsi in un tutt’uno, lasciando spesso col fiato sospeso.

Intesa perfetta tra buca e palcoscenico, non un momento di dubbio o di cedimento, poiché il direttore conosce le voci, sa tenere il passo e accompagnare sempre, facendo respirare cantanti, coro, orchestra. Orchestra della Suisse Romande che risponde perfettamente, adattandosi a ciò che la direzione chiede, dando sempre un suono pulito, elegante, brillante, senza mai strafare o andare a coprire i cantanti, per quanto spesso le dinamiche e i tempi musicali possano far correre tale rischio.

Altrettanto apprezzata è la prova del Coro, che sin dall’inizio ha frequentazione attiva sia col palco che con la sala, vedendo spesso il coinvolgimento tra il pubblico di coristi e coriste, dando ancora una volta una visione differente (e anche più vicina, diremmo noi): il colore corale è bello, corposo, in perfetto equilibrio tra tutte le voci.

Protagonista delle vicende è Nabucco, qui interpretato, al suo debutto nel ruolo, dal baritono Nicola Alaimo, conosciuto ed apprezzato artista che, avendo intelligenza e capacità di giudizio nell’uso della voce, ha saputo percorrere un lungo percorso di crescita artistica, arrivando in punta di piedi all’affrontare un ruolo così tanto temuto e ricco di paragoni. Alaimo è artista completo, avendo piena voce di baritono ricca di colori, di sfumature, di inflessioni che permettono a Nabucco di essere guerriero, di essere Re, di essere padre ma, soprattutto, di essere uomo: nulla nell’interpretazione è lasciato al caso, dagli sguardi ai movimenti facciali, senza tralasciare la dominante presenza scenica. La declamazione e l’uso sapiente della parola cantata fanno sì che non una singola nota venga persa lungo la via, così come invece il fraseggio e la bellezza di accenti fanno perdere il conto dei momenti di grande espressione musicale: dall’entrata in scena ai momenti d’assieme, passando per l’elettrizzante e infuocato duetto con Abigaille, sino alla grande scena Dio di Giuda.. Cadran, cadranno i perfidi. Plausi, plausi e ancora plausi ad un sì completo e ammirabile artista.

In suo diretto confronto-scontro ed altrettanto apprezzata interprete è Saioa Hernandez, nei panni della temuta e sanguinaria Abigaille, che non risparmia voce e carattere nel volersi imporre sulla scena. Il soprano, in continua ascesa nel panorama lirico e con una costante crescita artistica, asseconda l’evolversi della sua voce che l’ha vista affrontare ruoli di belcanto, di agilità, per man mano crescere e avvicinarsi a ruoli più melodrammatici e di forza: evoluzione essenziale che le permette di gestire una voce strabordante di armonici, tutta proiettata e sempre ben sostenuta, con un’attenzione nel porgere e nel dominare tutta la gamma di suoni dai gravi più profondi sino agli acuti più insidiosi. È mirabile come anche nei momenti più intimi e drammatici (commuove il suo Su me morente, esanime cantato in mezzo al pubblico) la voce venga piegata e dosata secondo le dinamiche della partitura, in contrapposizione ai passaggi più concitati ed impetuosi, dove l’artista è donna conscia del potere che vuole ottenere e che raggiunge, seppur per breve periodo.

Fra i due non fatica ad inserirsi la figura di Zaccaria, qui interpretato dal basso Riccardo Zanellato, altro assiduo frequentatore del repertorio verdiano che con eleganza e nobiltà d’intenti dà vita ad un personaggio che è guida spirituale e gran pontefice del popolo ebraico. La voce è saggiamente dosata nel porgere, avendo bel colore di basso con un’ottima tenuta e buon fraseggio lungo tutta l’esecuzione, mai mancando di intonazione e con un legato attento, senza voler strafare sia nella cabaletta che nelle salite in acuto, spesso insidiose per i bassi, ma non in questo caso.

Il giovane, capellone e baldanzoso Davide Giusti è un travolgente Ismaele, innamorato della sua amata Fenena e per la quale tenta tutto il possibile: voce ricca, espressiva e di squillante piglio tenorile, sa imporsi nei momenti singoli e d’insieme, ricordandoci la bellezza della voce di tenore “all’italiana”. Anello debole del cast è la Fenena di Ena Pongrac, in forza al teatro ginevrino in alcune opere lungo la stagione attuale e prossima, che rende con scenica credibilità e con gioviale innocenza nell’affrontare la figura della dolente figlia di Nabucco: soffre però di una voce carente di intonazione e con sfogo non completo, facendo così poco apprezzare quello che invece sarebbe un interessante timbro vocale. A completamento del cast, sempre in forza nella compagnia di artisti del teatro, troviamo la precisa, svettante e aggraziata Anna di Giulia Bolcato (che acuti nel Finale quarto!), il puntuale e squillante Abdallo di Omar Mancini, che si distingue nei brevi interventi per lui previsti, e il Gran Sacerdote di William Meinert che dà prova di avere sì voce, ed anche di bel colore, ma ancora da rifinire per una corretta emissione.

Teatro tutto esaurito, con una standing ovation finale che, oltre a far venire i brividi per il godimento della stessa, porta alla riflessione spesso condivisa ma mai troppo detta: il teatro è vivo e vuole vivere. Osando, provando, facendo sì che non si vada a teatro per “passatempo”, ma per poter nutrire l’anima.

Leonardo Crosetti
(25 giugno 2023)

La locandina

Direttore d’orchestra e compositore dell’intermezzo orchestrale finale Antonino Fogliani
Regia Christiane Jatahy
Scenografie Thomas Walgrave e Marcelo Lipiani
Costumi An D’Huys
Luci Thomas Walgrave
Video Batman Zavarese
Direttore della fotografia e camera (film) Paulo Camacho
Sviluppo dei sistemi video Júlio Parente
Artista sonoro Pedro Vituri
Drammaturgia Clara Pons
Personaggi e interpreti:
Nabucco Nicola Alaimo
Abigaille Saioa Hernandez
Zaccaria Riccardo Zanellato
Ismaele Davide Giusti
Fenena Ena Pongrac
Anna Giulia Bolcato
Abdallo Omar Mancini
Il Gran Sacerdote William Meinert
Orchestra della Suisse Romande
Coro del Grand Théâtre de Genève
Maestro del coro Alan Woodbridge

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