Roma, Caracalla festival 2023: La traviata

Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2022/202
Terme di Caracalla
“LA TRAVIATA”
Opera in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave,

da La Dame aux camelias di Alexandre Dumas figlio.
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valéry FANCESCA DOTTO
Flora Bervoix  EKATERINA BUACHIDZE*
Annina  MIRIAM SULEIMAN*
Alfredo Germont GIOVANNI SALA
Giorgio Germont  CHRISTOFER MALTMAN
Gastone, Visconte di Létorières NICOLA STRANIERO*
Il Barone Douphol ARTURO ESPINOSA**
Il marchese D’Obigny MATTIA ROSSI*
Il Dottor Grenvil VIKTOR SCHEVCHENKO
Un commissario FABIO TINALLI
Un domestico DANIELE MASSMI
Giuseppe MICHAEL ALFONSI
** diplomato progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro
dell’Opera di Roma
*dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra,Coro e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Paolo Arrivabeni
Maestro del Coro Ciro Visco
Regia Lorenzo Mariani
Scene  Alessandro Camera
Costumi Silvia Aymonino
Movimenti Coreografici e collaboratore alla regia Luciano Cannito
Luci Christian Rivero
Video a cura di Fabio Iaquone e Luca Attili
Allestimento del teatro dell’Opera di Roma

Roma, 28 luglio 2023
Per la stagione operistica estiva delle Terme di Caracalla è stata scelta la ripresa dell’allestimento de La traviata di Verdi concepito da Lorenzo Mariani per la stagione del 2018 e affidato questa volta alla direzione del maestro Paolo Arrivabeni. Le perplessità avute in occasione della precedente realizzazione sono nella sostanza state tutte confermate. L’idea del regista è infatti quella di ambientare la vicenda negli anni della dolce vita romana con ampie citazioni cinematografiche ovviamente tratte dal film Fellini. Violetta diviene una diva cinematografica che deve ricevere un premio assediata da paparazzi, la sua casa nel primo atto diviene via Veneto con tanto di pizzardone metropolitano che fischia ad inizio d’atto stile Alberto Sordi e vespa d’ordinanza à la Gregory Peck. Il secondo atto anziché in campagna si svolge in una imprecisata località marina che sembrerebbe suggerire i luoghi più in voga in quegli anni immortalati dal cinema coevo o forse, chissà, la spiaggia di Capocotta teatro di festini e del triste e mai chiarito delitto Montesi che tanto turbò l’opinione pubblica dell’Italia del dopoguerra. La festa a casa di Flora si svolge all’insegna del più spinto cattivo gusto con la padrona di casa in tenuta sado-maso e tutti che si abbandonano a gesti di esplicita quanto inutile volgarità. L’epilogo infine si svolge tra le rovine della scenografia del primo atto, tra i paparazzi schierati a guisa di avvoltoi e con Violetta che riesce a stare molto in piedi e anche a salire per un attimo su una vespa per sognare di lasciare Parigi insieme al suo Alfredo nonostante l’imminenza della morte, probabilmente grazie all’endovenosa praticatagli dal dottore senza laccio emostatico, vero virtuosismo di tecnica sanitaria. Infine l’esclamazione “è spenta” del dottore cade fuori tempo, con Violetta ancora ostinatamente in piedi e dunque non ancora trapassata. Come si direbbe con linguaggio odierno non è politically correct affrettare la morte di una giovane per giunta poi così sventurata. Passando dal faceto al serio, se proprio non si riesce a resistere alla tentazione di trovare una collocazione temporale per forza diversa da quella prevista o di sovrapporre perfidamente alla trama altre vicende inventante di sana pianta e con un grado di compatibilità che va spesso ben oltre il plausibile, questa volta il parallelismo tra il mondo in cui si svolge la storia di Violetta ed Alfredo e gli anni ed il clima della dolce vita poteva anche presentare dei motivi di interesse anche in considerazione del tipo di pubblico e del contesto al quale è destinato l’allestimento. Quello che convince poco di questo spettacolo è la sostanziale scarsa capacità di emozionare, mantenendo il filo della narrazione sempre molto in superficie, diluendo la tensione drammatica con azioni inutili, citazioni, passeggiate per la scena e trovate varie. Il tutto sembra assomigliare più ad un musical o ad un brutto spettacolo di intrattenimento televisivo ed appare lontano anni luce da ciò che dovrebbe trasmettere uno dei capisaldi della letteratura e della musica ottocentesca. Difficile cogliere l’intimo strazio contenuto nelle terribili parole che Violetta pronuncia nel duetto con Germont padre, mentre la si vede aggiustare gli asciugamani sui lettini da mare o chiudere l’ombrellone. Nel concertato che conclude il secondo atto per un istante si ha quasi l’impressione di doverla cercare tra le masse che affollano la scena. E anche la psichedelica scarica di flash dei paparazzi del finale sulla salma di Violetta, ruba la scena alla sintetica capacità espressiva della musica, togliendo alla protagonista ogni grandezza e possibilità di redenzione nella morte, forse in questo volendo costituire un ulteriore rimando alla assoluta mancanza di speranza espressa ne La Dolce Vita di Fellini. Certo La Traviata è un’opera che forse meno di altre si presta ad essere allestita in un grande teatro all’aperto oppure può darsi che questa sia stata una scelta voluta visto il tipo di pubblico che in gran parte frequenta Caracalla e al quale è giustamente destinata la produzione. Però viene anche il lecito dubbio che una platea con una rispettabilissima poca familiarità verso il mondo di Dumas, di Verdi e via dicendo, con buona probabilità ignori anche la cinematografia di Federico Fellini Forse la ripresa di tutto questo poteva essere evitata.  Il maestro Paolo Arrivabeni ha diretto l’orchestra con scarsa fantasia, in modo metronomico e sbrigativo con più attenzione al controllo della situazione che alle ragioni della musica. Va detto tuttavia che è difficile apprezzare appieno la tavolozza timbrica ed i colori probabilmente voluti in una situazione all’aperto e di amplificazione del suono ma l’impressione che si è ricevuta è stata questa. Ottima viceversa la prova del coro diretto dal maestro Ciro Visco per omogeneità timbrica e precisione musicale.  E veniamo agli interpreti vocali di questa finalmente fresca serata romana. Protagonista è stata Francesca Dotto, collaudata Violetta dalla voce gradevole sia pure con un registro acuto aspro e dalle agilità un po’ arruffate. Si avverte in lei una grande serietà nella preparazione del ruolo che purtroppo grazie anche al tipo di regia imposto non le consente un adeguato scavo nella profonda ed articolata complessità del personaggio. Misurata e assai prudente nei primi due atti finalmente trova una sua verità teatrale nel terzo dove canta un integrale ed espressivo Addio del passato unico momento di sincera emozione della serata.  Alfredo era impersonato dal tenore Giovanni Sala, che ha reso la parte con gradevole, giovanile e spigliata presenza scenica e una linea di canto garbata ed elegante sostenuta da una voce omogenea e sicura. Germont padre è stato il baritono Christopher Maltman, credibile anche se monolitico scenicamente e dalla dizione chiara ma dall’intonazione assai spesso precaria ed imprecisa. Molto convincente è apparsa l’Annina di Mariam Suleiman del progetto Fabbrica. Tutti su un piano di generica mediocre correttezza gli interpreti degli altri ruoli, dei quali comunque talvolta era difficile cogliere come già rilevato nel precedente allestimento i non pochi interventi individuali nell’insieme dell’impianto registico. Alla fine lo spettacolo è stato accolto con favore dal pubblico che ha applaudito con entusiasmo a conferma probabilmente del fatto che a dispetto dei nostri gusti ed opinioni personali, la scelta si è rivelata vincente se non sul piano artistico certamente su quello manageriale.  qui per tutte le informazioni.