Macerata: l’eterno ritorno della Traviata degli specchi

Ci sono alcuni spettacoli che reggono senza alcun problema il confronto degli anni, e anzi ne traggono beneficio: per molti anni uno di questi è stato sicuramente la Traviata “degli specchi” pensata e realizzata nel 1992 da Henning Brockhaus e Josef Svoboda, nonché vincitore del Premio “Abbiati” l’anno successivo.

Lo specchio sul fondo della scena, inclinato a riflettere i tappeti dipinti stesi sul palcoscenico offre una doppia, inquietante visione sul demi-monde nel quale il dramma di Dumas prima e l’opera di Verdi poi si svolgono e trovano compimento. In questo mondo intermedio nobili ed i ricchi borghesi intrecciano le loro vite con prostitute ed avventurieri, biscazzieri e mantenute, facendo sempre attenzione a non rimanerne coinvolti.

La doppia visione, orizzontale e verticale della scena, in un costante turbinio da caleidoscopio, mette il pubblico dinanzi alla cruda realtà dei fatti rappresentati, sino all’ultimo, straniante effetto provocato dallo specchio che, nel finale, riflette il pubblico ponendolo all’interno della narrazione stessa.

I tappeti dipinti di Svoboda, mostrano affiches erotiche Belle Époque, interni borghesi e sale da ballo, dimore di campagna, distese di margherite e ritratti di famiglia in dagherrotipo, calando letteralmente lo spettatore nel mondo ibrido del quale si diceva sopra, rendendolo voyeur e non protagonista attivo, al pari dei gentilhommes che lo bordeggiavano.

Brockhaus per questa ennesima ripensa la sua regia, ma nel “rinnovamento” finisce per mostrare quanto l’allestimento sia irrimediabilmente datato. Non vale l’aver rinfrescato i colori dei tappeti, non giova la sostituzione degli usuali mimi con danzatori protagonisti delle coreografie di Valentina Escobar, non portano nulla le maschere aggiunte quest’anno anche nel Carnevale che irrompe nella stanza di Violetta

Va bene che il regista dichiara di ispirarsi più alla mondana di Dumas Figlio, ma la sua visione collide inevitabilmente con l’impianto drammaturgico ed estetico di Verdi-Piave che della mantenuta celebrano la redenzione.

Dopo tanti anni anche i costumi di Claudio Colis risultano fin troppo chiassosi.

Per dovere di cronaca lo spettacolo è, non senza ragione – l’impianto scenico è tutt’ora di grande impatto – amatissimo dal pubblico e anche questa volta le recite hanno segnato sempre il tutto esaurito.

Essendo questa Traviata la punta di diamante del MOF si potrebbe valutare – modesto suggerimento – un totale ripensamento della regia affidandola magari a un giovane, che la ripensi in forma più al passo coi tempi, mantenendo ovviamente lo specchio affabulatore come punto cardinale.

Domenico Longo, bacchetta di solido mestiere, concerta con garbo ed è attento a mantenere gli equilibri tra buca e palcoscenico, trovando una corretta, seppur non travolgente, misura.

Nino Machaidze è Violetta di indubbio charme: la voce dal timbro seduttore corre sicura e la presenza scenica è fascinosa. Machaidze si dimostra perfettamente conscia del personaggio che interpreta rendendolo in tutte le sue più recondite sfaccettature.

Accanto a lei Anthony Ciaramitaro, Alfredo dalla vocalità prorompente, che si accompagna però ad un gesto teatrale un po’ troppo in stile Mario Lanza. In ogni caso la sua prova risulta ben più che positiva.

Roberto De Candia veste i panni di un Giorgio Germont cesellatissimo nel fraseggio e reso qui nel suo aspetto più umano.

Nello stuolo dei comprimari si distinguono il Marchese d’Obigny mercuriale di Stefano Marchisio, il Dottor Grenvil scultoreo di Gaetano Triscari e il luciferino Barone Douphol disegnato da Alberto Petricca.

Non demeritano Mariangela Marini come Flora procace e l’Annina garrula di Silvia Giannetti.

Corretti infine  Gianni Paci (un domestico di Flora) e Gianluca Ercoli (un commissionario).

Bene il Coro lirico marchigiano “Vincenzo Bellini” accuratamente preparato da Martino Faggiani.

Pubblico decisamente soddisfatto e successo pieno per tutti.

Alessandro Cammarano

(13 luglio 2023)

La locandina

Direttore Domenico Longo
Regia Henning Brockhaus
Scene Josef Svoboda
Costumi Giancarlo Colis
Coreografie Valentina Escobar
Luci  Henning Brockhaus e Fabrizio Gobbi
Personaggi e interpreti:
Violetta Valéry Nino Machaidze
Flora Bervoix Mariangela Marini
Annina Silvia Giannetti
Alfredo Germont Anthony Ciaramitaro
Giorgio Germont Roberto De Candia
Gastone Carmine Riccio
Il Barone Douphol Alberto Petricca
Il Marchese d’Obigny Stefano Marchisio
Il dottor Grenvil Gaetano Triscari
Giuseppe Alessandro Pucci
Un domestico di Flora Gianni Paci
Un commissionario  Gianluca Ercoli
FORM-Orchestra Filarmonica Marchigiana
Coro lirico marchigiano “Vincenzo Bellini”
Maestro del coro Martino Faggiani
Banda Salvadei

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