Torre del Lago, 69° Festival Puccini 2023: “Madama Butterfly”

Torre del Lago (LU), Gran Teatro “Giacomo Puccini”– 69° Festival Puccini
MADAMA BUTTERFLY
Tragedia giapponese in tre atti di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa dal dramma omonimo di David Belasco.
Musica di 
Giacomo Puccini
Madama Butterfly (Cio-cio-san) CAROLINA LOPEZ MORENO
Suzuki
 ALESSANDRA VOLPE
Kate
 Pinkerton LORIANA CASTELLANO
B. F. Pinketon
 LUCIANO GANCI
Sharpless
 BRUNO TADDIA
Goro ENRICO CASARI
Lo zio Bonzo 
SEUNG PIL CHOI
Il Principe Yamadori ITALO PROFERISCE
Il Commissario Imperiale FRANCESCO AURIEMMA
L’Ufficiale del Registro ALESSANDRO CECCARINI
La Madre TAISIIA GUREVA
La Zia YO OTAHARA
Yakuside MARCO MONTAGNA
La Cugina ROMINA CICOLI
Orchestra e Coro del Festival Puccini
Direttore 
Francesco Cilluffo
Maestro del Coro Roberto Ardigò
Regia, Scene e Costumi Pier Luigi Pizzi
Light Design Massimo Gasparon
Allestimento Associazione Arena Sferisterio e Fondazione Festival Pucciniano
Torre del Lago, 24 agosto 2023
Il Festival Puccini di Torre del Lago è in grado di riservare sempre una serie di piccoli o grandi colpi di scena all’avventore: quest’anno si è trattato dell’improvvisa dipartita del direttore artistico Alberto Veronesi, proprio alle porte del centenario della scomparsa di Giacomo Puccini. Pazienza, il Festival insegna da ormai sessantanove anni a tutti la sua grande capacità di galleggiare, sopravvivere, nei casi migliori, rigenerarsi – e di certo ci aspettiamo un cartellone comunque ricchissimo e di livello per le celebrazioni del 2024. La proposta di quest’anno, invece, risente di una certa stanchezza generale, a partire dalla nuova produzione di “Madama Butterfly”, per la regia di Pier Luigi Pizzi e diretta da Francesco Cilluffo. La concertazione di Cilluffo, per quanto tutta orientata alla resa espressiva, ci è parsa eccessivamente largheggiante e magniloquente: il cast talvolta morde il freno, e in generale la sensazione è quella di una dilatazione di cui anche le parti orchestrali soffrono. Carolina Lopez Moreno è una Cio-Cio-San fascinosa, insolitamente sensuale, tutta spesa scenicamente; vocalmente il bel colore del soprano si perde in una tecnica per lo meno dubbia, che trasforma in filati e mezzevoci anche i passaggi più virulenti, minando la credibilità di un personaggio sì delicato, ma anche risoluto depositario di una millenaria tradizione vendicativa e autodistruttiva. Luciano Ganci è un solido Pinkerton: presenza scenica e solidità della linea di canto, uniti a buon fraseggio, ne restituiscono il carattere beffardo e accalorato; crediamo però che il colore vocale di vocalità di Ganci sia più adatta ad altro repertorio, ma comunque la sua è una prova brillantemente superata. Misuratissima e dolente la Suzuki di Alessandra Volpe, che sfodera centri ben sostenuti e grande trasporto scenico; meno a fuoco lo Sharpless di Bruno Taddia, dai suoni non sempre controllati e un fraseggio un po’ generico. Tra i ruoli di lato senz’altro spiccano positivamente il Goro di Enrico Casari (voce quasi troppo bella per un ruolo tanto meschino) e il chiaro e nobile Yamadori di Italo Proferisce. Il Coro del Festival Puccini, dal canto suo, si riconferma una solida certezza, tanto nel primo atto quanto nell’iconico “a bocca chiusa” – un plauso al maestro Roberto Ardigò. L’impianto scenico di Pizzi è di algida tradizione, con la “casa a soffietto” al centro e varie passerelle bianche che ad essa conducono: lascia intuire una sospensione sull’acqua, ma che nella pratica non è rispettata da diversi personaggi, che nelle aree senza passerelle entrano e camminano. Inoltre i pochi elementi scenografici sono scarsamente coerenti – perché un Buddha d’oro in un contesto dichiaratamente shintoista? Perché l’assenza di qualsiasi pianta o vegetale, quando nel secondo atto c’è  un “duetto dei fiori”? I costumi, essenziali, sono semplicemente funzionali alla scena. Le luci di Massimo Gasparon sono senz’altro suggestive, ma di anch’esse si ha l’impressione che avrebbero potuto dare di più (specialmente in termini di movimentazione della scena) e non limitarsi a un calligrafismo certo patinato, ma anche polveroso. La regia, infine, non convince quando sembra voler cercare per forza l’éclat: la notte d’amore dei protagonisti discinti nel primo atto, il coro degli spettri di Cio-Cio-San vestiti come apicoltori bianchi, il suicidio della protagonista adiuvato da una Suzuki killer che le taglia la gola sul finale. Certamente non la regia migliore di Pizzi, che già altre volte ha dichiarato il suo rapporto burrascoso con “Madama Butterfly” (e il verismo in generale), e che già troppe volte ha giocato questa carta del total white ormai più una “coperta di Linus” che una scelta effettiva del regista o una cifra di stile. Peccato.