100° Arena di Verona Opera Festival 2023: “L’ultima” Violetta di Anna Netrebko

100° Arena di Verona Opera Festival 2023
LA TRAVIATA
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave, dal romanzo “La dame aux camélias” di Alexandre Dumas.
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valéry ANNA NETREBKO
Alfredo Germont FREDDIE DE TOMMASO
Giorgio Germont LUCA SALSI
Flora Bervoix SOFIA KOBERIDZE
Annina YAO BOHUI
Gastone MATTEO MAZZARO
Barone Douphol NICOLÒ CERIANI
Dottore Grenvil GIORGI MANOSHVILI
Marchese d’Obigny JAN ANTEM
Giuseppe FRANCESCO CUCCIA
Un domestico di Flora / Un commissionario STEFANO RINALDI MILIANI
Primi ballerini NICOLETTA MANNI, TIMOFEJ ADRIJASHENKO
Orchestra, Coro, Ballo della Fondazione Arena di Verona
Direttore Marco Armiliato
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Coordinatore del Ballo Gaetano Petrosino
Regia e scene Franco Zeffirelli
Costumi Maurizio Millenotti
Luci Paolo Mazzon
Coreografia Giuseppe Picone
Verona, 9 settembre 2023
Grande serata di chiusura per il centenario dell’Arena di Verona Opera Festival, che segna il ritorno di Anna Netrebko come Violetta a sei anni dall’ultima Traviata scaligera. Le lunghe file ai varchi d’accesso hanno confermato l’annunciato sold out della serata (duecento i posti extra messi a disposizione dalla Fondazione Arena di Verona), ma il clima d’attesa si respirava già passeggiando per le vie della città, dove non era difficile cogliere passanti intenti a canticchiare parti dell’opera o ad ascoltarne spezzoni da smartphone. Si riapre, così, il sipario sull’allestimento di Franco Zeffirelli (per il cui approfondimento si rimanda alla recensione del 19/08/2023 ), che per l’occasione ha riservato qualche piccola sorpresa, come l’anticipazione al primo atto dell’abito bianco di Violetta previsto per il secondo quadro del secondo atto, dove è stato sostituito da un costume che rievocava la mise della Stratas nel film di Zeffirelli (“La traviata”, 1993), o l’aggiuntivo lancio di stelle filanti a suggello dei cori di tributo al grand opéra. Ma veniamo al dunque. Con messe di voce di sensuale corposità, il soprano russo si presenta come affermata cortigiana, il cui canto inizialmente omologato pare non dare credito alla deviazione d’amore, almeno fino al primo momento solistico. E così dev’essere! Perché il duetto del primo atto non è un semplice duetto d’amore, ma una dichiarazione d’amore, che porta di getto la giovane a depistare una conversazione inopportuna per il suo status, pur aprendo una breccia nel suo cuore, come evidente dalla resa particolarmente intimista del cantabile dell’aria. Meno congeniale il “Sempre libera”, condotto tra prese di fiato occasionali e incertezze nell’intonazione, a fronte di un’esecuzione precisa negli abbellimenti e di spiccato senso ritmico negli staccati della coda. Se il primo atto è, tutto sommato, quello di minore distanza rispetto al panorama sopranile attuale, dal secondo in poi la Violetta della Netrebko conserva una luce propria. Nella casa di campagna troviamo, infatti, tutto un altro personaggio, oramai completamente assorto nella nuova vita con Alfredo, dove il continuo bilico emotivo è mediato da una linea di canto instancabilmente modulata e avulsa da intenti esibizionistici. Nel duetto con Germont, il ricorso al pianissimo è l’accorgimento per prendere timidamente coscienza dell’abbandono, dopo che il vibrato si era fatto stretto per trasmettere l’inquietudine di quell’“agitato” presente in partitura e subito prima del carismatico congedo da Alfredo, dove la travolgente fusione tra compattezza e dirompenza di suono indugia ad attenuarsi verso una chiusa di struggente evanescenza. Soluzioni cromatiche che si riflettono anche nel candore melanconico del concertato di fine atto, passando per un secondo quadro in cui l’interprete è tutt’altro che passiva, ma anzi riesce a trasmettere tutto lo stato tensionale di Violetta nel seguire il gioco delle carte tra i due rivali, a conferma dell’elevato calibro attoriale della cantante anche quando non direttamente chiamata in causa. Il connubio tra la nitidezza proiettiva di una gamma cromatica di profonda immedesimazione e le meste linee melodiche della scrittura lascia ancora di più il segno al riacutizzarsi della tisi. Qui il soprano materializza una lettura peculiare, dove i legati languono su frasi che sembrano sgorgare a stento e dove improvvisi affievolimenti calcano il debilitarsi dell’indole combattiva della giovane, ancora in forze per schiudere sospensioni acute d’intensa suggestione, la cui natura soffice e quasi flautata risulta singolarmente atta alla sublimazione finale del personaggio. Ad affermazione del pernio drammaturgico dell’opera, il duetto col Germont padre di Luca Salsi è risultato il confronto a due più aulico. Il baritono sembra avere interiorizzato tutti gli espedienti per poter essere un Giorgio Germont di riferimento, omogeneo nella voce quanto sicuro nel portamento. Sul filone dell’alto esempio di Leo Nucci, la sua interpretazione verte sull’attribuzione di un diverso peso alle singole parole del fraseggio, rispondendo al soprano con un’impostazione di canto autorevole e ricca d’accenti, pronta a calare il volume sulle più subdole allusioni o al rimarco delle inflessioni più autoritarie. La pedanteria del ruolo non si perde neanche nell’indisiosa aria di Provenza, dove al chiasma strofico fa seguito l’alternarsi di frasi in piano e in mezzo forte, a scongiurare il tedioso potenziale del pezzo. Un Germont di grande scavo, a cui si augura qualche momento di più libero sfogo in acuto. Più sullo sfondo lo statico Alfredo di Freddie De Tommaso, non privo di una certa leziosaggine. Corretto e sicuro nel passaggio al registro di testa (ben sostenuto il Do sovracuto opzionale), il tenore italo-britannico fa sfoggio di un buon controllo dei fiati, ma il timbro manca del colore atto a tornire il sentimentalismo del giovane innamorato, entro un’emissione non sempre a fuoco e di contenuto volume. Ne esce un Alfredo dalla dizione perfettibile e dal fraseggio piuttosto anonimo, mosso quasi esclusivamente dai tratti più impulsivi della parte. Dalla buca, il maestro Marco Armiliato segue gli interpreti con distinta professionalità, a favore di una direzione scorrevole e poco prevaricante, soprattutto negli assoli e nei passaggi più tenui dei duetti. La sua bacchetta saggia i temi lasciando che sia il palco a fare da protagonista, ma dà prova di grande esperienza nel risintonizzare l’orchestra su un paio di attacchi errati dei cantanti, concedendosi maggiore protagonismo nelle concitate atmosfere di festa e nella funzionale scansione dell’agogica. Per il resto, la locandina differiva dalla recita del 19/08 per il profetico Grenvil di Giorgi Manoshvili e il puntuale d’Obigny di Jan Antem, mentre i balli del secondo atto erano allietati dall’apporto dei primi ballerini del Teatro alla Scala Nicoletta Manni e Timofej Adrijashenko, applauditi con entusiasmo dal pubblico areniano. Esplosivo l’applauso finale alle parti principali, già preannunciato dai lunghi plausi a conclusione dell’inusuale trasposizione acuta in chiusura dell’“Ah, fors’è lui” e dalle (improbabili) richieste di bis al termine dell’integrale esecuzione dell’“Addio, del passato”, a cui si è unita l’ovazione della platea, per un arrivederci al prossimo anno più che promettente. Foto Ennevi per Fondazione Arena