“Medée” di Cherubini al Teatro Real di Madrid

Madrid, Teatro Real, Temporada 2023-2024
“MEDÉE”
Tragédie lyrique in tre atti su libretto di François Benoît Hoffmann, basato sulla tragedia Medea di Euripide
Edizione critica di Heiko Cullmann, versione con recitativi di Alan Curtis
Musica Luigi Cherubini
Jason ENEA SCALA
Medée MARIA PIA PISCITELLI
Néris NANCY FABIOLA HERRERA
Créon JONGMIN PARK
Dircé SARA BLANCH
Prima fanciulla MERCEDES GANCEDO
Seconda fanciulla ALEXANDRA URQUIOLA
Corifeo DAVID LAGARES
Orquesta y Coro Titulares del Teatro Real
Direttore Ivor Bolton
Maestro del Coro José Luis Basso
Regia e scene Paco Azorín
Costumi Ana Garay
Movimenti scenici Carlos Martos de la Vega
Videoproiezioni Pedro Chamizo
Nuova produzione del Teatro Real, in coproduzione con Abu Dhabi Festival
Madrid, 1. ottobre 2023

Della decina di versioni in circolazione della Medea di Cherubini, il Teatro Real di Madrid ha scelto quella in “lingua originale” francese per inaugurare la stagione 2023-2024, con i recitativi recentemente ricostruiti dal compianto Alan Curtis. Si tratta naturalmente di una nuova produzione, affidata alle cure musicali di Ivor Bolton, a una buona e variegata compagnia vocale, e, purtroppo, al regista Paco Azorín. È anche la prima volta che Medée si rappresenta al Teatro Real (un fatto assolutamente normale per quanto riguarda l’Ottocento, ma abbastanza sorprendente per la seconda metà del Novecento). Tale contesto giustifica (almeno, in parte) l’ingente investimento che il Teatro ha stanziato per realizzare l’allestimento, con undici rappresentazioni e due cast di cantanti (nel caso di Medée, sono tre i soprani che si alternano nella parte). Ivor Bolton è un direttore estremamente intelligente, con un senso delle dinamiche e dei ritmi sempre accattivante e originale; forse in questa Medée ha dato peso eccessivo al timpano, probabilmente per cercare pulsazioni forti nel progresso della tragedia. D’altro canto, la Orquesta del Teatro Real non sempre corrisponde alle richieste del maestro, come se non riuscisse a identificare nella partitura di Cherubini un modello stilistico ben definito. Maria Pia Piscitelli dà voce a una Medée molto corretta quanto a unità dell’emissione e coerenza della linea di canto; durante il I atto l’espressività si va arricchendo poco a poco, ma fatica a raggiungere un livello adeguato e autenticamente “tragico” nella seconda parte (gli atti II e III sono agglutinati), quando si dovrebbe percepire nella voce tutta la tensione per gli imminenti delitti. Inoltre, gli attacchi non sono sempre impeccabili e nell’intonazione si percepiscono come delle micro-fessurazioni che compromettono il risultato generale. Nella lunga scena del III atto in cui pianifica l’infanticidio, il soprano non si impegna a sufficienza, anzi indulge al parlato, ad accennare, a cantare troppo piano. Di fatto, al termine di questo segmento, che dovrebbe costituire la sezione più coinvolgente degli interventi protagonistici, non riceve neppure un applauso. Prima dell’inizio della rappresentazione, è annunciato che il tenore Enea Scala ha deciso di cantare, pur accusando sintomi influenzali. Un vero peccato, dopo le ottime prestazioni di metà agosto al Rossini Opera Festival di Pesaro. In realtà, il cantante non si limita ad accennare, ma si avvale di tutti i mezzi della sua elegante linea di canto per disimpegnare bene la parte. Il vero difetto è nelle risonanze di gola, che però non gli si possono imputare come una disattenzione. Jongmin Park è un Créon molto credibile, anche perché favorito da un’adeguata presentazione scenico-visiva: la voce ha sicuramente un volume importante, sebbene l’emissione sia poco naturale e gli acuti forzati. Anche Sara Blanch è reduce dal Rossini Opera Festival (fu un’apprezzata Zenobia nell’Aureliano in Palmira) e si conferma come ottima interprete di Dircé, per l’omogeneità dell’impostazione tecnica e la duttilità della voce. Molto buona la Néris (un personaggio drammaturgicamente fondamentale durante il III atto) di Nancy Fabiola Herrera. Il Coro del Teatro Real canta con forza (quasi con arroganza, quando il gruppo maschile compare sulla scena abbigliato da marines); rispetto alla precedente gestione di Andrés Máspero, sempre equilibrata, si avverte un cambio di stile con la direzione di José Luis Basso. Il giudizio sulla parte visiva dello spettacolo è fortemente negativo; ma non perché quello che si vede sia sgradevole o volgare o incomprensibile. Al contrario, la lettura di Azorín è chiarissima (come tutte le operazioni che vogliono essere “politically correct”), ma talmente fuorviante e banalizzante rispetto al mito di Medea e all’affinità razionalistica tanto di Euripide come di Hoffmann, che lo spettatore minimamente avvertito di storia culturale resta molto deluso. La Medée di Azorin è spettacolare, moderna, tecnologica: nessuna di queste supposte qualità ha nulla a che vedere con la musica di Cherubini. L’impianto scenico consiste in una gigantesca torre, all’interno della quale si muove un ascensore (che da una sommità invisibile scende fino al palcoscenico) e davanti alla quale è situato un altro piano mobile che va su e giù, occupando buona parte dello spazio. È incredibile come certe strutture ronconiane, tipiche degli Anni Novanta, continuino a ripetersi (inutilmente), più che altro per colmare i tempi di una partitura neppure troppo dilatata. Se ci soffermassimo sui costi di un macchinario del genere e sulle alternative di uso delle risorse impiegate, saremmo tacciati di “populismo artistico” … Meglio, dunque, limitarsi a constatare che l’insieme di tutti questi mezzi tecnologici è speculare all’utilità drammaturgica. In secondo luogo, è insopportabile la pedanteria delle videoproiezioni, che uniscono dettagli didascalici del libretto a dati sui bambini assassinati ogni anno nel mondo, per poi propinare i dieci punti della Carta dei Diritti del Bambino (di per sé sacrosanti). Il reale obbiettivo di Azorín è presentare Medée come un dramma dell’infanzia, dei bambini che soffrono violenza da parte dei genitori, e la cui esistenza è rovinata, appunto, da chi dovrebbe prendersi cura di loro. Il tema è, naturalmente, di urgente attualità; ma Medée non è Peter Grimes, e Cherubini e Hoffmann non avevano letto L’histoire de l’amour maternel di Élisabeth Batinder, bensì Euripide. Per rendere visibile e legittimare quello che nell’opera non c’è, Azorín ricorre a un doppio (ancora!) della protagonista, la quale non fa altro che sgozzare i bambini nel corso di tutta l’opera (sin dalla sinfonia) e a più riprese. Anche nei dettagli si ravvisa scarsa attenzione per i valori formali dell’opera. Il vello d’oro, per esempio, è immesso sulla scena per la prima volta sotto forma di gigantesca testa di ariete; solo nella seconda parte è, effettivamente, un vello steso per terra, su cui formulare o scongiurare incantesimi. Il pubblico ha rispetto per lo spettacolo, sicuramente ne apprezza la musica e le voci, ma applaude pochissimo e alla fine esce rapidamente dal Teatro. Medée di Cherubini, ormai lontani i fantasmi della Callas, di Bernstein e della Wallmann, avrebbe certamente meritato uno studio d’insieme più orientato all’arte che non alla denuncia sociale.   Foto Javier del Real © Teatro Real de Madrid