Recensioni - Opera

Innsbruck inaugura la stagione con L’Amore delle tre melarance di Prokof’ev

Simpatica messa in scena della fiaba tratta da Carlo Gozzi

La nuova direzione del teatro di stato tirolese sembra orientarsi su titoli meno classici e su un programma variegato. Inaugurazione fuori dagli schemi infatti con “L’amore delle tre melarance”, opera del 1921 in un prologo e quattro atti di Sergej Prokof'ev, tratta da un libretto dello scrittore e teatrante avanguardista russo Vsevolod Ėmil'evič Mejerchol'd, che a sua volta si era ispirato alla fiaba teatrale omonima dello scrittore veneziano Carlo Gozzi.

Fiaba curiosa quella dell’amore del principe per le Melarance, resa da Mejerchol’d ancora più intrigante dall’inserimento di un prologo metateatrale in cui diverse sezioni di coro impersonano gli adepti della tragedia, della lirica e della commedia, inscenando una vera propria disputa metateatrale. La fiaba nel primo atto parla infatti sostanzialmente di teatro: sono i versi tragici a creare l’infinita malinconia del principe che non riesce più a ridere.

Ne esce una sorta di pastiche con richiami evidenti alla commedia dell’arte, ai diversi generi di teatro, alla fruizione teatrale, all’arte del racconto. Non può non balenare alla mente l’Ariadne a Naxos di Strauss con la sua disputa interna fra tragedia e commedia, là troviamo Zerbinetta, qui Truffaldino ma sempre di commedia dell’arte italiana si parla e si ironizza.

Di funzione e fruizione del teatro e del teatro musicale si discute dunque come si è spesso fin dal “Mondo alla Rovescia” del romantico Ludwig Tieck, in cui il pubblico apostrofava gli attori sul tipo di messa in scena che stavano proponendo, guarda caso anche qui con i personaggi della commedia dell’arte; fino a “Capriccio” sempre di Richard Strauss, che nel 1942 risolve con ironia e souplesse l’eterna questione fra realtà e finzione, fra testo e improvvisazione e fra musica e parola che si trascina dal primo romanticismo.

Prokof’ev e Majerchol’d mettono molta carne al fuoco, forse troppa, tanto che la fiaba risulta abbastanza confusa e sovraccarica di personaggi: oltre al citato Truffaldino troviamo la cattiva Fata Morgana, il buon mago Celio, il cattivo Leandro accoppiato alla perfida Principessa Clarice, il Re oltre al Principe e alla Principessa. Non mancano una cuoca indiavolata con tanto di gigantesco mestolo e addirittura il diavolo Farfarello, che tanto ricorda l’Azazello del Maestro e Margherita di Bulgakov.

Anche la messa in scena di Jasmina Hadziahmetović mette forse troppa carne al fuoco, risultando sì favolistica, varia e colorata, ma a volte anche confusa. Preponderante l’uso della platea come luogo scenico soprattutto nel primo atto, cosa interessante di per sé, ma all’eccesso anche distraente. Più classica invece l’impostazione del secondo atto con le scenografie naif di Paul Zoller e Loriana Casagrande e i costumi non particolarmente azzeccati di Mechtild Feuerstein.

Tutto ovviamente finisce bene e il coro e ballo finale suggellano il buon esito della vicenda.

Il numeroso cast si destreggia con professionalità senza però eccellere in spontaneità scenica. Il principe di Alexander Fedorov ha una voce ben impostata e facile agli acuti, mentre Oliver Sailer da ottima prova di sé in tre personaggi di carattere. Scenicamente spigliato e convincente il Leandro di Erwin Belakowitsch.

Matthew Toogood, a capo della brava orchestra sinfonica del Tirolo, dirige con piglio e bella sonorità la musica di Profof’ev.

Buon successo per tutti nel finale.

Raffaello Malesci (Giovedì 5 Ottobre 2023)