Venezia, Teatro La Fenice:”I Due Foscari”

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Lirica e Balletto 2022-2023
I DUE FOSCARI”
Tragedia lirica in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave, da “The Two Foscari” di Lord Byron
Musica di Giuseppe Verdi
Francesco Foscari, doge di Venezia LUCA SALSI
Jacopo Foscari, suo figlio FRANCESCO MELI
Lucrezia Contarini, di lui moglie  MARIGONA QERKEZI
Jacopo Loredano, membro del Consiglio dei Dieci RICCARDO FASSI
Barbarigo, senatore, membro della Giunta MARCELLO NARDIS
Pisana, amica e confidente di Lucrezia CARLOTTA VICHI
Un fante del Consiglio dei Dieci ALESSANDRO VANNUCCI
Un servo del doge ANTONIO CASAGRANDE
Ballerini: Elena Barsotti, Miriana Conte, Deborah Di Noto, Filippo Del Sal, Chiara Gagliardo, Giuseppe Giacalone, Luca Pirandello, Giovanni Spagnuolo
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Sebastiano Rolli
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Regia Grischa Asagaroff
Scene e costumi Luigi Perego
Light designer Valerio Tiberi
Coreografie Cristiano Colangelo
Allestimento Fondazione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino
Venezia, 10 ottobre 2023
Con I due Foscari si chiude la Stagione Lirica 2022-2023 del Teatro La Fenice. L’opera – legata a Venezia sia per il contenuto sia perché Verdi la concepì inizialmente per il massimo teatro veneziano – torna in laguna dopo quasi cinquant’anni. Composta nel 1844, in un periodo di febbrile lavoro per il bussetano, i cosiddetti “anni di galera”, essa nondimeno precorre capolavori come Machbet, Simon Boccanegra e Don Carlos per vari aspetti, quali: la preponderanza dell’argomento politico, il prefigurarsi di un flusso melodico continuo con la fusione di aria e recitativo, la forte caratterizzazione dei personaggi, connotati da altrettanti “biglietti da visita” nusicali (una frase tortuosa per il Consiglio dei Dieci, un tema in minore al clarinetto per Jacopo, una scala di terzine per Lucrezia, una serie di arpeggi delle viole con l’accompagnamento ondeggiante dei violoncelli per Francesco). L’attenzione di Verdi è principalmente per il doge – il personaggio meglio riuscito, che anticipa Simone Boccanegra e Filippo II – e il tema che lo annuncia – al pari di quello di Simone – evoca il mare.
Reduce dal successo riportato con I due Foscari al Maggio Musicale Fiorentino, nel 2022, Grischa Asagaroff – coadiuvato da Luigi Perego, per scene e costumi, e Valerio Tiberi, per le luci – ripropone a Venezia la stessa fortunata messinscena ideata per Firenze, il cui elemento portante è la riproduzione del sepolcro di Francesco Foscari, conservato nella Chiesa dei Frari. Esso si staglia in alto sulla parete di una torre, che si muove in molte direzioni e contiene, nella sua faccia posteriore, gli elementi scenici che accompagnano i vari momenti della vicenda. Le comparse (mimi) fanno ruotare questo marchingegno, a seconda delle varie scene, collocando anche nella giusta posizione mobili e oggetti. L’ambientazione è quella originaria: diversamente da opere coma La traviata, I due Foscari non consente – secondo la condivisibile quanto provvidenziale opinione del regista tedesco una lettura in chiave contemporanea. Anche i costumi sono “d’epoca”, seppure stilizzati ed astratti, certamente apprezzabili, a parte il copricapo rosso, indossato dal coro, nella scena della barcarola, da cui svetta un ferro di prua, tipico delle gondole: un orpello forse più adatto a una commedia musicale di Broadway. L’azione generalmente cupa si anima nell’unico episodio di festa: il ballo di marinai e gondolieri mascherati, che si svolge durante la barcarolasobria ma efficace la coreografia di Cristiano Colangelo. Veramente eccellente il Cast. Superlativa la prestazione del baritono Luca Salsi, che ha dominato la scena dall’inizio alla fine regalandoci un vecchio Foscari dolorosamente combattuto tra l’amore verso il figlio Jacopo e i propri doveri di doge: nobile il gesto, nobile il canto, omogeneo il timbro dal bel colore scuro, finemente scolpito il fraseggio, in linea con la più insigne tradizione dei grandi baritoni “verdiani”. Insuperabile Salsi nella scena finale – da brivido “Questa dunque è l’iniqua mercede” –, in cui Verdi anticipa quella della morte di Boris. Ma anche in “O vecchio cuor che batti” ha emozionato il pubblico. Di notevole livello è risultata complessivamente anche la performance offerta dal tenore Francesco Meli, nei panni dell’infelice Jacopo Foscari. Dopo un inizio dai toni un po’ aspri, probabilmente a causa della voce “fredda”, ha trovato l’abituale compostezza stilistica, unita a una vocalità espressiva, morbida, controllata, abbellita dal timbro gradevolmente brunito, come si è apprezzato in arie , quali “Non maledirmi, o prode” – nella scena spettrale della prigione –, “Non hai, padre, un solo detto”, “All’infelice veglio”. Una positiva sorpresa – la sentivamo per la prima volta – ci ha riservato la Lucrezia Contarini del soprano Marigona Qerkezi, che ha affrontato la propria parte, a tratti impervia, con padronanza tecnica al servizio di una voce importante per la potenza e il timbro smagliante, segnalandosi anche per l’eleganza delle mezze voci e la chiara articolazione delle colorature, come nell’aria “La clemenza? … S’aggiunge lo scherno! …”, che ci ha rivelato – come altre pagine a lei affidate – una Lucrezia appassionata e combattiva. Bella la voce scura e pastosa del basso Riccardo Fassi, che ha disegnato uno Jacopo Loredano truce e spietato. Di buona professionalità tutti gli altri componenti del cast: il tenore Marcello Nardis (Barbarigo), il mezzosoprano Carlotta Vichi (Pisana), il tenore Alessandro Vannucci (Un fante del Consiglio dei Dieci), il basso Antonio Casagrande (Un servo del doge). Eccellente è risultata la prestazione del coro, istruito dal maestro Caiani. Ineccepibile la direzione di Sebastiano Rolli, che si è confermato uno dei massimi interpreti verdiani, per aver saputo, tra l’altro, trovare di volta in volta la giusta intensità sonora all’interno dell’estesa dinamica che caratterizza questa come tante opere del Maestro di Busseto: dai suoni più morbidi e tenui alle virili accensioni di tutta l’orchestra. Un esperto come lui, inoltre, non poteva non proporre una versione senza tagli significativi con le cabalette eseguite col “Da capo”. Sotto la sua bacchetta l’orchestra, nel suo insieme, ha suonato con mirabile coesione, mentre le singole parti hanno esibito spiccate qualità solistiche.Successo pieno con molte chiamate alla fine. Delirio per Salsi e Rolli.