“Giulio Cesare in Egitto” conclude la stagione del Teatro dell’ Opera di Roma

Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2022/2023
“GIULIO CESARE IN EGITTO”
Opera in tre atti
Libretto di Nicola Francesco Haym
da Giacomo Francesco Bussani
Musica di Georg Friedrich Handel
Giulio Cesare RAFFAELE PE

Cleopatra MARY BEVAN
Sesto Pompeo ARYEH NUSSBAUM COHEN
Cornelia SARA MINGARDO
Tolomeo CARLO VISTOLI
Achilla ROCCO CAVALLUZZI
Nireno ANGELO GIORDANO
Curio PATRIZIO LA PLACA
Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Rinaldo Alessandrini
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Agostino Cavalca
Luci Alessandro Carletti
Movimenti coreografici Thnomas Wilhelm
Nuovo allestimento del Teatro dell’Opera di Roma in coproduzione con il Théatre des Champs-Elysées, Parigi, Oper Leipzig, Opéra Orchestre National del Montpellier-Occitanie, Capitole de Toulouse, creato l’11 maggio 2022 al Théatre des Champs-Elysée
Roma, 13 ottobre 2023
Ultima opera della stagione in corso è stata il Giulio Cesare in Egitto di Handel affidata alle cure del maestro Rinaldo Alessandrini, specialista del repertorio, e per la regia a Damiano Michieletto. La difficoltà di allestire un’opera nella quale accade poco e l’azione teatrale è pressoché nulla viene abilmente risolta dal regista scegliendo come cifra interpretativa il senso della meditazione sulla fine della vita dei vari personaggi in primis Giulio Cesare e Cleopatra. L’opera diviene quindi un meraviglioso seguito di arie nelle quali il sentimento e non la caratterizzazione dei personaggi viene espresso dalla musica, agita dai cantanti con studiata eleganza e naturalezza ma soprattutto con uno stupefacente sincronismo con la musica perfino nelle le funamboliche variazioni scritte già nell’esposizione dei temi e poi lasciate esplodere nelle riprese. Ciascuno di essi ha un tempo interiore con il quale si muove sul palcoscenico e il tempo stesso per tutta l’opera è scandito dalle tre parche, figure di ispirazione vagamente rinascimentale che emergono dalla penombra e che tessono silenziose ma implacabili lo stame della vita rappresentato da un filo rosso o da più fili che fin dall’inizio dello spettacolo avvolgono, sostengono e poi trascinano nell’oscurità della morte il protagonista. L’opera infatti a dispetto del testo e della musica che illustrerebbero un finale lieto secondo il gusto e le aspettative del pubblico del tempo, dopo tanto sangue sparso in scena finisce con la rappresentazione della futura morte di Cesare. Lo spettacolo certamente non concepito nelle ultime settimane stranamente e certamente oltre le previsioni di tutti, ben si adatta al sentire di queste giornate così dolorosamente e profondamente segnate dagli avvenimenti della guerra e alle tematiche della vendetta, della lotta per il potere e infine della morte. Le scene, i costumi e le luci sono assolutamente contemporanei. Sappiamo che l’opera si svolge in Egitto per lo più dal titolo, dal testo e da qualche episodico particolare dei costumi, ma in un teatro del genere questo aspetto non è di nessun disturbo. Al contrario, nel momento in cui la musica non definisce i personaggi ma gli stati d’animo che essi incarnano, questi sono senza tempo e riguardano l’uomo in quanto tale, quello dell’epoca di Handel come quello di oggi. Infine l’idea di scritturare tre controtenori per le parti principali di Cesare, Tolomeo e Sesto è parsa assolutamente vincente sul piano teatrale e musicale pur non costituendo l’unica via esecutiva, anche con la sottile e forse divertita idea di ammiccare un po’ al mondo dei castrati come noi lo immaginiamo con i loro vezzi, i loro eccessi e ed i loro protagonismi. Unica perplessità in una serata per il resto positiva e stimolante riguarda la scelta di eseguire una partitura così lunga con un solo intervallo. Evitando di addentrarsi in discussioni filologiche sull’opportunità o meno della scelta e nel caso sul punto nel quale far cadere la fusione se prima o dopo la tale aria e via dicendo, argomentazioni sulle quali ammettiamo di non avere la competenza e delle quali soprattutto poco vediamo l’opportunità, tutto ciò semplicemente rende la fruizione dello spettacolo un po’ faticosa. In epoca di social e di internet, parlo soprattutto per i giovani e i cosiddetti nativi digitali, il tempo di una singola aria barocca è ancora nel ritmo interiore e nelle capacità di concentrazione di ciascuno. Viceversa il tempo di un’intera lunga opera, senza interruzioni forse lo è meno. Rinaldo Alessandrini guida l’orchestra con mano sicura privilegiando un’espressività più legata la scansione ritmica che non alla timbrica o alla agogica ed una concertazione rigorosissima. In particolare ottima è parsa la capacità di sostenere i cantanti nelle impervie e pirotecniche variazioni che si sono compiaciuti di voler offrire al pubblico e di mantenere sempre vivo il filo, questa volta invisibile ma non meno importante, della narrazione. E veniamo agli interpreti vocali della serata. Nel ruolo eponimo il controtenore Raffaele Pe ha offerto una prova assolutamente impeccabile sotto il profilo scenico e musicale incantando il pubblico con messe di voce, variazioni ed agilità di ogni sorta eseguite con spavalderia e sempre volte ad un fine espressivo. Del pari bravo il controtenore Aryeh Nussbaum Cohen nel personaggio di Sesto Pompeo che con voce omogenea e ricca di armonici ben racconta il percorso di crescita ed affrancazione del proprio personaggio. Straordinario infine Carlo Vistoli nella parte dell’ambiguo e mentalmente contorto Tolomeo. Sicuro e affascinante scenicamente supera le difficoltà vocali della parte con compiaciuta e tranquilla disinvoltura realizzando un ritratto complesso e convincente del proprio personaggio. Corretta ma un po’ incolore la Cleopatra di Mary Bevan, precisa ed infallibile nei passaggi di agilità ma meno convincente nei cantabili. Sara Mingardo conferma, caso mai ce ne fosse bisogno, la propria classe interpretativa regalando al pubblico il ritratto di una Cornelia nobile e dolente grazie ad una elegantissima e raffinata linea di canto. Il basso Rocco Cavalluzzi con voce ampia ed omogenea ha interpretato Achilla in modo assai convincente sia sul piano scenico che musicale. Bravi Angelo Giordano e Patrizio La Placa nei ruoli minori rispettivamente di Nireno e Curio. Alla fine lunghi e meritati applausi per tutti per uno spettacolo chiaro nell’impianto, che consente diversi livelli di fruizione e ricco di stimoli.