Recensioni - Opera

Alla Scala L'Amore dei tre Re di Italo Montemezzi

Seconda rappresentazione al Teatro alla Scala di Milano, venerdì sera 3 novembre, de “L’amore dei tre re”, Poema tragico in tre atti composto da Italo Montemezzi su libretto di Sem Benelli.

Non si registra il sold out, ma in teatro si contano pochi posti non occupati. L’Opera, la cui prima assoluta fu proprio alla Scala nel 1913, mancava a Milano dal 1953. A dirigere l’Orchestra Pinchas Steinberg, la regia è di Àlex Ollè de La Fura dels Baus.

È opportuno riassumere i contorni essenziali del plot. Il vecchio Archibaldo, ora cieco, è giunto in passato con il suo esercito ad Altura, in Italia, per conquistare il territorio. La popolazione locale, costretta alla resa, offre in sposa la bella Fiora a Manfredo, guerriero animato da profondi principi cristiani, e figlio di Archibaldo. Ella è per così dire consegnata, al fine di restituire la pace alla popolazione di Altura, salvandola dallo sterminio dell’invasore. Fiora non è felice, perché innamorata di Avito, con il quale intrattiene una celata relazione. Archibaldo, accompagnato dall’ambiguo servitore Flaminio, intuisce l’infedeltà della nuora e la smaschera finendo per ucciderla. Alla veglia funebre il disperato Avito bacia le labbra di Fiora, su cui sono state versate gocce di veleno mortale. L’obiettivo di Archibaldo è quello di conoscere l’identità del misterioso innamorato della donna. Mentre Avito agonizza sopraggiunge Manfredo che lo perdona e sceglie di baciare anch’egli le labbra dell’amata Fiora prima di sdraiarsi accanto al suo corpo esanime e attendere la morte. Archibaldo, resosi conto di trovarsi davanti al figlio in fin di vita urla straziato: “Anche tu, dunque, senza rimedio sei con me nell’ombra!”

La vicenda si svolge in pieno medioevo, ambientata nella località immaginaria di Altura, quaranta anni dopo una invasione barbarica. Non vengono forniti riferimenti cronologici precisi, Lamore dei tre re” è una favola dal finale infelice.

Nella partitura è dato spesso risalto ai corni che richiamano boschi, scene di caccia, combattimenti tra opposte fazioni. Il discorso strumentale è lineare, scorrevole nella sua non eccessiva complessità. La musica procede ininterrotta, non ci sono pezzi chiusi ma nemmeno arie nel senso più tradizionale del termine. Non mancano duetti, tuttavia i personaggi non cantano mai insieme e solo l’ingresso del Coro nel terzo atto avvicina la composizione allo stile di altre più note. Anche se di rara esecuzione, l’Opera (verista) di Montemezzi non è da sottovalutare.

Archibaldo è interpretato dal basso Evgeny Stavinsky. È lui il primo re, una figura minacciosa che inquieta, pur essendo limitato nell’azione dalla cecità. Assoluto protagonista della vicenda, vorrebbe salvaguardare l’unione di Fiora e Manfredo, ma desidera inconsciamente la donna e lo dimostra ogni volta che la sfiora. La grave voce di Stavinsky è un grido che sale dagli inferi. Anche l’Orchestra accompagna le uscite del suo personaggio con suoni cupi.

È temuto e nel contempo odiato, Archibaldo. Il servitore Flaminio, da lui provocato nel primo atto, estrae dalla tasca un coltello per colpirlo, ma presto si ravvede. Anche Fiora vorrebbe ucciderlo con il bastone che il vecchietto utilizza per aiutarsi nel cammino, ma non lo fa e lascia cadere l’oggetto che stringeva tra le mani. Manfredo, quando scopre della morte della moglie per mano di suo padre, che glielo confessa apertamente, ha un moto di stizza e lo scuote con veemenza.

Infine Avito afferra un pugnale per trafiggere l’anziano guerriero ma viene fermato da Flaminio che lo allontana, evitando di rivelare ad Archibaldo se ci fosse qualcuno (e chi fosse quel qualcuno) a tener compagnia a Fiora.

Il baritono Roman Burdenko è Manfredo, il secondo re, il combattente gentile che crede nell’amore, che sa perdonare e che non riuscirà a rassegnarsi alla morte di Fiora preferendo morire anch’egli per non essere separato da lei (Ch’io torni a te, per sempre!). Ben figura in scena Burdenko nonostante una partitura che, esclusi gli acuti di rito, non permette al suo personaggio di risaltare. Sul finire del primo atto Manfredo si rivela un uomo passionale che, accompagnato da un’Orchestra in crescendo, confida al padre il suo folle amore per Fiora.

Il terzo re è Avito, interpretato dal bravo tenore Giorgio Berrugi. Avito non è in grado di prendere decisioni importanti: attende Fiora, si accontenta di vivere nell’ombra, non le impone di fuggire via lasciando Manfredo. La prega, la supplica elemosinando baci, carezze e attenzioni che la sua amata comunque gli concede.

Il soprano bellunese Chiara Isotton, che cammina a piedi scalzi, incarna la contesa Fiora. Un personaggio, il suo, tanto glaciale nel rapporto con Manfredo, quanto vivo e appassionato in compagnia di Avito. Fiora odia Archibaldo, ma gli sta sottomessa e anch’ella, al pari di Avito, non ha il coraggio di affidarsi a risoluzioni che le possano cambiare in meglio la vita coronando il suo sogno d’amore. La Isotton evidenzia e conferma le sue qualità vocali, presentando una voce gradevole, supportata da concrete basi tecniche.

Note in merito alla regia per questa nuova produzione del Teatro alla Scala. Colpiscono le innumerevoli catene calate, presenti in tutti gli atti. La vita dei quattro personaggi è incatenata. Nessuno di essi è veramente libero.

Ad esempio, quando nella parte centrale del secondo atto Fiora agita il velo per salutare Manfredo andato in battaglia, Avito vorrebbe raggiungerla sulla terrazza ma si scontra con le catene che lo impediscono nel cammino, lo confondono, proprio come è impedito e confuso il suo cuore in quell’istante. Nel secondo atto compare una lunga scalinata che conduce al terrazzo; nel terzo, infine, spazio al corpo di Fiora adagiata esanime e omaggiata dalla gente di Altura.

Tutti sono vestiti di nero, tutti hanno il capo coperto da un velo. Solo una ragazzina scopre il viso per pochi istanti, al cospetto della defunta, prima di sottrarlo nuovamente agli sguardi altrui. I costumi utilizzati son belli da vedere, ma non sembrano particolarmente adatti all’epoca medievale (Manfredo, ad esempio, indossa giacca e pantaloni scuri di pelle).

A completare il cast il gradevole tenore Giorgio Misseri (Flaminio), Fan Zhou e Andrea Tanzillo (Ancella, Un giovanetto) e gli allievi dell’Accademia Teatro alla Scala: Silvia Spruzzola (Una giovanetta), Daniela Salvo (Una vecchia), Cecilia Menegatti (Un fanciullo).

“L’amore dei tre re” andrà in scena altre tre volte, il 7, il 10 e il 12 novembre.