Genova, Teatro Carlo Felice: “Werther”

Genova, Teatro Carlo Felice, Stagione d’opera 2023/24
WERTHER”
Dramma lirico in quattro atti su libretto di Édouard Blau, Paul Milliet et Georges Hartmann, tratto dal romanzo “I dolori del giovane Werther” di Johann Wolfgang Goethe.
Musica di 
Jules Massenet
Werther JEAN-FRANÇOIS BORRAS
Le Bailli ARMANDO GABBA
Charlotte CATERINA PIVA
Albert JÉRÔME BOUTILLIER
Schmidt ROBERTO COVATTA
Johann MARCO CAMASTRA
Sophie HÉLÈNE CARPENTIER
Brühlmann EMILIO CESAR LEONELLI
Kätchen DANIELA ALOISI
Orchestra, Coro di voci bianche dell’Opera Carlo Felice di Genova
Direttore 
Donato Renzetti
Maestro del Coro di voci bianche Gino Tanasini
Regia, Scene e Costumi Dante Ferretti
Luci Daniele Nannuzzi
Genova, 19 novembre 2023
Il punto di partenza è chiaro e semplice: “Werther” di Massenet è un capolavoro, uno di quelli veri, che difficilmente può essere reso indigeribile – gli ardui ruoli vocali già operano una naturale selezione dei cantanti, la storia così assoluta e coinvolgente sa superare quasi qualsiasi astrusa velleità registica; nel recensirlo occorre partire da questo, soprattutto perché sappiamo non essere un titolo frequente nel repertorio del nostro paese, e che quindi va difeso e spinto affinché si veda e ascolti di più. La produzione di “Werther” al Carlo Felice di Genova crea aspettative alte, a causa di uno dei nomi più eminenti del teatro e cinema nostrano, il tre volte Premio Oscar Dante Ferretti, e le scene da lui approntate, in effetti, sono estremamente curate, esteticamente appaganti, dal gusto vagamente cinematografico e contemporaneamente teatrali in un senso piacevolmente passé – ambienti realisticamente ricreati in legno, fondali e nessuna proiezione a casaccio; il terzo atto, addirittura, stimola l’ammirata reazione del pubblico, grazie all’attentissima geometria degli interni, alla millimetrica adesione alle palette coloristiche, al preciso gusto tra modernismo e déco pienamente rispettato in qualsiasi oggetto di scena (giacché l’ambientazione cronologica è spostata agli anni Trenta del secolo scorso). I costumi, ad opera dello stesso Ferretti, sono congrui allo shift estetico temporale, forse un filo troppo (pensiamo al costume di Charlotte del terzo atto, borgogna su uno sfondo rosso pompeiano), ma comunque godibilissimi ed efficaci. Le bellissime luci di Daniele Nannuzzi, dal canto loro, creano una cornice in costante dialogo con i quadri, spesso algide, nel quarto atto quasi archeologiche nei truci chiaroscuri da gangster movie. Spiace constatare, tuttavia, che in cotanta perfezione formale quello che venga a mancare sia la regia stricto sensu, e, quando la rintracciamo, sovente è foriera di errori piuttosto grossolani – un esempio su tutti: perché ambientare il secondo atto di sera, quando per ben due volte si fa riferimento alla bella giornata di sole, e addirittura l’arioso di Sophie è tutto incentrato su di essa? Per il resto si fa giustamente largo uso di figuranti per dare movimento alle scene che, però, poi, si arenano proprio quando sono i protagonisti a parlare: Charlotte e soprattutto Werther (ma anche Sophie e Albert) sono spesso immobili, fronte al pubblico, separati scenicamente; ove Massenet mette colpi di scena, cambiamenti atmosferici, parentesi sinfoniche nelle quali sviluppare una drammaturgia, il regista Ferretti preferisce l’inazione: paradigmatico, in tal senso, l’ingresso di Werther del terzo atto, durante il quale egli entra in casa di Charlotte senza bussare, con piglio baldanzoso, per congelarsi davanti alla porta per una decina di secondi, e parimenti fa Charlotte nel guardarlo. Amenità che però alla lunga rischiano di infastidire l’occhio più esperto – come anche la morte di Werther in garage (sic), con lui esanime che a un certo punto si rimette in piedi per cadere di nuovo più a centro palco – miracolo che nemmeno la Desdemona risorgente di Rossini. Tra i due protagonisti non c’è tensione, né passione: recitano, contravvenendo alla prima regola del palcoscenico. Sul piano musicale l’andamento è decisamente diverso: Donato Renzetti è il vero protagonista di questa première, con la sua direzione macerante, forse un filo largheggiante, ma che per lo meno ci regala la ricca gamma di emozioni che non traspira dal palco; l’entracte fra terzo e quarto atto varrebbe da sé il biglietto, per il profondo sguardo che Renzetti rivolge al complesso manierismo sinfonico massenetiano, che ufficialmente rifiuta il wagnerismo ma in realtà lo reinventa alla luce delle suggestioni estetizzanti della cultura francese del suo tempo. Il cast gode di molti talenti, alcuni che emergono meglio di altri. Jean-François Borras ha dalla sua una tecnica solida che gli consente di reggere un ruolo che gli calzerebbe addosso in toto. Lodevole la cura del fraseggio che compensa un corpo vocale che talvolta è schiacciato dall’orchestra. Accanto a lui Caterina Piva è una Charlotte luminosa dai centri ricchi e pastosi e la linea di canto che mostra qualche limite nel registro acuto, non sempre perfettamente a fuoco ma, nel complesso, la prova del mezzosoprano milanese può ben definirsi riuscita. Jérôme Boutillier, dal canto suo, è un Albert carismatico: la voce di baritono è contraddistinta da suoni ambrati e vellutati, un nobile porgere, il fraseggio mai banale; Hélène Carpentier è una Sophie certamente corretta, dalla buona estensione, anche se la voce appare afflitta da un poco gradevole vibrato; Negli altri ruoli di lato senza dubbio si segnalano positivamente Roberto Covatta (Schmidt), per la naturalezza dell’emissione e il bel controllo dei volumi, e Armando Gabba, un Bailli dalla dizione ben scandita e i colori piacevolmente foschi; ottima la prova del coro di voci bianche dell’Opera genovese, istruito a dovere dal Maestro Gino Tanasini. Il pubblico mostra di gradire con calore, rivolgendo scroscianti applausi praticamente a tutti. Si replica venerdì 24 e domenica 26. Foto Marcello Orselli