Bergamo, Donizetti Opera 2023: “Lucie de Lammermoor”

Bergamo, Teatro Sociale, Festival Donizetti Opera 2023
“LUCIE DE LAMMERMOOR”
Opera in tre atti su libretto di Alphonse Royer e Gustave Vaëz
Musica di Gaetano Donizetti
Henri Ashton VITO PRIANTE
Edgard RAvenswood PATRICK KABONGO
Sir Arthur JULIEN HENRIC
Gilbert DAVID ASTORGA
Raimond ROBERTO LORENZI
Lucie CATERINA SALA
Orchestra gli Originali
Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Direttore Pierre Dumoussaud
Maestro del coro Salvo Sgrò
Regia Jacopo Spirei
Scene Mauro Tinti
Costumi Agnese Rabatti
Luci Giuseppe Di Iorio
Bergamo,  26 novembre 2023
Parigi rappresentava, nella prima metà dell’Ottocento, un punto d’arrivo fondamentale per qualunque musicista ma anche una piazza pericolosa se si fossero fatti passi incauti. Conscio di questo, Donizetti decise di sondare la realtà parigina partendo da un teatro importante ma certo secondario rispetto all’Opéra com’era Théâtre-Italien e soprattutto di affidarsi a un titolo di sicuro successo come “Lucia di Lammermoor”. Due anni dopo la prima napoletana del 1835 l’opera debuttava a Parigi non solo in versione francese ma a seguito di un significativo adattamento.
La versione parigina – quella che turbava anima e sensi di Emma Bovary – presenta alcune significative differenze rispetto all’originale italiano specie sul piano drammaturgico. La parte di Raimondo è drasticamente ridotta mentre quella di Alisa scompare del tutto. Molto e più ampia è approfondita e invece quella di Normanno – qui Gilbert – vero e proprio piccolo Jago che si finge confidente di Lucie con il solo scopo di tradirla e arrivare a uccidere Edgard, sperando di ottenerne lauto consenso. Vera anima nera dell’opera Gilbert è forse la figura più interessante di questo rifacimento. Ampliata è anche la parte di Arthur con una forte insistenza sulla sua bontà d’anima che tende a farne una vittima – al pari di Lucie ed Edgard – della ferocia delle lotte politiche. Sul piano musicale la differenza maggiore è la sostituzione di “Regnava nel silenzio” con la cavatina della “Rosmonda d’Inghilterra”. Sostituzione che la protagonista Fanny Tacchinardi Persiani già aveva adottato per la versione italiana e che Donizetti fa propria inserendo però un tema del flauto che anticipa già la scena della follia. La versione francese presenta nel complesso un tono più melanconico e meno granguignolesco – scompaiono dal libretto scuri e fontane rosseggianti di sangue – forse meno d’impatto sul piano musicale ma più approfondita e curata su quello drammaturgico.
La scelta per questa ripresa bergamasca di uno specialista dell’opera francese come Pierre Dumoussaud non mancava d’interesse. Nei fatti la prestazione ci è parsa invece sottotono, sempre un po’ spenta e carente sul piano della fantasia esecutiva. Può aver giocato in questo senso una difficoltà nell’uso degli strumenti d’epoca usati dell’orchestra Gli Originali che rispetto ad altre occasioni ci è parsa meno precisa sul versante dell’intonazione specie nel settore degli ottoni. Molto positiva la prova del Coro dell’Accademia del Teatro alla Scala. Caterina Sala preparava il debutto come Lucie da due anni ma la fortuna non ha assistito la giovane cantante. Costretta a rinunciare al III atto alla prima per problemi di salute nella recita recensita si è presentata non pienamente ripresa. Una certa prudenza si è notata fin dalla cavatina e nella scena della follia la stanchezza si è fatta sentire con evidenti difficoltà sugli acuti. E’ un vero peccato che questo abbia condizionato la prestazione perché la voce è ampia, ricchissima di suono – finalmente una Lucia vocalmente importante e non soprano leggero come si ascolta troppo presto – e nonostante la giovane età le qualità interpretative sono notevoli.
Sbagliata invece in partenza la scelta di Patrick Kabongo come Edgard. Il tenore franco-congolese ha una voce molto piacevole e canta con gusto e musicalità impeccabili ma la voce è troppo piccola e leggera per la parte. Già nel duetto del I atto viene quasi coperto da Lucie. La grande aria manca di intensità tragica e nel finale II semplicemente scompare. Kabongo è un ragazzo con del potenziale ma non è ancora pronto per una parte come questa. Vocalmente il migliore è stato Vito Priante che affronta Henry con voce sicura e autorevole e interpreta con grande efficacia il personaggio che nella versione francese è più subdolo e inquietante. Sul piano scenico si dimostra ottimo attore dominando con autorevolezza la scena.
Nel complesso ben centrati gli altri due tenori. Julien Henric ha la luminosità vocale e la simpatia scenica che si addicono ad Arthur mentre David Astorga pur con voce più ordinaria coglie perfettamente la natura subdola e traditrice di Gilbert. Autorevole Roberto Lorenzi nella pur molto ridotta parte di Raimond. La regia di Jacopo Spirei ci è parsa la migliore vista in questo festival. Allestimento attualizzato ma elegante e senza inutili forzature. Impianto scenico essenziale – una stilizzata foresta nebbiosa dai toni decisamente romantici, sobri abiti novecenteschi, efficacie gioco di luci, pochi elementi scenici a definire i vari ambienti. Tema centrale della regia è la condanna della violenza sulle donne resa attraverso immagini anche esplicite e brutali brutali e con una recitazione marcata e violenta – sporadiche contestazioni del pubblico dovute apparentemente a un fraintendimento del senso dello spettacolo. Spirei vuole però anche raccontare una vicenda e quindi si concentra sui personaggi e sui loro rapporti cosa che è invece mancata negli altri spettacoli del festival. Forse leggere l’intera opera in chiave così univoca fa un po’ perdere il senso di una fatalità superiore, di una ragion di stato che implacabile giunge a schiacciare tutti e in cui Lucie è vittima – forse solo più innocente – quanto Edgard, Arthur e forse lo stesso Henri ma lo spettacolo ha una sua organicità e coerenza che vanno apprezzate ed è un vero racconto e non un mero pretesto come troppo spesso accade.