L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Sonata a Kreutzer sulla via Emilia

di Irina Sorokina

La produzione di Otello che ha debuttato a Piacenza prima di Natale fa tappa a Modena, sempre facendo affidamento sulle qualità artistiche di Gregory Kunde come protagonista. Impeccabile la Desdemona di Francesca Dotto e di grande spessore lo Jago di Luca Micheletti.

Piacenza, Otello, 17/12/2023

Modena, 14 gennaio 2023 - Dopo il Teatro Municipale di Piacenza, che questo Otello verdiano ha inaugurato la stagione in corso e celebrato i suoi primi duecentovent’anni, la produzione arriva al Teatro Comunale Pavarotti Freni di Modena e la recita domenicale segna una grande, comprensibile presenza del pubblico. Sfogliando “gli annali” di un melomane o di un cronista, di Otello si troveranno forse poche tracce: per una buona riuscita della produzione ci vogliono troppe cose per renderne frequente la rappresentazione e in cima della lista c’è lui, il tenore. Trovare un tenore capace di interpretare il ruolo di Otello, non diciamo in modo strepitoso, ma almeno dignitoso, è un’impresa quasi impossibile. A Piacenza e Modena lo rende possibile Gregory Kunde ma prima si dà un’occhiata alla produzione dignitosa dei teatri emiliani.

L’allestimento decisamente riuscito sposta la faccenda dell’opera verdiana nell’ultimo decennio dell’Ottocento e fa venire in mente il celebre racconto di Lev Tolstoj, Sonata a Kreutzer, distante solo due anni dalla prima di Otello (la prima dell’opera verdiana nel 1887, la pubblicazione del racconto di Tolstoj nel 1889). Sappiamo dell’ironia tagliente e ingiusta praticata dal Tolstoj nei confronti del genere dell’opera lirica, tuttavia rischiamo di supporre che la squadra che mette in scena lo spettacolo strizzi l’occhio al piccolo capolavoro del genio russo.

Il confronto viene stimolato, prima di tutto dallo spostamento della vicenda dall’epoca rinascimentale al secondo Ottocento, in ambienti essenziali lineari e dai colori sobri di una casa borghese, ideati da Domenico Franchi, in cui i personaggi sembrano imprigionati. C’è anche una modesta presenza del mare, ma serve per sottolineare le atmosfere soffocanti dalle quali è permeata la messa in scena. In ogni caso l'aspetto estetico della produzione non vorrebbero distrarre l’attenzione dalla vicenda che a distanza di secoli suscita emozioni forti e compassione dolorosa. In armonia con le scenografie, i costumi di Artemio Cabassi donano un’ulteriore eleganza a ogni interprete e rimandano ai magnifici ritratti che portano la firma dei pittori francesi e russi a cavallo dei secoli. In linea con “le vesti” dello spettacolo è la regia di Italo Nunziata, che sembra invisibile: ecco, la parola giusta, è proprio “sembra”. Sembra invisibile, ma con un minimo stato di concentrazione lo spettatore realizza che dietro gli spostamenti degli interlocutori e le loro reazioni si nasconde la mano ferrea e intelligente: da qui un alto grado di partecipazione emotiva, quasi un batticuore che provoca questo Otello emiliano.

Non c‘è Otello senza un grande Otello, e Gregory Kunde lo è, anche se la voce può non soddisfare tutti i criteri necessari per la parte (cosa che ahimè, nel momento attuale pare quasi impossibile). Kunde da tempo non è più il tenore rossiniano ascoltato per decenni al Rossini Opera Festival, ma si cimenta in un repertorio ben diverso. Otello non è solo ruolo mitico, ma pure «pericoloso», si rischia di cadere nel ridicolo se la personalità artistica non è sufficientemente importante. Kunde evita questo rischio, anche perché viene felicemente sostenuto proprio dalla trasposizione temporale della messa in scena attuale. È un Otello che, appunto, ricorda vivacemente un personaggio di Lev Tolstoj della Sonata a Kreutzer dal cognome difficilmente pronunciabile, Pozdnyšev: non ha quasi nulla di un condottiero, ma parecchio di un borghese anziano con linclinazione all'insicurezza e alla riflessione. Grande uomo di teatro, Kunde è capace di toccare le corde più sensibili delle nostre anime, ma come tenore non sfugge qualche rimprovero. La voce mostra segni di stanchezza soprattutto in acuto e pare meno solida e sicura, senza sfoderare lo squillo e lo spirito eroico che ci si potrebbe aspettare. „Esultate!“ tradisce una certa fatica; va un po' meglio nel duetto con Jago „Si per ciel marmoreo giuro“ in cui trova una bell'intesa col baritono e da quest'ultimo è sostenuto; coinvolge e provoca forte emozione in „Dio mi potevi scagliar“, dal declamato sublime, ma un poco rovinato dalla nota finale. Il riscatto avviene con „Niun mi tema“, in cui si percepisce l'autentico spirito tragico e la grandezza d'interprete fa dimenticare il trascorrere del tempo per il cantante.

Nessun dubbio solleva invece Francesca Dotto, una Desdemona ideale, che sembra aver messo in pratica le parole di Verdi stesso sulle eroine shakespeariane, angeliche e veritiere. Molto naturale, mai sopra le righe, in armonia tra la dignità innata e il coraggio di vivere un amore praticamente impossibile, la Dotto “strega” con il suo timbro carezzevole, la linea di canto ben studiata, i chiaroscuri sottili. La sua interpretazione coinvolge sempre di più per raggiungere un’autentica gloria del momento più atteso, la Canzone del salice e l'Ave Maria.

Il capolavoro del tardo Verdi si chiama Otello, si ricorda, però, che inizialmente il compositore ebbe intenzioni di intitolarlo Jago e così si sarebbe dovuto chiamare lo spettacolo visto al Comunale di Modena, a causa dell’interpretazione magistrale del baritono Luca Micheletti. È lui che domina la vicenda, è lui che la manda avanti,è lui che recita e canta in modo impeccabile e addirittura provoca dei brividi. Alla radice di quest’interpretazione riuscitissima si possono riconoscere le sue esperienze di un autentico uomo di teatro, che recita e canta con impeccabile efficacia, ma ha nel suo bagaglio pure l'attività di regista. Ci assumiamo il rischio di sostenere che Verdi stesso sarebbe rimasto soddisfatto di un tale Jago, incredibilmente naturale e sciolto, dalla faccia di un brav’uomo, in apparenza incapace di perseguitare dei secondi fini. Non è da meno la bravura di baritono, voce decisamente bella, pulita, perfettamente impostata e tagliente. Ogni assolo risulta profondamente studiato nelle parti cantabili e nei declamati; questo Jago rimarrà memorabile.

Perfetta la squadra dei comprimari, che non vorremmo definire tali: nella lista si distinguono soprattutto Antonio Mandrillo nei panni di Cassio e Sayumi Kaneko in quelli di Emilia, entrambi in possesso di belle voci e di indiscusse capacità attoriali che permettono a loro di creare i personaggi che rimangono in memoria. Completano il quadro e si fanno ammirare per le stesse qualità Andrea Galli (Roderigo), Mattia Denti (Lodovico), Alberto Petricca (Montano).

Leonardo Sini guida l’Orchestra dell’Emilia Romagna Artuto Toscanini senza timore, con mano sicura; sceglie accenti energici e ritmi piuttosto serrati. Da l’impressione di avere un talento speciale nel “disegnare” attraverso la musica e lo conferma la scena della tempesta, con la percezione quasi fisica dalla parte di chi ascolta, di fulmini e cascate d’acqua. Buona anche la resa dei frammenti più lirici dell’opera verdiana e i contrabbassi nel quarto atto fanno un effetto quasi spaventoso.

Ottima resa vocale e teatrale si riconosce al coro del teatro Municipale di Piacenza preparato da Corrado Casati, e sono apprezzabili le Voci bianche del Conservatorio della città emiliana sotto la guida di Giorgio Ubaldi.

Sarebbe andato tutto benissimo se non fosse stato una domanda continua, sorta da molto tempo, se mai avremo un vero Otello. È ancora senza risposta.


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