Modena, Teatro Comunale Pavarotti-Freni: “Otello”

Modena, Teatro Comunale Pavarotti-Freni, Stagione 2023/2024
OTELLO
Dramma lirico in quattro atti su libretto di Arrigo Boito
Musica di Giuseppe Verdi
Otello GREGORY KUNDE
Desdemona FRANCESCA DOTTO
Jago LUCA MICHELETTI
Cassio ANTONIO MANDRILLO
Roderigo ANDREA GALLI
Lodovico MATTIA DENTI
Montano ALBERTO PETRICCA
Un araldo EUGENIO MARIA DEGIACOMI
Emilia SAYUMI KANEKO
Orchestra dellEmilia-Romagna Arturo Toscanini
Coro del Teatro Municipale di Piacenza e Coro Voci bianche Nicolini di Piacenza
Direttore Leonardo Sini
Maestro del Coro Corrado Casati
Maestro Voci bianche Giorgio Ubaldi
Regia Italo Nunziata
Scene Domenico Franchi
Costumi Artemio Cabassi
Luci Fiammetta Baldiserri
Nuovo allestimento in coproduzione Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Fondazione Teatro Carlo Coccia di Novara
Modena, 14 gennaio 2023
L’eroe dei due Otelli ritorna in quello verdiano con vigorìe vocali appena affievolite: forse perché discende, anche lui, nella valle degli anni. Ma, siccome è un genio, sa fare del proverbiale tallone il suo punto di forza. E allora nasce un Otello dolente, vecchio, stanco. Che si trascina faticosamente, pungulato da pensieri persecutori, spaventato e sospettoso. Ci sono, certo, dove ci vogliono, quelle subitanee fiammate in cui rifulge ancora il suo smalto vibrante di riflessi, inconfondibile. Ma come ogni volta più vasta emerge dal pozzo di questa voce portentosa la sua sconfinata varietà espressiva. A quasi settanta primavere, lautunno kundiano si tinge di nuove e affascinanti sfumature: meno brillanti, ma quanto più suggestive, a teatro. Dove sono illuminate da un fraseggio e da un accento sempre personalissimi. Gregory Kunde non è un cantante: è una autentica personalità vocale, una tipologia vocale. Vocale sì, ma scenica no: inciampa in un naïf molto Yankee, per esempio con quel ditino inquisitore. E sembra prender molto sul serio quellardere delle tempie: quando invece si tratta di una semplice scusa, inventata da un Otello incapace di dominarsi per giustificare il proprio turbamento davanti alla sposa confusa (nel primo duetto: nel secondo è ancora uno stratagemma, ma per avere notizie del fazzoletto). Però è così autentico, così suo, che gli si perdona. E poi, va detto: forse la cosa salta tanto allocchio solo perché a stargli accanto è lo Jago di Luca Micheletti, che quanto a recitazione sbaraglia qualunque metro di giudizio operistico. Micheletti, non è un segreto, lavora anche nel teatro di parola come attore e come regista, e ai più alti livelli: è così che viene solitamente spiegata la sua sorprendente bravura scenica. Ma non è che è bravo perché fa la prosa: è che fa la prosa perché è bravo. E chi lo abbia seguito su entrambi i sentieri ha potuto notare come li percorra con andatura tutta diversa, e non potrebbe essere altrimenti. Certo: arricchendosi delle diverse esperienze. Usa la voce come strumento espressivo, non diversamente da un sopracciglio o un dito. E questo suo strumento è di notevole duttilità, si presta a una sconfinata gamma di sfumature. Ma non si lascia mai andare a suoni sgraziati, graffianti, sbracati, estremi: laristocratico contegno del musicista lo frena. Scavo sulla parola scenica e sdilinquenti morbidezze di velluti convivono felicemente e fanno la gioia del più chic fra i pensosi cultori della drammaturgia quanto del più verace e fanatico dei melomani con la schiuma alla bocca, e talvolta alle orecchie. La voce di Francesca Dotto sembra fatta apposta per rinverdire i fasti del cosiddetto soprano lirico italiano: tonda, generosa di armonici, ben proiettata nellemissione, molto omogenea, al netto di qualche titubanza nel registro acuto, mentre i centri sono molto belli e morbidi, e i gravi che non hanno bisogno di essere rafforzati né scuriti. Ha un gusto un podi modernariato nel porgere la parola, ma delizioso, come di chi ami molto la Olivero, la Carteri, la Tebaldi: e chi mai potrebbe non amarle. Lo slancio volitivo, quasi aggressivo, che si prende aggrappandosi alle consonanti è qualcosa che queste dive hanno mutuato dal canto maschile, e squisitamente tenorile: e sopra tutti Pertile. Facendo di povere gatte morte autentiche eroine moderne. E talvolta anche bizzarri ometti, ma non è certo il caso della Dotto: che è una Desdemona giovane, tenera amante, ma orgogliosa di tanta risoluta purità. Completano la compagnia la salda Emilia di Sayumi Kaneko, il sonorossimo Montano di Alberto Petricca, e lo scabro cipiglio del Lodovico di Mattia Denti. Poi ci sono un Cassio dal timbro luminoso ma non solidissimo, Antonio Mandrillo, e un Rodrigo un po’ più problematico. L’orchestra è la Toscanini, in buona forma, diretta da Leonardo Sini: trovandosi puntata alla tempia lesigenza di condurre la grossa nave in porto e a tempo, non cera troppo da concedersi gran speculazioni interpretative. Eppure, i tempi piuttosto meditativi o quantomeno non incalzanti parevano assecondare la dolente interpretazione di Kunde. Si aggiungono le voci bianche del Conservatorio Nicolini di Piacenza, dirette dal Maestro Ubaldi, al coro del Municipale di Piacenza diretto dal Maestro Casati. Che si giova, acusticamente, dei pannelli à la Gordon Craig di cui si compone il semplice impianto scenico pensato da Domenico Franchi: quinte e soffitti che incorniciano la scena aprendosi e richiudendosi, abilmente movimentati dai macchinisti, come un diaframma fotografico. In cui si muovono, nei costumi tardo ottocenteschi di Artemio Cabassi, i personaggi. Che il regista Italo Nunziata ha voluto buoni borghesi, per scalare il tragedione shakespeariano in un salottino più prossimo a Verdi, e a noi. Foto Rolando Paolo Guerzoni