Venezia, Teatro La Fenice: ritorna “Il barbiere di Siviglia” di Rossini

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Lirica e Balletto 2023-2024
IL BARBIERE DI SIVIGLIA”
Melodramma buffo in due atti su libretto di Cesare Sterbini, dalla commedia “Le Barbier de Séville” di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais.
Musica di Gioachino Rossini
Il conte d’Almaviva/Lindoro NICO DARMANIN
Bartolo OMAR MONTANARI
Rosina MARINA COMPARATO
Figaro ALESSANDRO LUONGO
Basilio FRANCESCO MILANESE
Berta GIOVANNA DONADINI
Fiorello WILLIAM CORRÒ
Un ufficiale CARLO AGOSTINI
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Renato Palumbo
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Maestro al fortepiano Roberta Ferrari
Regia Bepi Morassi
Scene e costumi Lauro Crisman
Light designer Andrea Benetello
Allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, 26 gennaio 2024
Ennesima ripresa alla Fenice dello storico allestimento del Barbiere di Siviglia, firmato da Bepi Morassi, la cui prima realizzazione risale al lontano 2002: uno spettacolo dall’impostazione di base tradizionale – e proprio per questo oggetto di qualche critica, forse un tantino snobistica –, che si arricchisce o comunque parzialmente si modifica ogni volta che viene riproposto. Del resto, è implicito che l’inevitabile cambiamento di parte degli interpreti induca a porre in maggiore evidenza particolari aspetti della drammaturgia rossiniana rispetto ad altri, assecondando nuove sensibilità e abilità a livello vocale e gestuale. Comunque sia, anche nell’attuale messinscena del Barbierecome quelle in quelle precedenti – si coglie l’intimo legame tra la più nota opera buffa del Pesarese e l’antica tradizione della Commedia dell’Arte, intesa dal regista non in senso deteriore o riduttivo, bensì come grande scuola di virtuosismo interpretativo. Ai cantanti-attori, dunque, lo spettacolo ideato da Morassi – degno allievo di Giovanni Poli, cui tanto si deve proprio per la riscoperta della Commedia dell’Arte, insieme a Strehler e Fo – richiede, aldilà di una sicura prestanza vocale, una scaltrita padronanza dell’arte istrionica, per dar vita a un intrigante gioco scenico in parallelo con il grande “concertato” musicale, creato dal genio indiscusso di Rossini. Per il regista veneziano – come si apprende da una sua intervista – riproporre, negli anni, questo Barbiere rappresenta sempre una sfida con se stesso e con la propria capacità di apportare allo spettacolo quei ritocchi che si rendano necessari. È, altresì, un’occasione per valutare la sua personale evoluzione artistica, prendendo come riferimento il progredire nel tempo dell’allestimento di un capolavoro assoluto, nell’ambito del genere buffo, che come tutti i grandi titoli consente diversi livelli di lettura, impegnando particolarmente il regista. Anche in quest’occasione – come si è detto – la macchina scenica costruita da Morassi, coadiuvato da Lauro Crisman (scene e costumi) e Andrea Benetello (Light designer), si è confermata un omaggio alla grande tradizione della Commedia dell’Arte, non senza qualche riferimento al varietà e qualche trovata abbastanza originale, che ha divertito il pubblico: ad esempio, quando, nel corso del duetto “All’idea di quel metallo”, Figaro accenna qualche passo di danza, imitando Fred Astaire con tanto di bastone; o quando Basilio, intonando “La calunnia”, gioca a carte con Bartolo (evidentemente barando, visto che, alla fine, mostra beffardamente una serie di assi nascosti dentro il soprabito). Particolarmente riuscito – a proposito di trovate originali – appare il personaggio di Berta, che ha l’aria di una pazzerella, che talora esplode in astiose risate, simili a quelle della strega di Biancaneve nel celebre cartoon disneyano. Gradevoli i costumi di foggia piuttosto tradizionale (emblematica la mise scarlatta del “diabolico” Figaro) al pari delle scene (dalla piazzetta, su cui si affaccia il balcone di Rosina, chiuso da una grata, con sullo sfondo la skyline di Siviglia, si passa alla stanza della casa di Bartolo con le pareti rosse a righe gialle su cui campeggiano i ritratti di famiglia); efficace l’uso delle luci, che assumono un tono infuocato in certe scene di più accesa emotività. Un raffinato equilibrio ha caratterizzato la direzione e la concertazione di Renato Palumbo, che ha accompagnato con sensibilità e autorevolezza le voci, instaurando un proficuo rapporto tra buca e palcoscenico, col sostegno di un’orchestra, come sempre encomiabile, che lo ha perfettamente assecondato sia nell’insieme che negli interventi solistici. Un suono brillante ma anche di mozartiana leggerezza si è apprezzato fin dalla vivace Sinfonia. Di prim’ordine il giovane Cast, che in generale ha saputo coniugare espressività, prestanza vocale, incisivo fraseggio e presenza scenica. In particolare, il tenore Nico Darmanin (Lindoro/Il Conte d’Almaviva) col suo timbro omogeneo, appena venato di nobile metallo, si è dimostrato giustamente enfatico negli squarci lirici e sicuro negli acuti quanto nei passaggi d’agilità, a partire da “Ecco ridente in cielo”. Adorabilmente spregiudicata ma anche animata da buoni sentimenti era la Rosina delineata dalla brava Marina Comparato che, dotata di una vocalità scevra da ogni pesantezza, si è dimostrata particolarmente agile anche nelle più ardue colorature, come si è pienamente apprezzato in “Una voce poco fa” dal concitato finale mozzafiato. Un’attitudine rocambolesca, insieme a una vulcanica energia, caratterizzava il personaggio di Figaro, che Alessandro Luongo, con voce estesa e timbrata, oltre che con una gestualità talora quasi acrobatica, ha proposto in modo suggestivo ma nel contempo credibile, fin dalla cavatina, “Largo al factotum”. Un bel timbro baritonale si è apprezzato in Omar Montanari (Bartolo) che, senza esagerare in espedienti comici, ha divertito nella parte del vecchio tutore alla mercé della sua tutt’altro che ingenua pupilla, destreggiandosi con onore nell’ardua “A un dottor della mia sorte” (anche nello scioglilingua finale). Un’espressività caricaturale ma non stucchevole si coglieva, analogamente, nel Don Basilio, interpretato con voce profonda da Francesco Milanese, come si è apprezzato nell’immortale “La Calunnia è un venticello” col suo impressionante crescendo finale. Spiritosa Giovanna Donadini nei panni di Berta, che ha sfoggiato verve e leggerezza interpretando “Il vecchiotto cerca moglie”.Valide le prestazioni di William Corrò e Carlo Agostini, rispettivamente Fiorello e Un ufficiale, nonché quella del coro, istruito da Alfonso Caiani. Successo vivissimo con diverse chiamate per gli interpreti vocali e gli altri responsabili dello spettacolo.