Venezia, Teatro La Fenice: “La Bohème”

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Lirica e Balletto 2023-2024
LA BOHÈME”
Scene liriche in quattro quadri.Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, dal romanzo “Scènes de la vie de bohème” di Henri Murger.
Musica di Giacomo Puccini
Rodolfo CELSO ALBELO
Marcello ALESSIO ARDUINI
Schaunard ARMANDO GABBA
Colline ADOLFO CORRADO
Benoît, Alcindoro MATTEO FERRARA
Mimì CLAUDIA PAVONE
Musetta MARIAM BATTISTELLI
Parpignol Dionigi MASSIMO SQUIZZATO
Un venditore ambulante SALVATORE DE BENEDETTO
Un sergente dei doganieri GIAMPAOLO BALDIN
Un doganiere ENZO BORGHETTI
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Piccoli Cantori Veneziani
Direttore Stefano Ranzani
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Voci bianche dirette da Diana D’Alessio
Regia Francesco Micheli
Scene Edoardo Sanchi
Costumi Silvia Aymonino
Light designer Fabio Barettin
Allestimento Fondazione Teatro La Fenice nel 100° anniversario della morte di Giacomo Puccini
Venezia, 8 febbraio 2024
La vita sregolata di alcuni giovani squattrinati – nella quale lo squallore dell’indigenza si sublima nella poesia delle piccole cose, l’incosciente allegria si alterna alla più profonda tristezza, l’estasi d’amore cede alla gelosia o al decadimento fisico – ha conquistato ancora una volta il pubblico della Fenice, dove viene ripresa da tredici anni. Ci riferiamo, ovviamente, a La bohème di Puccini, che nel centenario della morte dell’autore, è tornata in laguna nello storico, fortunato allestimento, firmato da Francesco Micheli (regia), Edoardo Sanchi (scene), Silvia Aymonino (costumi) e Fabio Barettin (light designer). Come non vedere nelle piccole “cose”, di cui si parla nel capolavoro pucciniano, un riflesso della “buone cose di pessimo gusto” di gozzaniana memoria? Del resto, un’assonanza tra il mondo del musicista lucchese e quello del poeta subalpino è testimoniata dal fatto che quest’ultimo confessò di aver posto mano a un libretto espressamente concepito per la musica di Puccini. Ma anche l’intuito critico di Montale, ebbe a sottolineare analogie tra i due artisti, pur così distanti fra loro per ragioni anagrafiche e ambientali: tra esse quel misto di ironia e commozione che accomuna le prove migliori di entrambi.
E all’importanza che assumono nella Bohème gli oggetti – prima fra tutti la cuffietta rosa, che rappresenta metonimicamente Mimì – e i luoghi della vita quotidiana non è certo insensibile l’allestimento, ideato dal regista e dai suoi collaboratori, che sottolinea, tra l’altro, un aspetto essenziale del capolavoro pucciniano, vale a dire il ruolo fondamentale svolto dalla Ville Lumière. Così nel primo quadro, la romantica soffitta si apre all’interno di una cornice luminosa che rappresenta i luoghi-simbolo della capitale – Tour Eiffel, Moulin Rouge, Arco di Trionfo, Chiesa del Sacro Cuore, grande ruota panoramica – variando la sua intensità a seconda del carattere della scena, sulla quale talora incombe una grande luna, pallida e maculata, testimone impassibile delle vicende di cui sono protagonisti i paradigmatici bohémiens. Alcuni luoghi di Parigi dominano anche nei quadri successivi: un animato Quartiere Latino alla vigilia di Natale nel secondo, con edifici su cui campeggiano colorate immagini pubblicitarie e nel sottosuolo un’affollatissima stazione del Métro; la Barriera d’Enfer nel terzo, dove si erge – tra la neve, gli spazzini e le lattaie – l’edificio girevole dell’osteria che ospita Marcello e Musetta. Nell’ultimo quadro, avviene un suggestivo passaggio di scena: sullo sfondo della silhouette degli edifici del Quartiere Latino, gli spazzini spalano la neve, prima che compaia di nuovo la soffitta, dove il clima prima nostalgico e poi brillante si muta in tragedia con l’arrivo di Mimì. Encomiabili la direzione e la concertazione di Stefano Ranzani, che ha sapientemente guidato l’orchestra e i cantanti, mettendo in valore le raffinatezze di una partitura, che in anni ormai lontani fu guardata con sufficienza da certi seriosi difensori delle italiche sorti musicali, e che invece continua a rivelare la statura di un musicista assolutamente geniale e perfettamente aggiornato su quanto stava avvenendo nel panorama musicale dell’Europa fin-de-siècle. Ci pare che il direttore milanese abbia messo in particolare evidenza la corda tragica di questa musica, senza indulgere in “romanticherie” o impennate veristiche, le une e le altre oggi francamente fuori luogo, potendo contare – oltre che su un Cast di prim’ordine – su una compagine strumentale, perfettamente a proprio agio nel restituirci tutta la raffinatezza della scrittura pucciniana. Ricordiamo la sigla d’apertura, che rappresenta la tumultuosa vita “bohémienne” col suono grave di fagotti, celli e contrabbassi; il motivo che risuona al primo ingresso di Mimì, introdotto dal clarinetto e poi ripreso dagli archi in un lento “crescendo” tra intervalli diatonici e cromatici; la fanfara delle trombe, con cui si apre il quadro del Quartiere Latino; il motivo staccato a quinte vuote di flauti e arpa su un pedale basso dei violoncelli in apertura del quadro successivo; per concludere con il motivo di Rodolfo in “Che gelida manina” e con il lacerante finale dell’opera, con la morte di Mimì, entrambi momenti in cui ha brillato l’intera orchestra. Quanto agli interpreti sul palcoscenico, Celso Albelo, al suo debutto nei panni di Rodolfo, è apparso forse troppo “generoso” nelle sue espansioni liriche, come si è colto anche in “Che gelida manina”; il che ha comportato una minore attenzione alle sfumature. Comunque si è trattato di una prestazione nel complesso positiva per quanto riguarda la prestanza sia vocale che scenica. Umbratile era il Marcello di Alessio Arduini, che ha dato voce e gesto a un personaggio allegro e cupo, innamorato e geloso. Apprezzabile – sul piano gestuale e vocale – la Mimì di Claudia Pavone, dal timbro omogeneo e corposo, che si è fatta apprezzare per la sua capacità di esprimere la condizione esistenziale di una fanciulla, in bilico tra realtà e illusione, con accenti ora tragici ora lirici: intensa ma mai leziosa in “Mi chiamano Mimì”. Una vocalità di pregnante leggerezza, insieme a un’encomiabile spigliatezza sulla scena, ha sfoggiato Mariam Battistelli, nei panni di una capricciosa – ma anche sensibile – Musetta. Spiritosi e vivaci, anche nella gestualità, Adolfo Corrado (Colline, toccante in “Vecchia zimarra”), Armando Gabba (Schaunard), Matteo Ferrara (Benoît/Alcindoro). Dignitosi tutti gli altri. Positiva la prova del Coro, istruito da Alfonso Caiani, e dei Piccoli Cantori Veneziani preparati da Diana D’Alessio. Successo pieno con numerose chiamate.