Verona, Teatro Filarmonico: “La rondine”

Verona, Teatro Filarmonico, Stagione Lirica 2024
“LA RONDINE”
Commedia lirica in tre atti su libretto di Giuseppe Adami, A. M. Willner e H. Reichert
Musica di Giacomo Puccini
Magda MARIANGELA SICILIA
Lisette ELEONORA BELLOCCI
Ruggero GALEANO SALAS
Prunier MATTEO ROMA
Rambaldo GËZIM MYSHKETA
Yvette/Georgette AMÉLIE HOIS
Bianca/Lolette SARA ROSSINI
Suzy/Gabrielle MARTA PLUDA
Gobin/Adolfo GILLEN MUNGUIA
Perichaud/Rabonnier RENZO RAN
Crebillon/Maggiordomo CARLO FEOLA

Orchestra, Coro e Ballo della Fondazione Arena di Verona
Direttore Alvise Casellati
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Regia Stefano Vizioli
Scene Cristian Taraborrelli
Costumi Angela Buscemi
Luci Vincenzo Raponi
Coreografia Pierluigi Vanelli
Nuovo allestimento in coproduzione tra Fondazione Arena di Verona e Fondazione Teatro Carlo Coccia di Novara
Verona, 18 febbraio 2024
A ventidue anni dall’edizione curata da Luca De Fusco con la direzione d’orchestra di Maurizio Arena, torna al Filarmonico il tormentato capolavoro di Puccini le cui vicissitudini nella genesi ne testimoniano la sofferta creazione e trasformazione in corso d’opera. Nata in origine dalla commissione del Carltheater di Vienna nel 1913, La rondine aveva tutti i connotati dell’operetta con numeri musicali alternati ai dialoghi parlati; Puccini accettò, forse assai più lusingato dal compenso finanziario che dalla sfida artistica in una forma che in fondo non gli era affatto congeniale. Se Mascagni e Leoncavallo si erano cimentati agevolmente con il genere che spopolava oltralpe, Puccini faticò non poco a lavorare sull’impianto operettistico a numeri chiusi al punto di lamentare insofferenza e mancanza di ispirazione, arrivando a definire il progetto originale “una solenne porcheria” maledicendo lo stile e la moda viennese. Una serie di circostanze, non ultima lo scoppio del primo conflitto mondiale, lo aiutarono a svincolarsi dal contratto e a riconvertire l’opera musicandola per intero e presentandola quindi come commedia lirica affidandone il libretto in italiano a Giuseppe Adami. Gli attriti con il librettista viennese Willner, che in una lettera a Puccini lo accusava di diffondere giudizi negativi sul libretto originale, e il rapporto non proprio idilliaco con Tito Ricordi che non voleva rischiare in quella che definì “una cattiva imitazione di Lehár” portarono all’accordo con l’editore rivale Sonzogno che si assicurò così l’esclusiva mondiale della partitura ma non ne favorì con efficacia la diffusione commerciale. La prima, slittata al 1917 e nel frattempo spostata a Montecarlo con disappunto dei francesi che la vedevano come un’invasione musicale della nemica Austria, fu un successo grandioso anche se la critica si mantenne prudente nel valutare la partitura. Una partitura che Victor De Sabata, tra i pochi a saperne trarre la pura essenza pucciniana, definì come una delle più eleganti e raffinate del lucchese e che conserva modi ed atteggiamenti mutuati dalle tendenze d’oltralpe, non ultima la presenza di ballabili allora in voga come il valzer, la polka, lo slow fox e l’one-step. La vicenda richiama quella dell’amore tra Violetta ed Alfredo, anche se alla fine “non ci scappa il morto”: Magda preferisce tornare alla vita lussuosa e agli agi della mantenuta rinunciando dunque alla morale catartica. Nonostante l’ambientazione originale voluta da Puccini abbia luogo nella Parigi secondo Impero, il regista Stefano Vizioli sceglie di posticiparla negli anni ’50 per dare un tocco glamour ed accarezzare i corpi femminili senza appesantirli con abiti “haute couture”; la Parigi delle grandi sartorie e della moda ma anche quella dei locali fumosi dove trionfano i balli apaches. Nel terzo atto il regista mette a fuoco l’illusione di un amore insostenibile tra i due ragazzi squattrinati, destinato a soccombere al cospetto del vil denaro che spingerà Magda ad una decisione definitiva e giusta per entrambi. Tutte le buone intenzioni di Vizioli rimangono sulla carta svaniscono però in una bolla di sapone perchè lo spettacolo appare privo di una reale atmosfera (a parte il suggestivo profilo di Parigi, alla fine dell’atto primo) e non suscita emozioni particolari; non aiutano le scarne scenografie di Cristian Taraborrelli e i costumi di Angela Buscemi come del resto l’inconsistenza della coreografia di Pierluigi Vannelli. Buone, ma senza guizzi, luci di Vincenzo Raponi. Sul versante musicale dobbiamo rilevare un’ottima compagnia di canto con la magnifica Magda di Mariangela Sicilia, brilla già  in Chi il bel sogno di Doretta dove sfodera una linea di canto ed un fraseggio quasi strumentale creando e mantenendo sempre vivo il suo personaggio in bilico tra felicità, dubbio e angosce interiori. Da parte sua, Galeano Salas conferma il giudizio già espresso per il suo Rodolfo pucciniano nel 2022: la sua voce è di bel colore, luminosa e libera nell’emissione su tutta la gamma. Accanto ai due amanti, la Lisette di Eleonora Bellocci e il poeta Prunier di Matteo Roma muovono con efficacia vocale e teatrale gli ingranaggi di una vicenda di per sé leggera, con tutta la malizia richiesta ma con una linea di canto sempre convincente e sul pezzo. Nel ruolo di Rambaldo Gëzim Myshketa non delude le aspettative a cui ci ha abituati tanto al Filarmonico quanto in Arena con una bella linea vocale e un timbro sempre a fuoco. Buono il resto del cast con Amélie Hois, Sara Rossini, Marta Pluda, Gillen Munguia, Renzo Ran e Carlo Feola, impegnati nei ruoli minori. Se la prestazione della compagnia di canto è stata univocamente ottimale, lo stesso non si può dire della direzione di Alvise Casellati che oltre a non cogliere le finezze strumentali di una partitura lussureggiante appare talvolta in difficoltà nella gestione degli assiemi e dei piani sonori con l’orchestra ancora una volta soverchiante le voci – tutto il canto di conversazione ne risulta compromesso. Il coro, chiamato ad una parte sicuramente non all’altezza di quella delle opere consorelle di Puccini, risulta sempre (per quanto lo dovremo ripetere ancora?) soffocato sul palcoscenico con il suono che arriva in sala sordo e privo di colore rendendo la prestazione anonima e spesso confusa. Uno spettacolo nel complesso senza luci né ombre, onesto ma non di più sul piano visivo e della direzione d’orchestra con dei bagliori nel settore vocale. Pubblico numeroso, ma non da “tutto esaurito”, che ha comunque tributato un caloroso successo a tutti gli interpreti. Repliche il 21, 23 e 25 febbraio.
Foto Ennevi per Fondazione Arena