Recensioni - Opera

Bologna: Arde e appassiona il Trovatore

Prosegue la stagione d'opera al Comunale Nouveau di Bologna, dopo il successo della Manon Lescaut

Torna in scena Il Trovatore di Giuseppe Verdi, il capolavoro della trilogia popolare, con una nuova produzione. Lo spettacolo è quello andato in scena lo scorso ottobre al festival Verdi di Parma, che vede la regia di David Livermore, ripresa da Carlo Sciaccaluga.

Già al suo debutto aveva suscitato le consuete polemiche, invece c’è da dire che rimane un allestimento alquanto interessante e originale.

Le scene realizzate da Giò Forma, risultano leggermente schiacciate negli spazi del Nouveau, specialmente la torre, che perde la sua imponenza. Vincente l'idea di ambientare il villaggio degli zingari in un circo, per rendere ancora di più l'idea di un popolo in continuo movimento, altrettanto validi sia l'ospedale al posto del convento, che la prigione spoglia e claustrofobica.

Le proiezioni video curate da D-Wok sono affascinanti, perfettamente funzionali alla narrazione con i continui cambi di colore, ci restituiscono un ambiente plumbeo e post atomico, aiutate dalle belle luci di Antonio Castro e dai costumi moderni di Anna Verde.

Renato Palumbo, che proprio con questa opera debuttò giovanissimo, ha diretto l'orchestra del comunale con la consueta professionalità, ricercando le tinte giuste e mettendo in risalto sia l'anima più lirica della partitura, che quella più concitata. Tempi corretti, a parte alcuni momenti di eccessiva velocità o di improvvisa lentezza. Cabalette finalmente eseguite senza tagli e un controllo attento tra buca e palcoscenico.

Monumentale la prova del coro nei suoi numerosi e impegnativi interventi. Diretto dalla mano sicura e competente di Gea Garatti Ansini è risultato quanto mai compatto, potente e ricco di dinamiche.

Il baritono americano Lucas Meachem ha interpretato un convincente Conte di luna. La grande presenza scenica gli permette di alternare con facilità sia il ruvido villain, che il malinconico innamorato. Una voce morbida che coglie interessanti sfumature e un curato fraseggio sia nella tormentata aria "Il balen del suo sorriso" che nella cabaletta "Per me ora fatale".

Marta Torbidoni (reduce dal successo nel trovatore modenese) si conferma una solida e appassionata Leonora. Dopo la cavatina e la cabaletta iniziali, anche il terzetto del primo atto e il finale del secondo atto sono risultati particolarmente riusciti. Naturalmente è al quarto atto che il personaggio esplode con momenti di grande bellezza: "D'amor sull'ali rosee" è cesellata con pregevoli mezzevoci, la cabaletta "Tu vedrai che amore in terra" e la stretta del duetto "Vivrà!... contende il giubilo" sono corpose e con acuti sempre ben centrati.

Chiara Mogini che si è avvicinata recentemente al repertorio mezzosopranile, ha debuttato nel ruolo quanto mai faticoso di Azucena con buoni risultati. Al netto di un registro grave ancora da irrobustire e da scurire, l'interpretazione è stata ricca di pathos nel racconto "Condotta ell'era in ceppi" del secondo atto, malinconica in "Giorni poveri vivrà", energica in "Deh, rallentate, o barbari".

Roberto Aronica è un Manrico vigoroso, dallo squillo sicuro e dal timbro latino che ben si addice al personaggio. Si muove con disinvoltura sia nei momenti d'insieme che in quelli solisti. Pregevoli i filati e il lungo finale nell'aria "Ah sì ben mio", seguita da una potente "Di quella pira" abbassata in si e con il da capo

Gianluca Buratto delinea un perfetto Ferrando. Una voce calda, profonda, brunita che scandisce con maggiore cupezza il racconto iniziale "Di due figli vivea padre beato”. Anche scenicamente è sempre credibile e incisivo.

Da segnalare anche l'Ines della brava Benedetta Mazzetto e il limpido Ruiz di Cristiano Olivieri.

Completavano il cast Sandro Pucci (un vecchio zingaro) e Andrea Taboga (un messo).

Teatro non proprio sold out, ma con un pubblico alquanto caloroso sia durante l'opera che negli applausi finali. Ottimi consensi per la Mogini, Torbidoni e Palumbo.

Marco Sonaglia