Tragedia lirica in due atti
Musica di Vincenzo Bellini
Poesia di Felice Romani

In occasione del progetto
“Genova capitale del Medioevo” 2024

Filippo Maria Visconti    Mattia Olivieri
Beatrice di Tenda    Angela Meade
Agnese del Maino    Carmela Remigio
Orombello     Francesco Demuro
Anichino     Manuel Pierattelli
Rizzardo del Maino    Giuliano Petouchoff

Maestro concertatore
e direttore d’orchestra    Riccardo Minasi
Regia    Italo Nunziata
Regista collaboratore   Danilo Rubeca
Scene    Emanuele Sinisi
Costumi    Alessio Rosati
Luci    Valerio Tiberi

Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova
in coproduzione con la Fondazione Teatro La Fenice di Venezia

Orchestra, coro e tecnici dell’Opera Carlo Felice
Maestro del coro Claudio Marino Moretti

Beatrice di Tenda è un capolavoro di Bellini che dovrebbe essere riproposto più spesso. Penultimo lavoro del catanese è opera di raro equilibrio e perfetta composizione. Romani sarebbe potuto cadere nella trappola di fare una copia della sua famosa Anna Bolena, poiché le due opere trattano un argomento quasi sovrapponibile. Ma Romani e Bellini sono scaltri e optano per una “variazione sul tema” proponendo la vicenda viscontea con differenti numeri chiusi musicali così da non confrontarsi direttamente con il capolavoro donizettiano di qualche anno prima. Là, Enrico VIII, non aveva neanche una aria, qui Filippo ne ha ben due. Là il ruolo del tenore era ben sviluppato con 2 arie e pezzi d’assieme mentre Orombello è un tenore secondario che non ha modo di emergere più di tanto (scelta dovuta anche al  tenore della prima a Venezia, Alberico Curioni che cantò Alberto nella prima assoluta de La gazzetta di Rossini, giudicato da Bellini debole tenore). Giovanna Seymour era una altra protagonista mentre Agnese è un personaggio funzionale ma poco sviluppato con una romanza dietro le scene, un bel duetto e un terzettino. Sia Anna Bolena che Beatrice furono cantate da Giuditta Pasta e quindi il soprano emerge distintamente in entrambe le opere con tanto di Rondò finale molto esteso. Anche nei pezzi d’assieme la parte di Beatrice è sempre protagonista rispetto le altre voci e come una paladina “conduce” gli ensemble.
Bellini ha modo così di cimentarsi su brani e numeri musicali molto vari e approfondisce i caratteri dei 4 protagonisti che risultano abbastanza sfaccettati: i rimorsi di Agnese, la confessione e la ritrattazione di Orombello, Filippo e le sue esitazioni nella seconda aria, la regalità di Beatrice che non viene mai scalfita per tutta l’opera.


Filippo Maria Visconti è il magnetico Mattia Olivieri, brillante baritono di Sassuolo, che con la sua bravura ha già conquistato i teatri lirici del mondo. Giovane, spigliato, dalla vocalità debordante disegna un duca di Milano perfido e cattivo pronto a portare a termine il proprio disegno criminale con pochi scrupoli. In scena ci appare con una folta capigliatura fulva mentre il canto si avvale di una voce bronzea e morbida al tempo stesso capace di sottolineare con varie nuances le lunghe frasi belliniane. La prima aria si avvale di una cabaletta lenta “Come t’adoro e quanto” che Olivieri varia nella ripresa con variazioni in acuto. Impressionante come il baritono intoni la frase “Odio e livore” o nel secondo atto “Tresche oscene”. L’aria del secondo atto con la presenza del coro completa la figura del duca a cui il baritono presta la sua nobile voce.  
Beatrice di Tenda è la star Angela Meade già protagonista in Norma, Il Pirata, Anna Bolena, Lucrezia Borgia, Parisina, Devereux, Vespri, Ermione, Guillaume Tell: sotto la bacchetta di Sir Mark Elder ha registrato i primi 2 atti de Le duc d’Albe per Opera Rara. Oggi, nell’impersonare Beatrice, sfoggia una linea vocale potente e turgida, dai contorni precisi e netti senza alcuna sbavatura. Dal cesello della prima aria con la frase più volte ricamata “e potei soggettarvi a un tal Signor” alla filigrana di “smania di gelosia” nel duetto con Filippo. E’ lei a dare il via al grande concertato del finale I con le parole “Deh se m’amasti un giorno” con una frase marmorea: spiace che il trampolino musicale offerto da “Né fra voi, fra voi si trova chi si levi in mia difesa? Uom non avvi che si mova a favor di donna offesa?” non venga ripetuto una seconda volta come prescritto dalla partitura: è un luogo dove il soprano può dare prova della sua abilità e capacità di variare. E’ stato un taglio di 50 secondi che ha rovinato l’architettura musicale belliniana della stretta del finale I. Angela Meade è nobile nel quintetto “Tu morrai, con me morrai” di fronte ad uno sconvolto Orombello. “Ite entrambi, e poi che il vero il rimorso non vi detta” conclude il quintetto sempre con un breve taglio musicale (peccato!). “Ah se un’urna è me concessa” è tra le creazioni più nobili del catanese e realizzata benissimo dal soprano statunitense. Scelta da Chopin per il proprio funerale. La cabaletta dal ritmo incalzante “Ah la morte a cui m’appresso” conclude degnamente l’opera con una perfetta coloratura e linea vocale smaltata.


 
Agnese del Maino è Carmela Remigio, della quale ci siamo a lungo pronunciati nella recente Bolena a Piacenza che la vedeva assoluta protagonista. Qui il ruolo è più piccolo e svolge bene la romanza dietro le scene nell’introduzione. Dobbiamo segnalare due défaillance nel duetto col tenore che la portano ad entrare fuori tempo. Molto drammatiche le frasi nel secondo atto quando vorrebbe fare ammenda con Beatrice ma ormai troppo tardi: il timbro è più scuro rispetto la Meade e la Remigio conclude la sua parte con una idilliaco terzettino Beatrice, Agnese, Orombello (una suggestione colta nel IV atto de Il Trovatore).
Orombello è il valido Francesco Demuro che abbiamo apprezzato nel duetto con Agnese nel primo atto: spiace però che per 2 o 3 volte il tenore inserisca i suoi acuti alla conclusione dei brani e degli ensemble. Sono note proprio fuori luogo sapendo quanto Bellini avesse ridimensionato il ruolo tenorile per quest’opera.


Il coro ha molta parte in quest’opera sia la falange femminile che quella maschile. “Arte egual si ponga in opra; nulla sfugga agli occhi nostri” coro maschile del I atto ricorda molto “Scorrendo uniti remota via, brev’ora dopo caduto il dì” coro del II atto del Rigoletto. Gli interventi del coro del Carlo Felice denotano grande studio della parte. La direzione di Riccardo Minasi stacca dei tempi molto incalzanti agevolato anche dalla partitura moderna di Bellini che cerca il più possibile di connettere le sezioni musicali di ogni numero. Bellini usa la tecnica rossiniana del crescendo con notevole disinvoltura riuscendo a connettere col crescendo più sezioni di ogni singolo brano. L’orchestra del Carlo Felice dopo la prova vinta dell’Idomeneo riesce anche questa sera a stupire per precisione e brillantezza generale.


La regia di Italo Nunziata propone un unico scenario con l’aggiunta di fotografie dell’artista finlandese Ola Kolehmainen. A livello registico non succede molto nelle tre ore di spettacolo ma sono da apprezzare i movimenti del numeroso coro e i costumi non del ‘400 ma di fine ‘800.
Siamo usciti da teatro molto soddisfatti per una esecuzione di livello come ormai ci ha abituati il Carlo Felice.

Fabio Tranchida

Foto Marcello Orselli