Modena, Teatro Comunale: “Salome”

Modena, Teatro Comunale, Stagione Lirica 2011/2012
“SALOME”
Opera in un atto su libretto di Hedwig Lachmann da Oscar Wilde
Musica di Richard Strauss
Herodes SCOTT MACALLISTER
Herodias ANNA MARIA CHIURI
Salome CRISTINA BAGGIO
Jochanaan SAMUEL YOUN
Narraboth HARRIE VAN DER PLAS
Paggio JELENA BODRAZIC
Ebrei MICHAEL SCOTT, ROUWEN HUTHER, ULFRIED HASELSTEINER, GIORGIO MISSERI, PATRICK SIMPER
Nazareni KRISTOF KLOREK, RICCARDO BOTTA
Soldati ROMAN IALCIC, JAKOB CHRISTIAN ZETHNER
Uomo della Cappadocia VITO MARIA BRUNETTI
Schiavo MARTINA BORTOLOTTI
Orchestra Haydn di Bolzano e Trento
Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna
Compagnia di danza WhyCompany
Direttore Niksa Bareza
Regia Manfred Schweigkofler
Scene Walter Schütze
Costumi Kathrin Dorigo
Luci Claudio Schmid
Nuovo allestimento
Produzione Fondazione Teatro Comunale e Auditorium – Bolzano
in coproduzione con Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Teatro Comunale di Modena
in collaborazione con Fondazione Orchestra Haydn, Fondazione Arturo Toscanini
Modena, 11 febbraio 2012
Salome di Richard Strauss gode di uno statuto veramente invidiabile tra le opere del Novecento. Basato su una traduzione tedesca di una pièce teatrale in francese di Oscar Wilde, censurata sulle scene di molti paesi ma molto diffusa come libro, questo atto unico fu rappresentato per la prima volta a Dresda nel 1905 e fu subito un succés de scandale internazionale che guadagnò al compositore un mare di critiche e un oceano di soldi. Più di cento anni dopo il successo continua, e continua lo scandalo. Dopo tutto, in quale altra opera d’arte il pubblico può essere titillato e turbato da: due rapporti incestuosi, la glorificazione del corpo di una adolescente, la glorificazione del corpo di un uomo (anoressico e, incidentalmente, santo), un suicidio, uno striptease, una decapitazione, atti di necrofilia accompagnati da dichiarazioni di vero amore e infine un brutale omicidio, raccontati con una poesia sublime? Né cessa di stupire la musica di Richard Strauss. Anche dopo un secolo che ci ha fatto conoscere i colori più inconsueti dei più svariati strumenti etnici o della musica elettronica, il solo di controfagotto alla fine della terza scena (dopo che il Battista ha maledetto Salomè ed è ritornato nella prigione della cisterna) o i Si bemolle acutissimi dei contrabbassi che rappresentano i sussulti del cuore di Salomè mentre attende che il boia disceso nella cisterna compia la sua opera – per non citare che due delle centinaia di invenzioni timbriche che costellano questa geniale partitura – riescono a farci venire la pelle d’oca. A ciò si aggiunga la durata idealmente breve (1 e 40 minuti senza intervallo) e si capirà come mai Salome è ancora l’opera non-pucciniana del Novecento più rappresentata nel mondo.
Eppure non si tratta di una pièce priva di problemi. Anche dando per scontata la tolleranza del pubblico per la scabrosità del soggetto e per il carattere spesso arditamente dissonante della musica, la partitura richiede più o meno 102 professori d’orchestra (che le buche di molti dei nostri teatri non riescono nemmeno ad alloggiare!). E soprattutto è pressocché impossibile trovare un baritono che riesca ad avere l’emaciata bellezza e la potenza vocale richiesta dal ruolo di Giovanni Battista e, ancora di più, un soprano che riesca a impersonare una Salomè adolescente che danza per il patrigno e che allo stesso tempo riesca a farsi sentire sopra un’orchestrazione così corposa, su una tessitura generalmente acuta e sostenuta che occasionalmente scende fino a note decisamente contraltili. A volte viene da pensare che per rendere giustizia a questa partitura bisognerebbe fondere due o tre cantanti, come fecero con Derek Lee-Ragin e Ewa Mallas-Godlewska per la colonna sonora del film Farinelli.
Lo spettacolo visto al Comunale di Modena  è una produzione del Teatro Comunale di Bolzano, in coproduzione con Piacenza e Modena.
Come l’Elektra dell’anno scorso la regia era affidata al direttore del teatro di Bolzano, Manfred Schweigkofler, e l’orchestra era posizionata non nella buca ma sul fondo del palco, dietro un tulle trasparente. Questa situazione, acusticamente favorevole ai cantanti, avrebbe potuto essere utilizzata in maniera creativa. Invece, davanti all’orchestra, come a nasconderla, era posizionato un ingombrante deposito di elementi scenografici, opera di Walter Schütze, che non esitiamo a definire orribili e imperdonabili, ispirati forse (chissà perché) dai film di fantascienza di serie C degli anni ’70, e per di più assolutamente inutili: alcune formazioni rocciose argentate, molti specchi, una sorta di luna-ragnatela, neon vari sul pavimento, una scala a chiocciola su cui ogni tanto qualche personaggio sale tanto per fare qualcosa e persino una fontanella (funzionante e sommessamente scrosciante dall’inizio alla fine) rubata forse ad un ristorante cinese. Interessante la posizione della cisterna-prigione sotterranea, ricavata nella (vuota) buca d’orchestra, che però non ha sollecitato idee interessanti al regista, che, a dire il vero, se è riuscito a combinare qualcosa di meglio rispetto alla noiosissima Elektra (testo peraltro molto più difficile), di idee ne ha avute ben poche.
Nelle interviste e nel programma di sala, Schweigkofler ci ha tenuto a ripetere le stesse cose dette da Sgarbi l’anno scorso per il suo allestimento di Bari, cioè che Salome è molto attuale perché Erode fa i bunga bunga con le minorenni come Berlusconi… È incredibile come tanti “registi” d’opera, in mancanza di altre idee, siano convinti che il loro ruolo stia appunto nel trovare queste banali analogie. È il meschinamente grottesco Berlusconi del Tg4 a scimmiottare il gloriosamente grottesco Erode di Wilde. L’Erode di Wilde non ha nessun bisogno di scimmiottare Berlusconi. Ma per fortuna questa idea programmatica non è stata messa poi in pratica in questa messinscena decisamente tiepida e sciapa, in cui alla fine Salomè non viene soffocata dagli scudi dei soldati, ma se ne scende da sola nella cisterna sotterranea (forse perché, dopo avere giocato tanto a lungo con la testa mozza, sente finalmente la mancanza dei restanti organi del profeta). È un vero peccato perché il violento ed inatteso finale pensato da Wilde, potente rappresentazione della sopraffazione maschile sulla donna-mantide che decapita gli uomini, sarebbe proprio un gran finale ed è anche una delle pochissime didascalie precise del testo, che per il resto lascia registi e lettori molto liberi nella loro immaginazione.
L’altra didascalia sarebbe quella che prescrive la famosa “Danza dei sette veli”. Né Wilde né Strauss specificano se Salome debba spogliarsi nuda (ma sappiamo dalle testimonianze che lo avrebbero di gran lunga preferito), ma è chiaro anche dalla musica che ci dovrebbe essere un progressivo disvelamento (bella metafora dell’arte, peraltro), che ecciti sempre di più la fantasia del patrigno. In questo allestimento non c’è stato nulla di tutto ciò. Qui Salome si esibisce in una serie di ripetitivi movimenti volgari (inutilmente contrappuntati da altri movimenti di alcune ballerine) ma alla fine rimane perfettamente vestita, anche se la giovane Cristina Baggio potrebbe ben permettersi di mostrarsi senza veli, molto più di tante signore in età che lo hanno fatto veramente, al contrario del Giovanni Battista di Samuel Youn, che ci auguriamo di non dover più rivedere a torso nudo. E dire che il programma di sala stesso riportava questa famosa dichiarazione di Richard Strauss: “I salti esibiti da star del varietà che indulgono in moti serpentini e dondolano per aria la testa di Jochanaan superano ogni limite di decenza e di buon gusto. Chiunque sia stato in Oriente e abbia osservato il decoro con cui là si comportano le donne comprenderà che Salome, vergine casta e principessa orientale, deve muoversi con il più semplice e contenuto dei gesti, se non si vuole che la sua sconfitta susciti soltanto orrore e disgusto, anziché pietà”. Effigiare i caricaturali ebrei del testo di Wilde (impegnati in dotte e accese controversie circa la natura del Messia, di Elia e dei modi e tempi della manifestazioni divine in generale) come ebrei ortodossi di oggi è una scelta vagamente antisemita. Non c’è dubbio che la discussione accesa faccia parte della cultura ebraica tanto oggi quanto duemila anni fa, ma il dramma originariamente dovrebbe svolgersi in una Palestina occupata dai romani, in cui gli ebrei sono ovviamente la maggioranza – che include Erode e la sua famiglia – e non una minoranza come suggerito da una messinscena come questa in costumi occidentali moderni.
Cristina Baggio, debuttante nel ruolo di Salome, era molto lontana dall’essere casta, semplice o contenuta, ma, al contrario, ha dedicato tutta sé stessa per dare vita ad una creatura ctonia, isterica, a volte sarcastica e in ogni caso molto fisica e animalesca. Pur non condividendo in toto questa chiave di lettura ormai tradizionale di una donna calda e scomposta e preferendo quella straussiana di una fanciulla algida e composta, non si può negare che questo giovane soprano drammatico dalla grande musicalità, già allieva di Raina Kabaivanska proprio all’Istituto “Vecchi-Tonelli” di Modena, ha saputo tirare fuori un carisma trascinante, riuscendo al contempo a risolvere le innumerevoli difficoltà vocali del ruolo (liquide voci di testa, terrificanti discese negli abissi) in maniera assolutamente convincente.
Di gran pregio anche i due “veterani” del cast, provenienti dal succitato spettacolo di Bari: lo Jochanaan del baritono coreano Samuel Youn, con il corpo di un impiegato statale ma con la voce tonante e sicura di un vero profeta, e il tenore americano Scott MacAllister, assolutamente ideale, nel fisico e nella voce, per impersonare i fremiti di paura e di sensualità di Herodes, che in fondo è il personaggio (relativamente) più umano di questo dramma disumano. Con qualche forzatura nel registro di petto, la versatile Anna Maria Chiuri è stata un’efficace Herodias. Sotto la guida sicura dell’ungherese Niksa Bareza, l’Orchestra Haydn di Bolzano e di Trento, arricchita per l’occasione dall’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna, pur con qualche sbavatura (nella sensibile sezione ottoni, ad esempio), ha dato buona prova di sé. Nonostante l’imbarazzante bruttezza della scenografia e la povertà della regia, la poesia di Wilde e le meraviglie musicali di Strauss hanno saputo raggiungere i nervi e il cuore del pubblico, che ha tributato allo spettacolo lunghi applausi. P.V.Montanari –  Foto Rolando Paolo Guerzoni – Teatro Comunale di Modena