“L’heure espagnole” e “L’Enfant et les Sortilèges” al Teatro Massimo di Palermo

Palermo, Teatro Massimo, stagione lirica 2012
“L’HEURE ESPAGNOLE”
Comédie musicale in un atto
Libretto di Franc-Nohain (Maurice Étienne Legrand)
Musica di Maurice Ravel
Concepcion MARINA COMPARATO
Gonzalve FILIPPO ADAMI
Torquemada ALDO ORSOLINI
Ramiro ALESSANDRO LUONGO
Don Inigo ANDREA CONCETTI
L’ENFANT ET LES SORTILÈGES
Fantaisie lyrique in due parti
Libretto di Colette (Sidonie-Gabrielle Colette)
Musica di Maurice Ravel
L’Enfant MARINA COMPARATO
Maman / La Tasse chinoise / La Libellule SONIA PRINA
La Bergère / La Chatte / L’Ecureuil / Un Pâtre CRISTINA MELIS
Le Feu / La Princesse / Le Rossignol MARIA GRAZIA SCHIAVO
La Chauve-Souris / La Chouette / Une Pastourelle MARIA CHIARA PAVONE
Le Fauteuil / Un Arbre ANDREA CONCETTI
L’Horloge Comtoise / Le Chat ALESSANDRO LUONGO
La Théière (Wedgwood noir) / Le Petit Vieillard / La Rainette FILIPPO ADAMI
Orchestra, Coro, Corpo di ballo e Coro di voci bianche del Teatro Massimo
Direttore Yves Abel
Maestro del Coro Andrea Faidutti
Maestro del Coro di voci bianche Salvatore Punturo
Con la partecipazione degli atleti della Polisportiva “Diavoli Rossi” di Marsala (Antonino Parisi, Leo Titone, Giuseppe Sardo) allenati da Antonino Colicchia
Regia e coreografia Luciano Cannito
Scene e costumi Altan
Luci Vinicio Cheli
Collaboratore alle scene Pietro Perotti
Collaboratrice ai costumi Elena Cicorella
Assistente alla regia e coreografia Luigi Neri
Nuovo allestimento
Palermo, 18 ottobre 2012
Meccanismi magici, orologi a pendolo, creature fatate hanno popolato giovedì sera il palcoscenico del Teatro Massimo, in occasione del nuovo allestimento delle due opere in un atto unico di Maurice Ravel, L’heure espagnole e L’Enfant et les Sortilèges. Un dittico operistico di raro ascolto e di ancor più rara ricercatezza musicale, quest’ultima risolta da uno specialista del settore, il direttore Yves Abel, che speriamo venga ospitato sempre più spesso dal teatro palermitano. Concertatore attento e sensibilissimo, il francese ha tirato fuori le qualità timbriche della partitura, arricchendole di smagliante verve nella prima opera, di freschezza incantata nella seconda. Il tutto condito con le colorate scene e i brillanti costumi creati da quella fucina immaginifica che è la mente di Altan, noto al grande pubblico per la sua maestria di vignettista e di ideatore di celebri personaggi (su tutti la Pimpa), alla sua prima esperienza nel teatro d’opera. Una sfida accettata con titubanze, ma portata a termine con coerenza e con grande voglia di mettersi in gioco. E pienamente vinta, non soltanto nel mondo fantastico del méchant enfant alle prese con oggetti e animali parlanti, ma anche in quello ironico e smaliziato di Concepcion, moglie dell’orologiaio Torquemada, che una volta alla settimana si concede la sua ora di libertà con l’amante spagnolo Gonzalve (con tutta la catena di imprevisti che ne seguirà).
Una piacevole sorpresa la regia di Luciano Cannito, sviluppata in chiave essenzialmente corporea, ma non per questo meno distante dallo spirito delle due opere. Al contrario, il suo contributo ha rivelato una lettura attenta e partecipe di Ravel, al di là di insidiose forzature che avrebbero potuto soffocare la musica o la concezione drammaturgica. Seguendo invece un unico filo conduttore – conforme all’atmosfera musicale e alle invenzioni scenografiche – il regista ha dato vita ad uno spettacolo basato sulla contaminazione dei generi, con la speranza di “raccontare al meglio, attraverso anche il movimento, la vena giocosa e magica dei due capolavori di Ravel senza cercare separazioni o linguaggi diversi”. Ciò ovviamente non ha impedito di conferire al singolo lavoro un’impronta particolare, che nel caso de L’heure espagnole oscillava fra ironia e ossessione, e che invece ne L’Enfant et les Sortilèges si è sviluppata tra sogno e magia. Mondi diversi ma affini, popolato di luci il primo, accarezzato da ombre il secondo. Effetti accortamente ricreati da Vinicio Cheli che hanno costituito un elemento fondamentale dell’allestimento: “alla base […] c’è l’intervento della luce, perché la luce sulla carta e sul bidimensionale non c’è, invece in teatro sì e ha una potenza straordinaria; io penso e creo un materiale che poi sul palco può essere esaltato e sottolineato dalla luce fino a trasformarlo” (Altan).
“Rendere i cantanti estremamente partecipi ai movimenti scenici”: questo l’obiettivo di Cannito, pressoché raggiunto in entrambe le opere e specialmente nella prima. Nella bottega di Torquemada, sulla parte sinistra, si intreccia il carillon danzante dei protagonisti, fra pendole smaltate, orologi penzolanti e Maja vestida (ma, ovviamente, anche desnuda) appesa al contrario. Il meccanismo di danza si ripercuote nella “realtà” della finzione scenica. Più che nel Torquemada di Aldo Orsolini – sicuro nella voce e nell’approccio interpretativo – l’effetto vorticoso si è apprezzato nell’interazione fra i tre pretendenti. Alessandro Luongo (Ramiro), pur non essendo dotato di volume imponente, si è distinto per fraseggio corposo e ricco di sfumature. Il Don Inigo di Andrea Concetti (basso) ha evidenziato una spigliata caratterizzazione, a tratti allusiva al barone Ochs del Rosenkavalier, anche per i ritmi di valzer che Ravel gli assegna. Di plastica versatilità, il tenore Filippo Adami (Gonzalve) è riuscito a riscattare qualche lieve imperfezione nell’emissione con un’interpretazione di alto livello, coinvolgente e spiritosa. Al centro del terzetto, il mezzosoprano Marina Comparato, dal timbro vario e frizzante, ha convinto per presenza scenica e scioltezza nei gesti, oltre che per l’energica vocalità. Nell’arioso “Oh! La pitoyable aventure” ha manifestato un temperamento appassionato, disturbato soltanto dagli ammiccamenti da ballerina di flamenco di cui avremmo fatto volentieri a meno. Come recita un’improbabile canzone siciliana, “Solo per te carrìo bombole”: di fatti, fra lo svenevole Gonzalve e l’attempato Inigo, Concepcion sceglierà l’aitante Ramiro, l’unico in grado di dimostrare un interessamento reale e non egoistico – per quanto concreto – nell’accondiscendere alle sue continue richieste di spostamenti di orologi.
Dopo l’epilogo rivolto al pubblico, su un frenetico ritmo di habanera (unico momento di reale unione fra le voci) il contrasto con l’inizio de L’Enfant et les Sortilèges è quanto mai palpabile. Un incanto bloccato nel tempo che la Comparato ha reso con attenzione ancor maggiore, regalandoci un fanciullo spaurito e delicato, poco mèchant e molto sage et doux, appollaiato su un’enorme sedia e con in mano una gigantesca penna, secondo quello che prescrive il libretto. Tutt’intorno oggetti e scene sembravano già antropomorfizzati, anticipando i sortilegi che di lì a poco sarebbero avvenuti. Oltre alla Comparato sono ricomparsi i precedenti interpreti, pronti a confermare la buona impressione della prima opera, affiancandosi agli altri protagonisti di questo sogno in musica. Dopo l’enfant la prima a comparire, sotto forma di ombra, è la madre, interpretata dal contralto Sonia Prina, che in questo e negli altri due ruoli (la tazza cinese e la libellula) ripropone un timbro scuro e ricco di sensualità, forse più adatto ad altro repertorio, ma ben amalgamato con il resto della compagnia. Il mezzosoprano Cristina Melis si è cimentato in un delizioso duetto miagolante nel ruolo della gatta, offrendoci pure uno scoiattolo pieno di sensibilità musicale. Di elegante presenza la pastorella di Maria Chiara Pavone, che alla linea algida della figura contrapponeva un canto doloroso, evidente anche nell’interpretazione del pipistrello.
Questo trittico di donne incorniciava gli interventi degli uomini – Luongo, Concetti, Adami – fra cui segnaliamo la spiritosa raganella di Adami e soprattutto il vero incubo di ogni bambino, le Petit Vieillard che rappresentava l’odiosa matematica (sempre affidato a Filippo Adami). Quest’ultimo era affiancato dal Coro di voci bianche del Teatro Massimo, che si riconferma ancora una volta come uno degli elementi di eccellenza del nostro teatro, sia per la preparazione musicale che per la spigliatezza scenica. Buoni anche il Coro del Massimo e il Corpo di ballo impegnato in ironiche coreografie sottolineate dai vivaci costumi di Altan. Incantevole Maria Grazia Schiavo nel triplice ruolo del Fuoco, della Principessa e dell’Usignolo, le cui doti si sono espresse in ardui passaggi e salti improvvisi, interpolati da acuti nitidissimi e sostenuti da un’orchestrazione cangiante e raffinata. Pubblico freddo e di malumore che non ha tributato allo spettacolo il successo e il calore che sicuramente meritava. Foto Franco Lannino ©  Studio Camera