Trieste, Teatro Verdi:”The Rape of Lucretia”

Trieste, Teatro Verdi, Stagione Lirica 2012/2013
“THE RAPE OF LUCRETIA”
Opera in due atti su libretto di Ronald Duncan, da Le viol de Lucrèce di André Obey, da Tito Livio e da Shakespeare.
Musica di Benjamin Britten
Coro Maschile ALEXANDER KRONER
Coro Femminile  KATARZYNA MEDLARSKA
Collatinus  MARIJO KRNIĆ
Lucretia SARA GALLI
Tarquinius CARLO AGOSTINI
Junius GIANPIERO RUGGERI
Bianca DIJANA HILJE
Mimi danzatori JERKO CVITANIĆ, LUKA KIVELA, GIANLUCA DE POL, TONI DOROTIĆ, LUKA CRNOŠIJA, VIKTOR JAKOVČEVIĆ
Orchestra e Coro della Fondazione Teatro Lirico “Giuseppe Verdi” di Trieste
Direttore Ryuichiro Sonoda
Maestro del Coro Paolo Vero
Regia, scene e video Nenad Glavan
Costumi Teresa Acone
Coreografia Almira Osmanović
Coproduzione tra Hrvatsko Narodno Kazalište di Spalato, Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste, Fundación Cultural Artemus di Madrid
Trieste, 28 marzo 2013
Nell’anno del super bicentenario in cui, più o meno equamente, Verdi e Wagner si dividono l’interesse degli studiosi e le attenzioni del pubblico nei teatri di tradizione di tutto il mondo, una nota di merito va alla dirigenza del Teatro Verdi di Trieste che ha trovato lo spazio, nella programmazione della stagione lirica in corso, per ricordare anche un grande del Novecento come Benjamin Britten, del quale quest’anno ricorre il centenario dalla nascita. L’opera prescelta è stata “The rape of Lucretia”, composta dal compositore inglese nel 1946 per la riapertura post-bellica del teatro di Glyndebourne, ovvero un titolo di rara esecuzione e di sicuro una novità assoluta per il teatro triestino. Musicalmente immaginata per un cast piccolo ma vario, senza coro e con un’orchestra di soli tredici strumenti – quintetto d’archi, quintetto di fiati, arpa, percussioni e pianoforte – l’opera è strutturata in un prologo, due atti e un epilogo scritti da Ronald Duncan e tratti dal dramma “Le viol de Lucrèce” di André Obey, da Tito Livio e da Shakespeare. La vicenda si svolge intorno al 500 a.C. in una Roma governata da Tarquinio il Superbo, al centro di guerre e congiure, e narra dello stupro della virtuosa Lucrezia ad opera del rude etrusco Tarquinio a seguito di una scommessa tra commilitoni e che si conclude col suicidio della patrizia romana, incapace di sopportare una simile vergogna nonostante il conforto e il sostegno amoroso del marito Collatino. Ma il suo sacrificio non sarà inutile poiché spronerà il popolo alla ribellione per cacciare l’usurpatore e liberare Roma dalla tirannia. Un evento irreversibile ma, allo stesso tempo, funzionale al sentire dell’autore, in quanto occasione per una meditazione religiosa che appare consolatoria nell’economia specifica della trama ma, ancor di più, nella visione cristiana del mondo. Infatti nell’epilogo il “coro femminile”, con il proprio canto, si strugge sull’immoralità di questa storia mentre il “coro maschile” replica che “anche il dolore ha un senso e tutti i peccati dell’uomo sono riscattati dalle sofferenze di Cristo sulla croce”. Una visione salvifica che assorbe tutto il dolore che impregna ogni nota della partitura, in cui c’è il lamento dell’Europa devastata dalla guerra, delle vittime dei genocidi di ieri e di oggi ma anche il grido di tutti gli oppressi e i vinti della storia.
L’allestimento visto al Verdi si deve alla coproduzione tra “Hrvatsko Narodno Kazaliste” di Spalato, Fondazione “Teatro Lirico G. Verdi” di Trieste e “Fundacion Cultural Artemus” di Madrid per la regia, scene e video di Nenad Glavan, costumi di Teresa Acone e coreografia di Almira Osmanovic.
Un moderno anfiteatro semovente al centro del palcoscenico, benché non originale, si rivela comunque funzionale ad accogliere l’intera vicenda e le proiezioni video sullo sfondo ne amplificano, stigmatizzandoli, i momenti cruciali della storia. Peccato solo per quello che vorrebbe suggerire la solitaria cavalcata notturna del principe Tarquinio per andare a Roma a sedurre Lucrezia ma che, di fatto, si traduce nel galoppo di un cavallo bianco sulla spiaggia in perfetto stile “Pino silvestre Vidal”. Azzeccati i cromatismi di luce che incorniciavano la scena e adeguata la sobrietà minimal dei costumi Anni Quaranta indossati dai protagonisti. Nella parte di Lucrezia, scritta per contralto, il mezzosoprano Sara Galli più che per doti canore si è fatta apprezzare l’avvenenza e la disinvolta fisicità con cui affronta le sollecitazioni ginniche nella scena dello stupro così come il baritono Carlo Agostini, voce ingolata e timbro sfocato, non sfigurava scenicamente nei panni rozzi del principe Tarquinio. Sufficiente l’apporto vocale degli altri ruoli:Marjio Krnić(Collatino), Giampiero Ruggeri (Giunio), Dijana Hiljc (Bianca) , Nuria Garcia Arres (Lucia),- , Alexander Kroner – coro maschile – con menzione particolare alla limpida vocalità del soprano Katarzyna Medlarska (Coro femminile)”. Equilibrata, seppur senza particolare coinvolgimento, la direzione di Ryuichiro Sonoda che, in alcuni momenti corali, ha voluto anche l’apporto suppletivo di un manipolo di coristi, preparato con la consueta precisione da Paolo Vero. Pubblico non folto ma partecipe e disponibile a premiare lo spettacolo con applausi più che cordali.