Reggio Emilia, Teatro Valli: “The Rape of Lucretia”

Reggio Emilia, Teatro Valli, Stagione Lirica 2012/2013
“THE RAPE OF LUCRETIA”
Opera in due atti su libretto di Ronald Duncan, dal dramma Le Viol de Lucrèce di André Obey, da Tito Livio e da Shakespeare
Musica di Benjamin Britten
Lucretia KIRSTIN CHAVEZ
Male Chorus GORDON GIETZ
Female Chorus SUSANNAH GLANVILLE
Collatinus JOSHUA BLOOM
Tarquinius JACQUES IMBRAILO
Junius PHILIP SMITH
Bianca GABRIELLA SBORGI
Lucia LAURA CATRANI
Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Jonathan Webb
Regia Daniele Abbado
Scene, costumi e luci Gianni Carluccio
Video Luca Scarzella
Allestimento de I Teatri di Reggio Emilia
Coproduzione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, I Teatri di Reggio Emilia, Teatro Alighieri di Ravenna
Reggio Emilia, 5 aprile 2013
Era quasi scontato ipotizzare a Reggio Emilia un omaggio a Benjamin Britten per 2013: ovviamente in ragione dell’anniversario dei cent’anni dalla nascita del compositore ma soprattutto perché, sotto la direzione artistica di Daniele Abbado, Britten è stato negli anni 2000 un autore celebratissimo al Teatro Valli. Solo per limitarci agli ultimi anni nel teatro emiliano sono stati rappresentati The Rape of Lucretia (2004), Peter Grimes (2005) e A Midsummer Night’s Dream (2010). La scelta per onorare il “secolo di Britten” è caduta sulla ripresa del Rape per la regia di Daniele Abbado; regia che, fra tutte quelle che abbiamo visto in questi anni a cura del regista milanese, ci è sembrata fra le più riuscite.
Da subito vengono distinti i due piani su cui si svolgerà l’azione. Il Coro maschile e il Coro femminile agiscono per la maggior parte del tempo su un praticabile sopraelevato da cui talvolta scendono mediante piccole scale per interagire con i restanti personaggi, i “personaggi umani”, quelli che prendono parte alla vicenda di Lucretia. Altro punto focale della regia sono le – abusatissime – videoproiezioni, qui curate da Luca Scarzella: già dall’atto primo immagini di libri (quelli da cui secondo il libretto dovrebbero leggere i due Cori alla prima scena) vengono proiettate su un grande velario alternandosi ad altre che fanno riferimento a raffigurazioni di arte etrusca come, ad esempio, l’Apollo di Veio. Anche la scena della stupro vero e proprio viene risolta in questo modo, con proiezioni che rimandano alla più grande tragedia del secolo scorso: l’Olocausto. L’opera viene così ricondotta all’occasione per cui fu rappresenta a Glyndebourne nel 1946 all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, esaltando la violenza come colpa universale e atemporale. Nulla di nuovo quindi.
I punti di forza della messa in scena stanno altrove, soprattutto quando le proiezioni non hanno una funzione narrativa o didascalica. L’apertura del secondo atto, quello che introduce alla casa di Lucretia, è molto suggestivo: sull’accompagnamento dell’arpa, tutta la scena è incentrata sull’immagine del “filo”, a sottolineare la dimensione domestica del quadro. Immagini di fili compaiono sul grande velario così come Bianca, la nutrice, e Lucia, l’ancella, tendono lunghi fili da un capo all’altro della scena. Molto ben costruita anche la rappresentazione della tenda dei generali all’atto primo che vengono individuati uno per volta mediante rapidi fasci di luce. Convincente la scena del suicidio di Lucretia che si stringe ad una fune calata dall’alto, quasi a morire stretta in una morsa. Le scene, costumi e luci sono di Gianni Carluccio. Alla scena abbiamo già accennato: praticamente vuota e distinta in due piani. Il disegno luci è ben realizzato: il piano “umano” è connotato da colori terrigni e caldi mentre quello dei due Cori da quelli del blu. I costumi sono giocati sulle stesse tonalità delle luci, in una foggia che rimanda ad una vaga romanità per i protagonisti mentre i Cori indossano soprabiti blu elettrico e vistose parrucche bianche.
Il cast vocale è dominato dal Tarquinius di Jacques Imbrailo, vero specialista nei ruoli britteniani. Voce non grande ma ben emessa, presenza e capacità attoriale contribuiscono ad una buona rappresentazione del violento principe senza mai soccombere alle esigenze espressive. La Lucretia di Kirstin Chavez è vocalmente molto disordinata: si arrabatta durante il primo atto cantando di petto mentre nel secondo la voce si fa meno sonora, più tesa e stridula in acuto. In scena è credibile e la figura giunonica ne esalta la presenza. Gordon Gietz pena non poco a reggere la scrittura centrale del Coro maschile (particolarmente faticoso l’Interludio al primo atto); stessa considerazione per il Coro femminile di Susannah Glanville la cui voce sembra acquistare un po’ di volume nelle rare incursioni in cui acuto che la parte concede. Di generica correttezza il Collatinus di Joshua Bloom; Gabriella Sborgi conferisce grande umanità alla nutrice Bianca; dimenticabili lo Junius di Philip Smith e la petulante Lucia di Laura Catrani. La conduzione di Jonathan Webb, pur corretta e pulita, manca di teatralità e tensione. Ottima la prova dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino.
Nonostante fosse la ripresa di un allestimento tutto sommato recente e all’adiacente Teatro Ariosto fosse in corso la seconda recita di Giulio Cesare di William Shakespeare, la sala del Teatro Valli era abbastanza piena. Il pubblico ha seguito lo spettacolo con attenzione e ha accolto tutti gli esecutori con calorosi e prolungati applausi. Foto A. Anceschi.