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Questo articolo è stato pubblicato il 12 maggio 2013 alle ore 08:34.

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E due, scrivevamo dopo la fortunata Muta di Portici di Auber, secondo titolo del cartellone, secondo successo in scena un mese fa al Petruzzelli di Bari. E tre, aggiungiamo ora, dopo un Così fan tutte splendido musicalmente (ma con la regia di Davide Livermore un po' da mal di mare), dove di nuovo sono il Coro e soprattutto l'Orchestra a colpire: è ben raro sentire nei nostri teatri una buca al pari di questa, scattante, compatta, virtuosa. Roberto Abbado le imprime una concertazione originale, stilisticamente vicina alle esecuzioni filologiche, ma con l'innesto di una componente affettuosa ed emotivamente sempre viva, che quelle non possiedono. Così anche senza vibrato, il suono vibra internamente. Così gli accenti sono marcati, ma mai freddi, anzi: increspano in continuazione il paesaggio geometrico della scrittura, resa inquieta e volubile. Così il gioco dei tradimenti tra le due coppie sul palcoscenico si riverbera negli accompagnamenti, che non solo dialogano con le voci, ma suggeriscono un mondo arcano parallelo, un castello incantato che ha tutti i segni dell'ultimo Mozart.
Anche qui si aprono le porte ai giovani. Ad esempio, meritevolmente, le prove generali sono riservate alle scuole di Bari, che riempiono ogni posto in sala, trasformata in una platea attenta ed entusiasta, provvista di merende sostanziose per l'intervallo, che non perde una battuta dell'opera. Che, come si sa, è ben lunga, e non facile. Abbado spietato le aggiunge anche l'Aria di Ferrando, del secondo atto, che di solito si taglia. Sbagliando, perché «Ah lo veggio quell'anima bella» è una pagina di sublime costruzione, ben lontana dal mondo barocco, già tutta intrisa di fermenti pre-romantici. Tipicamente mozartiana, parte da uno spunto elementare, semplicissimo, di intimità cameristica, evolve in un crescendo per aumentazione, con aggiunta di ampie parti destinate ai fiati (qui ottimi), per finire in maniera grandiosamente sinfonica. Mai buttare via nulla di Mozart: l'equilibrio ghiacciato del Così fan tutte vuole proprio queste estenuanti prove di affetti, tese all'infinito.
Le sostengono senza nessuna difficoltà, anzi, con vera disinvoltura (raddoppiata, visto che devono anche recitare non poco) i sei cantanti in scena: motore di tutto è il Don Alfonso di Paolo Bordogna, giovane baritono di morbido timbro, suadente sulla parola, fine nei dettagli, spiritoso. Meno comica del solito è invece la Despina di Veronica Cangemi, piuttosto asciutta e sbrigativa, nelle note e negli ammicchi: va bene non esagerare, ma Despina è Despina, figlia della Serva padrona, maliziosa ed esperta. Le due sorelle ferraresi brillano per carattere diverso: Fiordiligi, Anna Kasyan, ha pasta burrosa, e fiati notevoli in Come scoglio; Dorabella, Anna Bonitatibus, sfoggia registro grave di velluto e aristocrazia nel canto, nonostante Mozart e Da Ponte le impongano di essere lei la prima a cedere, perché appunto «troppo larga di coscienza». Questo per la gioia-disperazione dei due fidanzati ufficialetti, il resistente Ferrando di Yije Shi, tenore che se non si chiamasse così si direbbe italiano puro, e l'elegante Mario Cassi, Guglielmo.
Tutti sgambettano, tutti fanno ginnastica, massaggi, saltelli, marcette, tutti ancheggiano nella lettura molto cabaret di Livermore: l'errore è costringere il Così fan tutte sullo spazio unico di una nave da crociera. Dove evidentemente si gioca su esperienze a tema, e questa deve essere la crociera che mette a prova la fedeltà. Ci può stare, ma con Mozart e Da Ponte non serve. È inutile, perché il libretto è tanto perfetto che basta dirlo e fa teatro da solo. Sovrapporgli una struttura così claustrofobica come la plancia di una barca, un po' blocca ogni azione, un po' cancella i luoghi dell'opera (che invece hanno un loro sapore imprescindibile, legato alla musica) e un po' rende tutto meccanico, tipo Lego. Il mare poi, proiettato da inizio a fine, si muove in base a quel che succede: tempesta, calma piatta, maremoto. Bello, ma anche qui troppo. E troppo spiegato. Persino il «Forza Toro», scritto in rosso sul fianco del piroscafo militare enorme. Persino il «Baci da Napoli» che scende come cartolina finale.
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Così fan tutte di Mozart; direttore Roberto Abbado, regia di Davide Livermore; Bari, Teatro Petruzzelli, fino al 14 maggio

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