La traviata della Scala è finita come si poteva pensare o, a essere cattivi, dunque realisti, temere: trionfissimo per la protagonista, Diana Damrau, applausi misti a muggiti per tenore, Piotr Beczala, e direttore, Daniele Gatti, muggiti misti ad applausi per il regista, Dmitri Tcherniakov. Nota speciale di merito per Mara Zampieri, già soprano-kamikaze nelle parti più micidiali del Verdi giovane e adesso riciclatasi nell’incredibile cameo di Annina, la cameriera di Violetta, che per Tcherniakov diventa l’alter ego di lei.

Comunque i fischi erano annunciati e sono puntualmente arrivati, insieme per la verità anche a molti applausi. I soliti noti del loggione hanno avuto almeno la finezza di aspettare la fine per scatenare la strage, quindi l’opera si è svolta tranquillamente. A parte quando ci ha pensato la primadonna a complicarsi la vita, arrivando in ritardo sul palcoscenico nel secondo quadro del secondo atto a causa di una caduta. Quindi all’inizio della festa chez Flora Violetta risultava desaparecida e con lei la prima delle sue tre bellissime frasi («Ah perché qui venni incauta»). In platea non se ne sono accorti. D’altronde era piena dei soliti reperti assiro-milanesi, quindi non fa testo.

Fin qui la cronaca. Però che questa Traviata rischiasse lo si sapeva da settimane. A Milano intorno alla Scala c’è un clima strano, ulteriormente invelenito da un’inedita faida stracittadina fra il teatrone e il Corrierone, che è un po’ come se il paguro litigasse con l’attinia. Sulla regia di Tcherniakov giravano le voci più folli, tipo Violetta che muore sulla lavatrice. Come poi se Tcherniakov sia il primo che passa per la strada cui la Scala decide inspiegabilmente di affidare Traviata, invece di uno dei maggiori registi d’opera del mondo. E soprattutto come se alla Scala non avesse già fatto senza problemi Eugenio Onegin e Il giocatore, ma si sa che nel Tempio puoi fare quello che vuoi nel repertorio che i loggionisti killer non conoscono (quasi tutto) ma se tocchi Verdi muori. Lo stesso Tcherniakov, caso raro di regista geniale ma non fesso, si è ben guardato dall’agire su Traviata ribaltandola come ha fatto nel suo Trovatore di Bruxelles, già criticatissimo e sfottutissimo soprattutto da chi non l’ha visto, nemmeno in streaming.

Questa Traviata non ha in realtà nulla di scandaloso né tantomeno, per restare al cretinese, di provocatorio. Ma doveva essere fischiata e così sia.

Resta il senso di questa Traviata nella storia recente della Scala e dell’opera in Italia. Era l’ultima inuagurazione di Stéphane Lissner ed è chiaro che il sovrintendente ha voluto gettare il cuore oltre l’ostacolo. Nei suoi anni milanesi, Lissner ha commesso certo degli errori, perché così fan tutti, però ha difeso con coerenza e coraggio l’idea che l’opera non debba essere un museo di care vecchie cose, ma un confronto con la contemporaneità. Che non sia una rievocazione del passato, ma una sfida al presente. E che metta in scena sempre e solo noi. Per questo ci sembra così vicino e stranamente commovente questo Alfredo che ha ricevuto il peggiore choc della sua vita, perché la donna che ama lo ha lasciato, e reagisce ripetendo meccanicamente i gesti che faceva quando lei se n’è andata, e mentre il padre ripete le sue stronzate moralistiche continua ad affettare le verdure per prepararle da mangiare. Questo l’hanno capito anche i nani e le ballerine di Sant’Ambroeus (i nani, sospettiamo, un po’ meno), ma la forza della tradizione intesa come conservazione a prescindere è ancora troppo forte. Pazienza. Sbaglierò, sbaglieremo (questa Traviata è piaciuta anche molto a molti), ma ieri sera la Scala è entrata nel XXI secolo. E indietro non si tornerà.

Adesso tocca ad Alexander Pereira. La prossima inaugurazione sarà ancora uno spettacolo griffato Lissner, un Fidelio di Beethoven diretto da Barenboim, regia di Deborah Warner. La prima «prima» davvero di Pereira, il 7 dicembre 2015, pare, un altro Verdi, la Giovanna d’Arco, protagonista la Netrebko, direttore ovviamente il nuovo maestro della maison, Riccardo Chailly. Ma, calmati i clamori, spento l’eco dei muggiti, La Traviata di ieri sera resterà qualcosa di molto importante per l’opera, per la Scala e per Verdi. Dunque per tutti noi.

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