L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Divina umanità, semplice libertà

 di Francesco Bertini

 

La vicenda del divino cantore musicata da Gluck torna sulle scene tristine nella versione originale e in un allestimento chiaro e semplice nel quale spicca, nella recita che abbiamo seguito, la protagonista Rossana Rinaldi.

TRIESTE, 14 marzo 2015 - Qualsiasi teatro interessato ad inscenare Orfeo ed Euridice di Christoph Willibald Gluck si trova a dover affrontare la scelta dell’edizione. Fin dalla prima esecuzione nel 1762, l’azione teatrale ottenne un successo clamoroso mai venuto meno. Gli apprezzamenti che tennero in vita la partitura si sono avvalsi di revisioni e contaminazioni, più o meno lecite, con la conseguente produzione di differenti versioni. Quattro sono quelle fondamentali: la prima, già menzionata, seguita dalla rielaborazione francese approntata dallo stesso compositore, nel 1774, per il pubblico parigino, quindi l’edizione predisposta da Hector Berlioz, nel 1859, per il Théatre Lyrique di Parigi, e infine l’adattamento stampato da Ricordi nel 1889, in occasione della ripresa al Teatro alla Scala di Milano.

Dopo decenni di scarso scrupolo filologico, attualmente hanno preso piede le due versioni curate direttamente dall’autore. Quella francese appare più monumentale e drammatica, in linea con i gusti del pubblico d’oltralpe, mentre l’originale ha la forza primigenia della concezione gluckiana. Il felice connubio instauratosi tra compositore, librettista, coreografo e primo interprete garantì la riuscita e l’importanza dell’opera. Ranieri de’ Calzabigi fece la parte del leone nella progettazione del lavoro, assistendo da vicino il musicista e influenzandolo sullo stile da adottare per dare il massimo valore alla parola. Il letterato ambiva venissero assecondate le sfumature della lingua con l’abolizione di “passaggi, cadenze, ritornelli, e tutto ciò che si è introdotto di gotico, di barbaro, di stravagante nella nostra musica.” Di non minore entità l’apporto di Gasparo Angiolini il quale si era prefissato di infondere alla danza una forza espressiva tale da renderla “parlante”.

Merita la debita considerazione pure il contralto Gaetano Guadagni, Orfeo a Vienna. Il cantante colpì spettatori e critica per il pieno rispetto delle indicazioni di Gluck e per la padronanza scenica della parte. Quest’ultima caratteristica è facilmente spiegabile: nel suo lungo soggiorno inglese, il castrato ebbe la possibilità di confrontarsi con il celebre attore David Garrick, profondo innovatore della recitazione in terra anglosassone.

Il Teatro Verdi di Trieste decide sagacemente di riproporre al proprio pubblico, dopo quattro lustri d’assenza, la prima versione della partitura, amputata di alcuni balli. Inizialmente prospettata come una collaborazione con il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, nell’allestimento ideato da Denis Krief, la produzione è infine affidata al regista Giulio Ciabatti, affiancato da Aurelio Barbato, scene e costumi, e Claudio Schmid, luci. La messinscena, piuttosto scarna, è interamente giocata sul bianco e nero dei colori che vengono resi vividi dall’accorta illuminazione. L’intento del team è di cogliere, con i pochi mezzi a disposizione, le caratteristiche fortemente volute dagli autori: chiarezza e semplicità, senza compromessi con il gusto imperante. Appare evidente, al contempo, l’ampia libertà che Ciabatti lascia agli interpreti istruiti sulla visione d’assieme dell’azione ma impegnati, secondo la propria sensibilità, nella caratterizzazione dei personaggi.

Riesce in quest’intento Rossana Rinaldi, Orfeo. La lunga frequentazione del repertorio ottocentesco non ha tolto duttilità all’artista che affronta con agio la scrittura gluckiana, dimostrando di saper piegare la voce alle esigenze del ruolo e alle indicazioni autoriali. Il timbro brunito e l’innata musicalità danno vita al giusto connubio di austera eroicità classica e dolente umanità, tratti fondamentali per la caratterizzazione del divino cantore.

Discontinue invece le prove di Larissa Alice Wissel, Euridice, e Milica Ilic, Amore. Entrambe giovanissime, hanno dalla loro l’età per poter migliorare fraseggio, emissione ed intonazione.

Filippo Maria Bressan concerta con alcuni limiti tanto nell’agogica, quanto nella dinamica. D’altro canto la prestazione dell’Orchestra del Teatro Lirico di Trieste è alquanto imprecisa e, a causa della rara frequentazione, palesa scarsa aderenza stlistica all’opera settecentesca. Allo stesso modo, il Coro istruito da Paolo Vero è disomogeneo e spesso calante. Il pubblico interrompe raramente lo scorrere dell’azione e, salvo i consensi dopo l’esecuzione di "Che farò senza Euridice!", attende la conclusione dell’opera per far sentire il proprio apprezzamento agli esecutori.


 

 

 
 
 

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