I tormenti di Boris

Londra: Pappano e Jones per Boris Godunov

Recensione
classica
Royal Opera House (ROH) Londra
Modest Musorgskij
14 Marzo 2016
Coprodotto con la Deutsche Oper di Berlino, Boris Godunov di M. P. Musorgskij, debutta alla Royal Opera House di Londra in versione originale (1869). Sette scene, senza i due cori dei monaci nella seconda e diversi altri ariosi, ma includendo il racconto di Pimen dell'assassinio di Dimitry e la scena nella piazza della cattedrale di San Basilio. Alla prima, in un teatro pieno traboccante, partono applausi subito sullo svanire delle ultime note dopo due ore circa di intensa drammaticità senza intervallo. Il direttore, Antonio Pappano, sa bene che il bel canto qui lascia spazio a declamazione e accenti intrinseci della lingua, il russo. Pappano, organizzato nella rete di temi ricorrenti, sofisticato nelle pause dei tutti - quelle in cui hai ancora l'ultima nota che ti riecheggia in mente - delineato nei contorni delle melodie, fortificato dalla turbolenta massa orchestrale della partitura, comanda i volumi magistralmente, elegantemente cura i vari intricati messaggi dei temi, distribuendo gli ariosi dei molteplici personaggi in relazione con le sfumature timbriche dell'orchestra. Il ritmo è sempre incalzante. Con un fermo senso delle finalità armonico-musicali di quest'opera, in cui sembra che alla morte dello zar segua costantemente una dissoluzione tonico-musicale, Pappano diluisce il tutto in un disordine coerente sempre evidenziando l'essenziale. In questo nuovo allestimento di Miriam Buether con la regia di Richard Jones, la vera azione - in particolare l'immaginario assassinio del piccolo futuro zar - avviene non sulla scena, ma su di un balcone sovrastante, più volte e silenziosamente come in una scena cinematografica alla Tarkovsky. Ciò che avviene sulla scena invece è la reazione emotiva e psicologica alle vicende storiche. Per tutta l'opera, Boris prova senso di colpa, frustrazione e rimorso per un assassinio che non è dato sapere se abbia o meno commesso - tra mito e letteratura che costruiscono la storia, storiografia quasi, della Russia 1584. Per Jones, come per Pushkin, la storia si ripete ed ecco che Grigory è visto intenzionato ad uccidere Fyodor, figlio di Boris, mentre cala il sipario sul finale. Unico vero colpo di genio della regia. L'elemento di novità era anche di sicuro rappresentato dalla scenografia. Di sostanza, con un'unica scena a sfondo nero ricoperta in basso rilievo da campane, simbolo politico ed elemento timbrico dell'orchestrazione specialmente nella scena dell'incoronazione. Polizia e monaci attraversano continuamente il palcoscenico, ritratti nello sfondo quando Pimen racconta la cronistoria russa, un'enorme cartina quando il principe Shuisky allerta Boris di un pretendente al confine della Lituania; i due monaci Varlaam e Missail sono l'unico momento spiritoso del dramma. E ancora cinema: i tre incappucciati che tagliano la gola al bambino, sentimenti incessanti tra potere e umiltà spirituale, e ancora e ancora. Il coro, preparato come sempre da Balsadonna, arriva a momenti di grande volume. Luci e costumi sono di Mimi Jordan Sherin e Nicky Gillibrand ricalcando l'atmosfera inquieta delle azioni. La squadra dei cantanti è fortemente bilanciata da voci veterane del teatro e del ruolo come John Tomlison in Varlaam, e giovani interpreti del Jette Parker Young Artist Programme: Vlada Borovsko in Xenia, James Platt in Zaretsky, Kostas Smoriginas e David Butt Philip in rispettivamente Schelkalov e Grigory. Il basso baritono gallese Bryn Terfel, invece, debutta nel ruolo del protagonista. Qualità ne sfoggia questo Boris Godunov, forza e vulnerabilità espressa in un timbro brunito, pastoso, pieno di ombre e malinconie su di un tappeto di echi e campane. John Graham-Hall in Shuisky, molto brillante con spiccati accenti e pause della lingua russa, predice il destino della nazione. Infine, debuttavano in assoluto al teatro di Covent Garden Ain Anger in Pimen e Nicholas Sales nel ruolo del boia, possenti e voluminosi entrambi. Equilibrati con il palcoscenico esaltavano le differenze con il protagonista.

Note: foto C. Ashmore

Interpreti: Boris Godunov Bryn Terfel, Andrey Shchelkalov Kostas Smoriginas, Nikitich Geremy White, Mityukha Adrian Clarke, Principe Vasily Ivanovich Shuisky John Graham-Hall, Pimen Ain Anger, Grigory Otrepiev David Butt Philip, Oste della locanda Rebecca De Pont Davies, Varlaam John Tomlinson, Missail Harry Nicoll, guardia di frontiera James Platt, Xenia Vlada Borovko, nutrice di Xenia Sarah Pring, Fyodor Ben Knight, Boia Nicholas Sales, Yurodivy il matto Andrew Tortise

Regia: Richard Jones

Scene: Miriam Buether

Costumi: Nicky Gillibrand

Orchestra: Royal Opera House

Direttore: Antonio Pappano

Coro: Royal Opera House

Maestro Coro: Renato Balsadonna

Luci: Mimi Jordan Sherin

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Non una sorta di bambino prodigio ma un direttore d’orchestra già maturo, che sa quello che vuole e come ottenerlo

classica

Nuova opera sul dramma dell’emigrazione

classica

Napoli: per il Maggio della Musica