Palermo, Teatro Massimo: “Lucia di Lammermoor”

Palermo, Teatro Massimo, Stagione Lirica 2016   
“LUCIA DI LAMMERMOOR”
Dramma tragico in tre atti. Libretto Salvatore Cammarano da Walter Scott
Musica di  Gaetano Donizetti
Enrico Ashton MARCO CARIA
Miss Lucia ELENA MOSUC
Edgardo di Ravenswood GIORGIO BERRUGI
Raimondo Bidebant LUCA TITTOTO
Alisa PATRIZIA GENTILE
Arturo EMANUELE D’AGUANNO
Normanno FRANCESCO PITTARI
Orchestra, Coro e Corpo di ballo del Teatro Massimo
Direttore Riccardo Frizza 
Maestro del Coro Piero Monti
Glassharmonika Sascha Reckert
Regia Gilbert Deflo
Scene e costumi William Orlandi
Luci Roberto Venturi
Coreografia Giuseppe Bonanno
Palermo, 30 marzo 2016
Un pubblico non molto numeroso, ma prodigo di applausi, ha accolto questa sera il ritorno di Lucia di Lammermoor a Palermo, proposta ancora una volta in quell’allestimento del 2003 che, nato in coproduzione tra il Teatro Massimo di Palermo e il Teatro delle Muse di Ancona, curato dal regista Gilbert Deflo e dallo scenografo e costumista William Orlandi, era stato testualmente ripreso anche nell’ultima messa in scena del 2011. Tinte scure, ambienti spogli e architetture neogotiche tornano dunque a rendere ancor più tetra la tragica vicenda e consentono allo spettatore di concentrarsi sull’aspetto psicologico che sovrasta il dramma. La scelta di ambientare la storia non già nella Scozia del XVII secolo – come vorrebbe il romanzo di Walter Scott, The bride of Lammermoor, da cui Cammarano trasse il libretto – ma nel tempo stesso della sua concezione, l’Ottocento, serve inoltre a spostare l’attenzione sulla particolare interpretazione di Deflo: la sua Lucia incarna l’immagine della donna ottocentesca schiacciata dai soprusi e dagli inganni degli uomini e la sua follia è lo strumento per bucare il velo della rappresentazione e irrompere nel mondo reale. Nei panni di questa Lucia si è mossa il soprano rumeno Elena Mosuc, già più volte interprete del ruolo e acclamata nei teatri di tutto il mondo. Ma, per quanto siano indubbie le doti vocali, alcuni aspetti della sua interpretazione non hanno convinto appieno, sia nella presenza scenica – una staticità spesso eccessiva e, in generale, una scarsa espressività – sia nell’esecuzione di alcuni tra i momenti culminanti della sua parte vocale, come ad esempio quello a conclusione del duetto “Verranno a te sull’aure” in cui gli acuti sembravano alquanto tesi, e la prima parte della scena della follia (“Il dolce suono”). Una piacevole sorpresa invece è stato il debutto nei panni di Edgardo di Giorgio Berrugi, che è riuscito a interpretare al meglio i contrasti emotivi del suo personaggio, restituendoli al pubblico con grande agilità tecnica; eccezionale la sua aria conclusiva nel finale d’opera (“Tu che a Dio spiegasti l’ali”) vero culmine della sua esibizione per la capacità di trasmettere vocalmente la dolcezza e insieme la risolutezza che animano il suo personaggio. Accolto dagli applausi del pubblico anche il baritono Marco Caria, già Enrico insieme proprio alla Mosuc al Gran Teatre Liceu di Barcellona lo scorso dicembre; molto intensa è la scena II del secondo atto, un crescendo di stati d’animo che acuisce la tensione tra i due fratelli fino a farli esplodere nel duetto “Se tradirmi tu potrai”, in cui l’intreccio timbrico raggiunge livelli molto soddisfacenti. È questa anche una delle scene in cui si apprezzano di più i giochi di chiaroscuro che le luci di Roberto Venturi riescono a creare in una scenografia dai toni così cupi: durante il dialogo infiammato, i volti dei due fratelli spiccano nell’oscurità, illuminati da un caldo raggio di sole proveniente dalle poche e strette aperture della stanza. Uno dei momenti più alti di questa recita resta comunque quello del sestetto (“Chi mi frena in tal momento”) che conclude il secondo atto dell’opera. Strumento di dilatazione temporale, il grande Largo concertato – di cui Donizetti è stato maestro – offre l’opportunità a ciascun personaggio di esprimere il proprio pensiero di fronte allo stupore generale di quell’istante; questo momento di espressione congiunta, che è il vero cuore dell’opera, è stato interpretato con grande precisione da tutti i protagonisti del cast, in particolare dalle voci maschili e dal Coro del Teatro Massimo, che hanno dato il giusto sostegno alle voci femminili. Anche l’Orchestra del Teatro Massimo, ha scandito con precisione gli attimi sospesi del grande affresco del sestetto e si è lasciata guidare qui, come nelle altre pagine salienti della partitura, dalla sicura direzione di Riccardo Frizza – altro debuttante della serata – le cui scelte agogiche si sono quasi sempre apprezzate. Altra idea efficace è stata quella di creare un forte contrasto visivo (e psicologico) nella scena che apre il terzo atto: mentre si svolgono i festeggiamenti in onore delle avvenute nozze tra Lucia e Arturo, con le ‘liete danze’ del Corpo di ballo del Teatro Massimo – condotte in quella che di fatto è la scena più luminosa e ricca di questo allestimento – ecco piombare come un fulmine a ciel sereno l’annuncio del ‘fiero evento’ da parte di Raimondo. Il timbro caldissimo di Luca Tittoto – l’interprete di questo cast più gradito al pubblico – rompe quell’atmosfera di surreale gioia e ci riporta con i piedi per terra a fare i conti con la realtà; e la realtà è che Lucia è impazzita e la sua la follia sta per investire gli astanti per mezzo di una vocalità ormai extraumana, i cui virtuosismi esasperati dialogano con l’‘armonia celeste’ di una Glassharmonika in orchestra, suonata da Sascha Reckert. Peculiarità dell’allestimento è proprio la reintroduzione di questo singolare strumento, a ragione scelto da Donizetti per la sua sonorità eterea ma da subito spodestato nel corso dei secoli dal flauto, a causa di certe credenze sugli effetti nocivi del suo suono nell’ascoltatore. Tra gli altri interpreti del cast spicca il tenore Emanuele D’Aguanno, per il suo timbro delicato e leggero, adatto al personaggio di Arturo, mentre non vanno oltre la correttezza il mezzosoprano Patrizia Gentile nei panni di Alisa e il tenore Francesco Pittari nel personaggio di Normanno. Repliche fino al 5 aprile. Foto Rosellina Garbo