L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L'enfant et les sortileges alla Scala

La magia di Ravel alla Scala

 di Pietro Gandetto

Brillante apertura alla Scala del dittico raveliano L’heure espagnole e L’enfant et les sortilèges, in scena fino al 6 giugno, grazie all’estro concertativo di Marc Minkowski e dalla raffinata messa in scena di Laurent Pelly.

MILANO, 17 maggio 2016 – Per riassumere in due frasi la prima dell’altra sera alla Scala, si potrebbe dire che un Ravel così ben suonato e cantato si sente raramente e che anche se a un certo punto della serata c'è un piccolo intoppo scenico (un fondale si blocca e non scende) poco importa, perché la recita prosegue come se niente fosse e anzi, forse dà al pubblico quel brivido della diretta che rende ancora più frizzante la serata. 

Lo spettacolo si apre con l’Heure espagnole, commedia musicale in un atto su libretto di Franc-Nohain, che tratta, in chiave ironica, di un intreccio amoroso, in cui una giovane donna di Toledo, Concepción, inappagata dall’anziano marito, l’orologiaio Torquemada, cerca di divertirsi con i suoi due amanti mentre il consorte è assente. Nonostante il carattere boccaccesco che molti ancora le affibiano, l’opera, in generale, e questa produzione (ideata per il Glyndebourne Festival del 2012), in particolare, sono tutto sommato piuttosto morigerate nei toni e nei contenuti. 

La dinamica regia di Laurent Pelly ha il pregio di spezzare la staticità dell’atto unico e della scena fissa (di Ginet ed Evrard) con un andirivieni di situazioni, nascondimenti e ammiccamenti in cui i personaggi, più che cantare, recitano, sorretti dall’efficace direzione di Minkowski.  La boutique dell’orologiaio Torquemada è un grand bazar pieno di orologi, ovviamente, ma anche di altri oggetti, come vestiti, lavatrici, tori, automobili. 

La voluttuosa e seducente Conception è tutta occupata a gestire i suoi due amanti, per poi scappare con un terzo, che batte tutti per virilità e sex appeal. Stéphanie D’Oustrac ha il physique du rôle e veste i panni di una Conception vagamente anni ’80 che ricorda a tratti la nostrana Marcella Bella. Scenicamente è sicura e spigliata, seduce al punto giusto, senza degenerare nelle macchiettistiche femmes fatales che ancora popolano molte produzioni di ambientazione iberica; vocalmente non delude, sfoggiando uno strumento di volume ragguardevole, buona emissione e dizione perfetta.  Bene anche il Ramiro di Jean-Luc Ballestra, che di imponente non ha solo i bicipiti (come da libretto “cet homme a des biceps qui dépassent tous mes concepts”), ma anche la voce, di bel colore e ben governata. Completano il cast, il Gonzalve di Yann Beuron, il Don Iñigo Gomez di Vincent Le Texier, Jean-Paul Fouchécourt quale Torquemada.

Tutt’altra atmosfera quella del fiabesco L’Enfant et les sortilèges, il gioiellino raveliano su libretto di Colette che racconta i sogni e gli incubi dell’enfant gaté, prima capriccioso e irriverente, poi ravveduto e infine ricongiunto con Maman che in apertura lo aveva punito per la sua indolenza. 

La musica di Ravel diventa qui una sorta eterogenea scaletta musicale in cui si susseguono i diversi brani  selezionati dal genio francese in funzione dello sviluppo dei singoli sortilèges. Dal minuetto di Fauteuil si passa al fox trot Théière-Tasse Chinoise, dall’evocativo arioso della Princesse (tipico melodismo francese), alle marcette brillanti della scena in giardino. Un alternarsi di quadri e situazioni raffinato e dinamico appoggiato su un’atmosfera mista tra realtà, sogno, fantasia e incubi infantili.  

I brevi quadri si susseguono fluidi e immergono lo spettatore nell’atmosfera impressionista voluta dall’autore, grazie all’efficacia espressiva della bacchetta di Marc Minkowski e alla raffinatezza registica di Pelly. Marianne Crebassa, già apprezzato Cecilio nel Silla della scorsa stagione, ha ben reso la tavolozza psicologica che Ravel affida al bambino, alternando la freschezza dello stupore puerile al senso di paura e mistero indotto dai sortilèges.  Bene anche il resto del cast, composto da Armelle Khourdoian, nell’agile Feu e nella struggente Princesse, e Delphine Haidan, Anna Devin, Jean-Luc Ballestra, Stéphanie D’Oustrac, Jerôme Varnier, Jean-Paul Fouchécourt.

Protagonista della serata – e vero fil rouge capace di avvincere due opere così distanti –  è la concertazione di Marc Minkowski, che cuce addosso ai cantanti un tappeto orchestrale di preziosa fattura artigianale. Incanto, stupore, divertimento, magia, sono gli ingredienti di questa direzione con cui il direttore francese, veterano del repertorio d’oltralpe, ricava dall’orchestra i suoni onomatopeici scritti da Ravel. Come dice lo stesso Minkowski, “più che il suono, la cosa difficile è coglierne lo spirito - come i cantanti sulla scena, anche l’orchestra deve pensare di essere ora una teiera ora un albero, una poltrona in stile Luigi XV e un gatto, il fuoco o un orologio a pendolo”. Il direttore parigino ricrea questo spirito un particolare nitore strumentale e una granulare precisione ritmica che rendono unica l’esotica tessitura orchestrale di Ravel. 

Insomma, lo spettacolo merita davvero come dimostrato dagli incondizionati consensi e dall’assenza di dissensi (da non credere) a fine serata. 

L'heure espagnole

L'enfant et les sortilèges

foto Brescia Amisano

 


 

 

 
 
 

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