At Glyndebourne in 2014, Frederic Wake-Walker presented an unconventional La finta giardiniera that made an impression, and now this staging of The Marriage of Figaro is his second opera production in a larger theatre, and his first in Italy. The 34-year-old British director has expressed his admiration for the late Italian director Giorgio Strehler's historic staging and he pays tribute to the maestro referencing the armchair used in that legendary production – an ironic tribute, at least, seeing that Figaro crashes the armchair by jumping on it almost immediately!

Loading image...
Markus Werba (Figaro)
© Marco Brescia & Rudy Amisano

Meta-theatre is Wake-Walker's key for his staging. During the overture we see the environment that will host the events of la folle journée being built, while a decrepit prompter is at hand to feed the Count when he fails to remember his cue. Anthony McDonald's set design consists of panels with photographs of 18th-century decorations in Act I, while in the second act the rotating stage shows the Countess' bedroom, its walls lined with papier peint of elegant rural landscapes. On several occasions the singers wink to the audience as if in an old-vaudeville, but perhaps these gimmicks are those referred to by the director when he declares: “freshness, naturalness and the use of techniques that connect actively to the public, keeping the attention alive”. As if the perfect theatrical mechanism of Beaumarchais-Da Ponte-Mozart ever needed it.

After a promising start, the staging soon starts to turn a little idle and Wake-Walker resorts to not always tasteful ruses to keep the attention alive – the apex being Susanna, fake Countess, performing a fake fellatio on Figaro in the fourth act. The great second finale is marred by an excess of stage effects (including a gorilla!), as well as the pure kitsch of the wedding party, with light blades into the hall which raised some booing from the audience.

Loading image...
Marianne Crebassa (Cherubino) and Diana Damrau (Countess Almaviva)
© Marco Brescia & Rudy Amisano

In modern opera staging a recurrent routine is becoming unbearable. At some point the singers move like disco dancers when the music is "cheerful", and even here there are moments when the characters twist their legs and swing their arms. Another common modern practice is the use of doubles or mute servants. Here we have bespectacled secretaries who interact with the characters, provide sheets of paper, march with Cherubino, whitewash the papered walls, give a hand to displace the furniture or provide the stage noises (slap sounds and snapping locks). In short, if we thought we sought a worthy successor to David McVicar, we were greatly disappointed.

Loading image...
Golda Schultz (Susanna)
© Marco Brescia & Rudy Amisano
Franz Welser-Möst gives a rather symphonic reading, lacking in lightness and often covering the singers' voices. Tempos were correct, but it is as if the orchestra proceeded on a track parallel to what happened on stage. Markus Werba worked hard to make his Figaro scenically lively with hops and pelvic moves, but the voice extends high but in the lower register is strained. Golda Schultz' honeyed timbre, a Countess in 2012 in Monaco, is here perhaps more appropriate for Susanna. Self-confident and vocally agile in her arias, she was less effective in the recitatives where accurate diction is imperative.

Star of the evening was Diana Damrau, a vocally sumptuous Countess with admirable legato and incomparable phrasing. Her performance would be even more valuable if she would gratify the audience with variations in the reprise of her sublime aria “Dove sono”. But perhaps here Welser-Möst had a hand in it due to his philological intransigence. Carlos Álvarez was an authoritative Count, although with no particular nuance and not especially helped by the director.

Marianne Crebassa was another triumph of the evening. One had already admired her superb Cherubino in Amsterdam a month ago and there was little to add to her infallible stage presence and vocal preciousness.

Of the three 'schemers', only Don Basilio was a success, thanks to Krešimir Špicer, Lucio Silla here last year. His voice is resounding, but the expression was often too over the top. For him the generally omitted Act IV aria “In quegl'anni in cui val poco” has been restored, while Marcellina, Anna Maria Chiuri, was aptly bereft of her “Il capro e la capretta”. The remaining singers are unmemorable, including a Barbarina undecided between naiveté and artfulness.

 

 

Alla Scala una rappresentazione da avanspettacolo di Frederic Wake-Walker de Le nozze di Figaro 

Nel 2014 Frederic Wake-Walker ha allestito a Glyndebourne una non convenzionale Finta giardiniera mozartiana che ha fatto una certa impressione e ora con questo allestimento de Le nozze di Figaro si presenta con la sua seconda produzione lirica in un grande teatro e per la prima volta in Italia. Il 34enne regista inglese ha espresso la sua ammirazione per Giorgio Strehler da cui dichiara di essersi ispirato e del quale fa omaggio portando in scena la poltrona usata nel suo mitico allestimento – un omaggio quantomeno ironico, poiché quasi subito Figaro la sfascia saltandoci sopra.

Loading image...
Markus Werba (Figaro)
© Marco Brescia & Rudy Amisano

La chiave di lettura scelta da Wake-Walker è il meta-teatro: durante l'ouverture a sipario aperto vediamo costruirsi l'ambiente che ospiterà la vicenda de “la folle journée” con la scenografia di Anthony McDonald formata da pannelli che riproducono nel primo atto fotografie di ambienti settecenteschi per poi trasformarsi, con la rotazione del palcoscenico, nella camera della Contessa, dalle pareti tappezzate di papier peint di eleganti paesaggi campestri. A più riprese i cantanti ammiccano al pubblico con un effetto da vecchio avanspettacolo, ma forse sono questi espedienti quelli cui allude il regista quando annuncia «freschezza, naturalezza e uso di tecniche che si connettono attivamente al pubblico, tenendone viva l’attenzione». Come se il perfetto meccanismo teatrale di Beaumarchais-Da Ponte-Mozart ne avesse bisogno. 

Dopo un inizio promettente l'azione registica si mette a girare a vuoto e Wake-Walker ricorre a trovate non sempre di buon gusto per «tenere viva l'attenzione». Trovate che culmineranno nella finta fellatio di Susanna finta Contessa a Figaro nel quarto atto. Il mirabile finale secondo è guastato da un eccesso di effetti scenici (che includono la presenza di un gorilla...), così pure come il kitsch della festa nuziale, con lame di luce che fendono la sala del Piermarini – cosa che ha provocato la disapprovazione da parte di qualcuno nel pubblico. 

Loading image...
Marianne Crebassa (Cherubino) and Diana Damrau (Countess Almaviva)
© Marco Brescia & Rudy Amisano

Nelle regie attuali sta diventando un vezzo insopportabile vedere a un certo punto i cantanti dimenarsi come in discoteca quando la musica diventa “allegra” e neanche qui infatti sono mancati i momenti in cui i personaggi hanno accennato alle solite mosse di twist e ad ancheggiamenti assortiti. Altra consuetudine moderna è l'utilizzo di sosia o servi muti: qui sono delle segretarie occhialute che interagiscono coi personaggi, porgono fogli, marciano con Cherubino, imbiancano le pareti tappezzate, danno una mano a spostare i mobili o forniscono i rumori di scena – sberle sonore e serrature che scattano. Insomma, se si pensava di trovare in questo giovane regista il degno erede di un McVicar la delusione è stata grande.

Loading image...
Golda Schultz (Susanna)
© Marco Brescia & Rudy Amisano
Franz Welser-Möst dà una lettura molto sinfonica della partitura, manca di leggerezza e copre spesso i cantanti. I tempi adottati sono corretti, ma è come se l'orchestra procedesse su un binario parallelo a quello che avviene in scena. Markus Werba si prodiga per rendere scenicamente vivace il suo Figaro con saltelli e mosse pelviche, ma la voce ha un'estensione troppo alta e nei bassi l'emissione ne risulta forzata. Timbro di miele per Golda Schultz, nel ruolo di Contessa nel 2012 a Monaco, qui forse più opportunamente nelle vesti di Susanna. Spigliata e agile vocalmente nelle arie, è un po' meno efficace nei recitativi dove contano di più espressività e dizione.

Star della serata è indubbiamente Diana Damrau, Contessa in grande spolvero, dalla sontuosa vocalità, i mirabili legati e il fraseggio incomparabile. La sua prestazione sarebbe stata ancora più pregiata se avesse gratificato il pubblico con delle variazioni nella ripresa della sua sublime aria «Dove sono i bei momenti». Ma forse qui c'è lo zampino di Welser-Möst e della sua intransigenza filologica. Conte autorevole, ma senza particolari sfumature, quello di Carlos Álvarez, neanche lui aiutato molto dalla regia.

Di Marianne Crebassa, altra trionfatrice della serata, s'era già ammirato il suo eccellente Cherubino ad Amsterdam un mese fa e c'è poco da aggiungere sulla sua infallibile presenza scenica e preziosa vocalità.

Dei tre personaggi “cattivi” si staglia il Basilio di Krešimir Špicer, il Lucio Silla l'anno scorso qui alla Scala, sonoro, ma spesso troppo sopra le righe. Per lui è stata ripristinata l'aria del quarto atto, generalmente omessa, «In quegl'anni in cui val poco», mentre Marcellina, Anna Maria Chiuri, è stata orbata, opportunamente, del suo «Il capro e la capretta». Non memorabili gli altri interpreti, con una Barbarina indecisa tra l'ingenuità e la maliziosità.

***11