Trieste, Teatro Verdi:”Die Zauberflöte”

Trieste, Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi
“IL FLAUTO MAGICO”
Singspiel in due atti su libretto di Emanuel Schikaneder
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Sarastro DAVID STEFFENS
Tamino MERTO SUNGU
Pamina ELENA GALITSKAYA
Regina della notte KATHARINA MELNIKOVA
Papagena LINA JOHNSON
Papageno PETER KELLNER
Prima dama OLGA DYADIV
Seconda dama PATRIZIA ANGILERI
Terza dama ISABEL DE PAOLI
Monostatos MOTOHARU TAKEI
Oratore HORST LAMNEK
Primo fanciullo ELENA BOSCAROL
Secondo fanciullo SIMONETTA CAVALLI
Terzo fanciullo VANIA SOLDAN
I sacerdote/II armigero GIULIANO PELIZON
I armigero/II sacerdote FRANCESCO PACCORINI
Orchestra e Coro della Fondazione Teatro Verdi di Trieste
Direttore d’orchestra Pedro Halffter Caro
Maestro del Coro Francesca Tosi
Regia Valentina Carrasco
Scene Carles Berga
Costumi Nidia Tusal
Luci Peter van Praet
Trieste, 17 Gennaio 2017
Teatro affollatissimo nonostante la bora per uno Zauberflöte particolare e dalle interessanti suggestioni. L’idea di ambientare tutto lo spettacolo intorno ad una vera e propria “casa di bambola”, se inizialmente ci ha preoccupato per i facili richiami ibseniani – il soggetto ben si presta ad anacronistiche rivendicazioni femministe – si è infine rivelata ricca di spunti di riflessione. Iside e Osiride non sono altro che due ragazzini che giocano con le bambole, con le loro esistenze e i loro sentimenti, stabilendone inevitabilmente le sorti. Una grande fiaba, in cui gli echi massonici non risuonano che in vaghe simbologie e nella stessa struttura del Singspiel. Calzante l’idea di trasformare i tre fanciulli-guida in tre bambole meccaniche con tanto di carica e gesti robotici. Pamina è prigioniera in una casa di bambola, ma con l’insegna Weisheit sulla facciata: un tempio della saggezza piuttosto inedito, in cui i seguaci di Sarastro (gli omini del Lego?) si muovono ieratici, in netta contrapposizione con le creature notturne, guidate dalla Regina Astrifiammante. Alla fermezza degli iniziati solari si oppongono queste oscure, agitate creature, guidate dalla mano di Iside bambina:anche alla fine dell’opera è sempre ai due bambini che si inchinano tutti i personaggi, un omaggio cui essi reagiscono rincarando la dose e riposizionandoli come preferiscono, andando anche a far abbracciare la Regina della notte e Sarastro, come a sancire l’inscindibile legame tra giorno e notte, luce e oscurità. Assolutamente contestata dal pubblico triestino, Valentina Carrasco mostra in ogni caso degli spunti originali e, se in qualche caso si perde in ortodossia (la padellata in testa al serpente, un paio di rivedibili ingressi in scena di un Superman, il Der Holle Rache cantato da una cabina telefonica), di certo il taglio dato alla messinscena permette comunque di godere dell’aspetto musicale, nei confronti del quale non ci è sembrato che l’allestimento mancasse di rispetto. Particolarmente confacente alle scelte registiche erano i colori pastello alla Wes Anderson usati per la casa-tempio, poco efficaci invece i costumi delle creature notturne e femminili: le dame e la Regina sembravano più che altro delle cartomanti (c’era pure Superman, a questo punto si poteva giocare il tutto per tutto e scomodare anche Sailor Moon – sarcasm alert). C’è da dire che purtroppo dalla nostra posizione non abbiamo potuto apprezzare buona parte di ciò che accadeva da metà palcoscenico in poi, ma veniamo alle voci: tra gli artisti più applauditi figurano il Papageno di Peter Kellner e il Monostatos di Motoharu Takei: del primo abbiamo apprezzato particolarmente la vivacità scenica e il timbro gradevole, nonostante un lieve appiattimento del colore nel centro; del secondo non possiamo che entusiasmarci per la ricca pasta vocale e per le scelte fraseggistiche ben curate. Anche scenicamente il tenore giapponese mostra di essere ben diretto e di avere un piglio personale interessante. David Steffens era adeguatamente ieratico nei panni di Sarastro: la voce corre, ma forse qualcosa in più poteva essere fatto a livello di fraseggio e scelta dinamica. Tamino era il giovane Merto Sungu, tra i meno brillanti a livello attoriale ma ben caratterizzato sul piano vocale: rari i problemi di emissione e ottimi i passaggi di registro. La voce è ben adatta al ruolo e sempre perfettamente udibile. Bene anche la Pamina di Elena Galitskaya, soprano dal timbro elegante e ben calibrato in tutti i registri: scenicamente vivacissima, la Galitskaya si mostra a proprio agio in un ruolo che le calza a pennello. Meno efficace Katharina Melnikova nei panni della Regina della Notte: la seconda aria va in ogni caso molto meglio della prima: il ruolo è notoriamente impervio e il giovane soprano lo affronta comunque con coraggio e cercando di curare il più possibile suono e fraseggio. Scenicamente splendida, la Melnikova aveva forse il costume più brutto di tutto il cast, un vero peccato. Molto carina la Papagena di Lina Johnson, simpatica e divertente: vocalmente in forma, qualcosa in più poteva essere fatto per caratterizzare la vecchietta che flirta con Papageno, quando ricompare come uccellatrice è invece travolgente. Le tre dame erano Olga Dyadiv, Patrizia Angileri e Isabel De Paoli: tra di loro spicca a nostro avviso proprio quest’ultima, per il timbro mezzosopranile davvero incantevole e avvolgente. Ottima la prestazione di tutte e tre le dame, anch’esse davvero malvestite ma scenicamente efficaci. Nonostante le contestazioni ribadiamo l’apprezzamento per i costumi e la performance dei tre fanciulli Elena Boscarol, Simonetta Cavalli e Vania Soldan. Completano efficacemente il cast l’oratore Horst Lamnek, il primo sacerdote / secondo armigero Giuliano Pelizon e il secondo sacerdote / primo armigero Francesco Paccorini. Il Direttore Pedro Halffter Caro risulta applauditissimo e in effetti realizza una buona performance, mostrando di essere particolarmente attento alla qualità delle voci in campo: il cast era sicuramente giovane e la presenza di un direttore capace di ascoltarne le esigenze ha sicuramente giovato. Discreta la prestazione del coro, istruito da Francesca Tosi. Le scene erano di Carles Berga, i costumi di Nidia Tusal, le luci (fondamentali in un’opera di contrasti e contrapposizioni chiaro/scuro) curate da Peter van Praet.