La WALLY di Catalani a Piacenza e Modena

La WALLY  di Catalani  a Piacenza e Modena: al Teatro Municipale e al Pavarotti.

 2 Reviews 2 by William Fratti (Piacenza) and Lukas Franceschini (Modena) —


 

(PIACENZA, 17 febbraio 2017):

Dopo il successo dello scorso anno con la produzione de L’amico Fritz nell’ambito del progetto di formazione guidato da Leo Nucci, anche il questa stagione il Teatro Municipale di Piacenza propone un titolo poco rappresentato di quel periodo culturale che generalmente, anche se non sempre a proposito, viene identificato col movimento del verismo.

La Wally di Alfredo Catalani manca dai cartelloni italiani da troppo tempo e il direttore artistico Cristina Ferrari, capitanando una coproduzione che vede coinvolti i teatri di Piacenza, Modena, Reggio Emilia e Lucca, riesce a mettere insieme una squadra di professionisti di ottimo livello, inserendo anche alcuni nomi dei più importanti panorami internazionali.

Nicola Berloffa crea uno spettacolo molto piacevole e pure particolarmente efficace, dove c’è sempre azione e movimento, riuscendo a rendere ottimamente anche certi difficili passaggi come la caduta di Hagenbach nel burrone, la calata di Wally con la corda e la valanga. Purtroppo ci sono anche alcuni momenti deludenti, come la taverna di Afra troppo piccola per fare danzare tutti, i protagonisti che non muovono un solo passo di valzer e poi si scambiano un vistoso bacio finto, il continuo lancio di sciarpe e altri abiti tra terzo e quarto atto. A parte ciò la resa complessiva è davvero buona, impreziosita dalle scene funzionali di Fabio Cherstich e dai bei costumi di Valeria Donata Bettella. Pure le luci di Marco Giusti sono efficaci, anche se si sarebbe preferito qualche effetto più marcato al momento della valanga finale.

Francesco Ivan Ciampa si immerge nella difficile partitura di Catalani sortendone una direzione molto lineare, sempre omogenea, sempre al servizio del canto e dei sentimenti voluti dal compositore attraverso una scelta adeguata di fraseggi e sfumature. Molto buona la prova degli archi dell’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna, mentre è piuttosto mediocre quella dei fiati. Il Coro del Teatro Municipale di Piacenza preparato da Corrado Casati si riconferma eccellente.

Saioa Hernandez è un’ottima protagonista, ben centrata nel personaggio e vocalmente molto sicura, dotata di un timbro morbido e pastoso tipicamente lirico, che riesce a piegare lungo le insidie della parte. Gradevoli anche le note basse, che pur risuonando di petto non ne modificano il colore, ma forse ne abusa un po’ troppo durante la recita, poiché nell’ultimo atto gli acuti non sono particolarmente eccezionali. Hernandez è anche piuttosto parca nell’uso del legato, che invece avrebbe potuto impreziosire e raffinare la performance, come pure una certa avidità di sfumature, presentando un canto molto simile anche nei vari cambi di stato d’animo. Detto ciò la prestazione complessiva è di alto livello e sarà certamente un piacere poterla riascoltare.

Zoran Todorovich porta a casa il ruolo di Hagenbach con i suoi pregi e difetti. Il tenore è indubbiamente dotato di buono squillo, ma che talvolta appare spinto e forzato. Qualche nota calante qua e là non va fortunatamente a precludere l’esecuzione. Inoltre si sarebbe preferita qualche tinta romantica in più nel quarto atto.

Claudio Sgura è uno Gellner davvero eccellente e si riafferma, per l’ennesima volta, interprete di riferimento per questo genere di ruoli. È sempre omogeneo, dal pianissimo al fortissimo, dalla nota più grave a quella più acuta, con un suono chiaro e ben impostato in maschera, arricchito di tinte drammatiche mai eccessive e di un fraseggio molto ben rifinito. Il duetto con Stromminger e quelli con Wally sono indubbiamente le pagine migliori della serata.

Altrettanto magnifica è Serena Gamberoni nei panni di un Walter di extra lusso. Il ruolo lirico leggero le calza a pennello, tanto da far traboccare di validissimi cromatismi l’aria di apertura, mantenendo sempre in primo piano un suono limpido e cristallino.

Molto bene anche per Giovanni Battista Parodi che si cimenta nella breve ma complessa parte del vecchio Stromminger. Efficacissima l’Afra di Carlotta Vichi. Ben riuscito il Pedone di Mattia Denti.

Grandissimo e meritatissimo successo per tutti. E già si vocifera nei corridoi che la prossima stagione vedrà risorgere un altro titolo molto interessante.

William Fratti

 


(MODENA, 24 febbraio 2017)

 Il Teatro Comunale “L. Pavarotti” di Modena ha il grande merito di offrire al pubblico un’opera purtroppo dimenticata: La Wally di Alfredo Catalani, una coproduzione con Piacenza, Reggio Emilia e Lucca (città natale dell’autore).

Bizzarro caso quello de La Wally, tutti conoscono la celebre aria, peraltro bellissima, “Ebben ne andrò lontana”, spesso inserita nei programmi dei concerti e nelle incisioni discografiche dei soprani, ma negli ultimi anni l’opera ha subito una trascuratezza nelle scelte dei cartelloni che potremo definire assurda. Salvo errori l’ultima esecuzione italiana risale alla fine degli anni ’80. Catalani iniziò la stesura della sua ultima opera nel 1889 (morirà di tisi nel ’93) tratta da un racconto di Wilhelmine von Hillern, su suggerimento di Arrigo Boito, assieme al librettista Luigi Illica. Il 20 gennaio 1892, La Wally andò in scena al Teatro alla Scala con la direzione di Edoardo Mascheroni, protagonista Hariclea Darclée (futura prima Tosca), e un esito molto buono, ebbe tredici repliche. In seguito fu allestita in altre città italiane ed estere, quando arrivò ad Amburgo, dove fu diretta da Gustav Mahler, questi affermò che era la migliore opera italiana che aveva eseguito. Per l’edizione al Teatro Regio di Torino (1894) il compositore modificò il finale rendendolo ancora più drammatico, purtroppo non poté assistere all’ennesimo successo. L’opera è stata sempre considerata come la migliore della produzione di Catalani, sia per la bellezza della musica sia per la coerente tenuta drammaturgica. L’autore frequentava la corrente degli “scapigliati”, fu qualificato come wagneriano e sembra avesse pure dichiarato di non amare Verdi, ricambiato anche se in seguito il Giuseppe ebbe a ricredersi. A tutti gli effetti un compositore anomalo ben lontano dalle correnti veriste e più a suo agio con i temi fantastici delle opere nordiche. Catalani usa il cosiddetto leitmotiv, la melodia della celebre romanza è un filo conduttore per tutta l’opera, ma non mancano pagine strumentali di grande fattura come i preludi, un terzo atto con colpo di teatro, e un quarto di autorevolissima fattura, drammatico e di grande ispirazione. In quest’opera è il paesaggio, la neve e il Tirolo, che appare come condizione musicale essenziale, personaggi e avvenimenti sono circoscritti in quell’ambiente, e lo stesso ambiente determina il colore drammatico o lirico della musica e del lavoro teatrale. Non mancarono forti riserve della critica ma l’opera ebbe ampia diffusione arrivando anche in America, grazie ad Arturo Toscanini, amico e sincero ammiratore di Catalani, che la dirigerà più volte, ai propri figli darà addirittura il nome di Wally e di Walter. Si ricorda un’inaugurazione Scala proprio con Wally nel 1953, protagonista una superba Renata Tebaldi, la quale in seguito realizzò la prima incisione discografica. Qualche sparuta riproposta, poi l’oblio. Pertanto non possiamo che lodare la programmazione di questi teatri che hanno fornito l’occasione di ascoltare se non un capolavoro, un’opera molto interessante nell’evoluzione musicale di fine ottocento, e sarebbe auspicabile una riscoperta di Catalani attraverso le altre sue opere.

L’allestimento con scene di Fabio Cherstich è abbastanza funzionale creando un ambiente innevato, un ghiacciaio permanente, che segna tutta la drammaticità della vicenda, nella quale l’ambiente ha una rilevante impronta. Bisogna ammettere che è molto difficile realizzare una scena montana e innevata come richiede l’opera, lo scenografo c’è riuscito con mano felice ma non troppo coreografica, ideando anche delle scale seminascoste che funzionano per entrate e uscite valide, puntando soprattutto sulla freddezza dell’ambiente e la crudeltà della vicenda. Riuscitissima la regia di Nicola Berloffa che traccia una lettura tutta focalizzata sulla femme fatal in noir, con la sua crudeltà e sentimenti, che trova soluzione solo nel suicidio finale. Gli altri personaggi ruotano intorno a lei ma sono ben tracciati nelle loro peculiarità, sfaccettature, senza mai ricorrere stereotipati linguaggi ma realizzando con senso della sobrietà accenti acri e molto teatrali. Belli i costumi di Valeria Donata Bettella, che non scivola sul tipico costume triolese.

Il direttore Francesco Ivan Ciampa ha realizzato una direzione di grande spessore e spiccata musicalità, trovando un perfetto equilibrio tra i diversi stili insiti nella partitura, la quale è stata realizzata con enfasi e colori davvero ammirevoli, mettendo in luce quanto di meglio in essa contenuta.

Nel complesso molto valido il cast radunato al quale non sono riservate parti facili. Saioa Hernandez è un protagonista convincente sia sotto l’aspetto drammatico sia lirico. Possiede una voce imponente e talentuosa che utilizza con tecnica e grande sfoggio di fraseggio. Non meno valido il Gellner di Claudio Sgura, il quale in un ruolo cosi rude e di vilan trova accenti teatrali e vocali di forte intensità, probabilmente la sua migliore prova da me ascoltata.

Più contenuto Zoran Todorovich, Giuseppe, che affronta un ruolo molto astio con impeto e grande volontà, anche se non sempre perfettamente calibrato. Serena Gamberoni si ritaglia un personale successo nel ruolo Walter per spiccata baldanza e puntuale esecuzione.

Molto bravo Giovanni Battista Parodi, uno Stromminger dal canto levigato e scolpito, al quale si aggiungono la professionale Carlotta Vichi, Afra, e il perfetto Pedone cantato da Mattia Denti.

Il teatro Comunale era quasi esaurito per questa rarità, e al termine il folto pubblico ha tributato un meritato e autentico successo a tutta la compagnia.

 

Lukas Franceschini


 

PHOTOS © Alessia Santambrogio